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da "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI      Parte III  12

Ellis Island

Un giorno, mentre lavoravo in fabbrica, fui chiamato in ufficio dove trovai due agenti dell'immigrazione che vennero ad arrestarmi ed essere condotto ad Ellis Island. Io, secondo loro, ero un clandestino negli Stati Uniti sebbene fossi entrato con le truppe americane. Le leggi d'immigrazione americane prevedono che ogni immigrante debba entrare con un passaporto valido e con regolare visto. Queste leggi sono diverse da quelle militari e quindi per il mio problema non c'era soluzione. Protestai ma fu inutile e quindi mi portarono ad Ellis Island. Per le stesse ragioni furono rinchiusi ad Ellis Island molti personaggi famosi come Beniamino Gigli, Ezio Pinza, Charles Boyer, Marlene Dietrich, Hedy Lamar, Eric Von Strohem, Leopold Stokowski, Lucky Luciano e persino Albert Einstein. Le leggi d'immigrazione sono severissime e anch'io ci cascai.

Scrissi al generale Eisenhower a Washington, che chiese al senatore Sheridan Downey ed al congressman, Frank Havenenr, di introdurre due leggi al Senato ed alla Camera del Congresso per farmi avere la residenza permanente negli Stati Uniti. Dopo quattro settimane ero libero e potei raggiungere mia zia Giulia che, dopo il fatto era inconsolabile, e non poteva credere a queste cose.

Ero stomacato da quello che era successo e decisi di cambiare aria. Questa volta volli provare 1' "hitchike", in altre parole il passaggio in macchina. Molti amici lo avevano fatto e mi assicurarono che era molto divertente. Ci provai e da Cohoes andai a Philadelphia e poi a Pittsburg in Pennsylvania. Andai a trovare Giuseppe Cristini, Lorenzo De Filippi, Angelo e Pino Tambucci ad Aliquippa. Angelo Tambucci mi fece conoscere un vecchio ex poliziotto, al quale mio padre aveva dato un pugno e per questo lo aveva messo in prigione per un giorno. Il poliziotto mi confidò che mio padre aveva ragione perché lui lo aveva chiamato "guiney", una parola offensiva per gli italiani. Ripartii da Aliquippa e proseguii con i passaggi insieme a due amici che facevano la stessa cosa. Arrivai a St. Luis, nel Missouri, dove incontrai Tony Musoneri che aveva viaggiato con me da Manila a San Francisco sulla nave SS "Brazil". Facemmo un revival ed io cucinai gli spaghetti. Il mio viaggio continuò insieme a due ragazzi, Roy ed Harry, incontrati sulla Route 40 che ci portava nel West.

Da St. Louis arrivammo a Kansas City (città che Alberto Sordi non avrebbe mai sognato prima che facesse il film "Un Americano a Roma", che lo rese famoso).

Noi tre non chiedevamo mai un passaggio al guidatore della stessa macchina, ma ci dividevamo e ci mettevamo ad una certa distanza l'uno dall'altro dandoci appuntamento davanti all'ufficio postale o ad un centro della Salvation Army, di una città fissata in precedenza.

Tutto questo funzionava molto bene, infatti, dopo qualche ora di attesa tutti e tre c'incontravamo nei posti prefìssati per programmare il viaggio successivo. La sera andavamo prima a mangiare e poi cercavamo un posto dove andare a dormire. Quando non trovavamo alloggio passavamo la notte nelle stazioni ferroviarie o degli autobus per risparmiare.

Dal Kansas il nostro viaggio proseguì nell'Oklahoma, nelle città di Tulsa e Oklahoma City. Qui c'erano delle comunità religiose come "La Tor di Davide", i "Mormoni", gli "Evangelisti" e i "Pentecostali", che cercavano nuovi adepti. Bastava andare pentiti nelle loro chiese chiedendo di essere salvati e assistendo alle funzioni. In un batter d'occhio si diventava un adepto e veniva dato da mangiare e un letto per dormire. Noi tre riuscivamo, anche in questo modo a sbarcare il lunario per quanto riguardava il mangiare e il dormire.

Intanto, spostandoci ogni giorno, raggiungemmo il Texas. Amarillo fu la prima sosta, e da lì cambiammo modo di viaggiare introducendoci clandestinamente sui treni merce.

Una sera non riuscimmo a trovare da dormire perché tutti i motel e le pensioni avevano esaurito i posti letto. Non potevamo sostare nelle stazioni ferroviarie e in quelle degli autobus, perché nel Texas era vietato se sprovvisti di biglietto. Alla fine decidemmo di rivolgerci alla Polizia. Un sergente fu molto gentile ma non riuscì a trovare posto in nessun motel. Alla fine Roy, propose, per scherzo al sergente: "Allora fateci dormire nelle vostre celle vuote!". Il sergente non ci pensò due volte e, dopo avergli dimostrato che avevamo i soldi e che quindi non eravamo "bums" (189) ci concesse di dormire in cella. L'indomani ci liberò e potemmo proseguire il nostro viaggio per il nuovo Messico.

