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da "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI      Parte III  9

Ritorno al fronte

Rientrato a Parigi stavo decidendo di tornare in Italia quando, mentre bevevo il caffè in un bar, lessi su un giornale che Nancy era stata occupata dalla Terza Armata americana comandata dal generale Patton. Allora mi ricordai che ad Anzio avevo conosciuto un cappellano di fede cattolica, father O'Hara, un irlandese che aveva fatto gli studi di teologia a Roma nel collegio americano di Via dell'Umiltà. Parlava perfettamente l'italiano ed operava con la Terza Divisione, spesso gli servivo la messa fino a quando fu trasferito in Inghilterra per unirsi all'armata di Patton. Non volevo tornare in Italia.

Decisi allora di raggiungere la Terza Armata a Nancy. Trovai molti problemi lungo la strada, per via dei controlli, ma riuscii ad arrivare alla "Engineer Combat Unit" (183) dove uno degli ufficiali, il Maggiore Pinotti, che era italo-americano, mi consentì di rimanere fino a quando potevo continuare il viaggio per raggiungere la Terza Armata in combattimento tra Nancy e Metz. I genieri stavano costruendo i gommoni per l'attraversamento del Reno, ed io li aiutai incollando, con le presse, le parti dei gommoni. Non potevo rimanere a lungo. Fortunatamente non mi furono mai chiesti i documenti, perché i fogli di via erano validi solo per raggiungere l'Italia e non la Terza Armata. Fui fortunato sperando di farla franca con l'aiuto di father O'Hara. Con un camion raggiunsi un reparto di Sussistenza e chiesi ad un tenente, che comandava una compagnia di soldati di colore, se poteva tenermi per un po'. Mi disse che potevo restare con lui e controllare i soldati mentre scaricavano le casse ed in più avrei dovuto curare il suo cagnolino e lavarlo due volte al giorno. Provai a lavare il cane ma tutte le volte, appena lavato, mi scappava e si rotolava sulla terra tornando più