Decidemmo di viaggiare clandestinamente sui treni merce, dopo che un "rider" (190) ci aveva consigliato di usare questo tipo di trasporto, molto più rapido.

I treni merce tornavano vuoti dagli stati Eastern e Central, dopo aver trasportato frutta e verdura dalla California. Il viaggio in ogni modo era rischioso perché, se ci avessero scoperto, saremmo stati arrestati e avremmo dovuto pagare multe salate. Ad ogni fermata scendevamo, per poi ripartire arrampicandoci sui vagoni. Andò tutto bene fino a quando il treno si fermò a Tucumcari, nel New Mexico, e non sarebbe ripartito fino a nuova data. Aspettammo altri treni fino a sera. Ne passarono molti, ma nemmeno uno si fermò alla stazione. In questa stazione i convogli venivano solo riparati. La situazione si fece critica perché Tucumcari era un posto isolato, in pieno deserto attraversato dal fiume Conchares lungo circa cento miglia. Non potevamo chiedere aiuto alla piccola stazione ferroviaria perché lì c'era un posto di polizia dei "Troopers" che, vedendoci là, ci avrebbero sicuramente arrestato pensando che fossimo "riders".

Non ci rimase altro da fare che metterci in cammino con le borse in spalla, per raggiungere l'autostrada 66 e provare a fare l'autostop. Facemmo parecchi chilometri a piedi e, alla fine, raggiungemmo l'autostrada. Le macchine, però, non si fermavano perché gli autisti avevano paura di essere aggrediti, ed avevano ragione!

Procedemmo verso una strada secondaria per cercare qualche centro abitato. Ormai era già sera e nel buio cercavamo qualche insegna aiutandoci con un accendino per sigarette.

Con nostra gran sorpresa, ad un certo punto, notammo una freccia segnaletica con sopra scritto "Indian Reserve". Decidemmo di chiedere ospitalità in quel luogo. Arrivammo sfiniti e chiedemmo alloggio per una notte. Gli indiani furono molto gentili e umani. Io gli parlai in spagnolo e passare la notte con loro fu una gran bella esperienza.

Noi gli offrimmo 30 dollari ed in cambio ci diedero da mangiare granturco arrostito, patate, cipolle cotte alla brace ed acqua. Il pasto, anche se misero, fu comunque eccellente, grazie alla loro accoglienza e al gran rispetto che ci dimostrarono.

Passammo la notte in una tenda dormendo su una stuoia con sopra una coperta di lana variopinta lavorata a mano dalle loro donne. L'indomani mattina salutammo i pellerossa e raggiungemmo di nuovo l'autostrada 66 dove riprendemmo a fare l'autostop. Questa volta fummo fortunati ed un "farmer" (191) ci diede un passaggio fino ad Albuquerque, sempre nel New Mexico. Dopo Albuquerque, con la fortuna che ci assisteva, attraversammo lo stato dell'Arizona e arrivammo, finalmente in California, a San Bernardino. Qui fra gli aranceti facemmo sosta per una settimana. Raccogliemmo le arance a cottimo in modo da guadagnare un po' di soldi per poi fare il gran salto a Los Angeles.

Con Roy e Harry però ci separammo perché loro volevano andare a San Diego, mentre io proseguii per Los Angeles.

Pensavo di perdermi una volta arrivato in questa grande città, perché non conoscevo nessuno. Mi rivolsi al parroco di una chiesa cattolica, precisamente a quella della Prima Missione, fondata dai frati francescani nel 1769, situata ad Olveda Street.

Il parroco mi aiutò a trovare un posto di lavoro presso un ristorante. Qui lavavo i piatti e mi trattavano bene con il vitto e alloggio.

Un giorno, leggendo il "Los Angeles Time", negli annunci economici lessi che il consolato italiano apriva, per la prima volta dopo la guerra, gli uffici a First Street e cercavano un usciere-telefonista che parlasse e scrivesse in italiano e in inglese.

Mi presentai e fui assunto subito con la paga di 10 dollari al giorno più vitto e alloggio e, per di più, potevo comprare sigarette ed altri generi senza tasse doganali.

Ogni giorno arrivavano moltissimi italiani per sbrigare atti legali, di vendita e cose di vario genere. Un giorno si presentò l'avvocato Richard Nixon, futuro presidente degli Stati Uniti, che mi volle come interprete per difendere un italiano analfabeta.

Al consolato mi trovavo molto bene ed avevo modo di parlare italiano, conoscere molta gente e nello stesso tempo era come se fossi in Italia. Un giorno venne Primo Camera e la sua gentile signora Pina, ai quali sbrigavo la corrispondenza sia in italiano che in inglese e loro, per riconoscenza, m'invitarono spesso a cena. Dopo qualche tempo fui chiamato dalla Paramount Pictures che, tramite il mio amico Joe Samo, avevano saputo che avevo combattuto con l'O.S.S. in Italia. Ora stavano per girare un film sulla lotta clandestina in Italia, intitolato "Captain Carey U.S.A." con Alan Ladd, ed io fui assunto come consulente per tutta la durata del film. Mi girò la testa quando mi offrirono 500 dollari a settimana contro i settanta che mi dava il consolato! Mi scusai con il console ma scelsi il cinema. Affittai un appartamento a Melrose Bouleward e la mia vita cambiò radicalmente. Il film "Captain Carey U.S.A." fu per me un trampolino di lancio. Dopo quel film ne seguirono altri nei quali ero aiuto regista. Ho lavorato con Frank Capra, William Wyler e Joseph Mankiewits. Mi chiamarono molti studios come la Metro Goldwyn Mayer, dove lavorai come aiuto regista in quasi tutti i film di Mario Lanza, alla 20th Century Fox, alla RKO, all'Universal Pictures ed alla Paramount dove girai il film "Riding High", con Bing Crosby, diretto dal mio amico Frank Capra.

Andavo sempre a cercare tipi strani da usare nei film a Pershing Square. Questa piazza, era frequentata da gente singolare: prostitute, omosessuali, ruffiani, barboni, predicatori, girovaghi e pazzi. Li portavo a mangiare gratis al ristorante "Clifton" e poi li ingaggiavamo nei film come comparse. In questa piazza conobbi Bob Gruccione, l'attuale editore di "Penthouse". Lui, a quei tempi era uno studente e ci frequentammo per diverso tempo, anche se ora sono più di quarantanni che non ci vediamo. Nella comunità italiana di Los Angeles e di Beverly Hills conobbi molta gente e andavo a cena a casa di avvocati, medici e finanzieri italoamericano cui piaceva sentir parlare dell'Italia, che loro avevano lasciato anni prima emigrando in America. Nelle serate si mangiava e si cantava italiano. Il giorno del Columbus Day fummo invitati da Frank Sinatra, nella sua villa di Toluka Lake per un gran party.

Fra i tanti italoamericani invitati c'erano Dean Martin, Perry Como, Don Ameche, Robert Alda, Mario Lanza e Jimmy Durante. Fu una bella festa d'italianità e ci divertimmo molto.

Rimasi ad Hollywood fino al 1951, ma con la crisi del cinema fui, mio malgrado, costretto a tornare al Camp Stoneman a Pittsburg, dove l'indimenticabile amico, il capitano Joseph L. Judson mi trovò lavoro allo spaccio militare e così ritrovai la vita di allora, ma da civile.

Al Camp non era cambiato nulla. Ora i soldati erano addestrati per essere inviati in Corea e c'era un via vai di camion che li portavano verso il porto. Presi una stanza all'hotel "Los Medanos" e la sera uscivo con alcuni miei amici di allora che avevo ritrovato. Conobbi una bella ragazza italoamericana dal nome Mae Calegari, ma fu solo un flirt. La sera aiutavo don Filippo, il parroco della chiesa di Sant'Isidoro. Era un italiano in gamba che sapeva tenere alto l'orgoglio nella comunità italiana, dove erano quasi tutti di origine siciliana provenienti dall'isola delle Femmine in provincia di Palermo ed imparai un po' del loro dialetto. Erano pescatori e tutte le sere si mangiava pesce e si beveva vino. La cosa più strana fu che a Pittsburg abitava un mio caro amico della Compagnia "F", col quale eravamo sbarcati a Nettuno, ma che non avevo mai visto. Lo vidi dopo tanti anni in una Riunione di reduci della 3rd Division. Il suo nome era Mario Lucido e non potevamo credere di non esserci mai incontrati.

 

 

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189. Vagabondi.

190.Clandestino.

191. Contadino

 

 

 

 

 

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Parte III   Arruolamento con i "commandos" americani | Ritorno in Italia | Lo sbarco di Anzio-Nettuno. |  In forza alla 88th Infantry Division per la conquista di Roma.A due passi da casa. | Est, Est, Est. Invasione e sbarco nella Francia del sud. ! II riposo del guerriero. | Ritorno al fronte. Eccomi Tokio! Il sogno dell'America si avvera.Ellis Island.

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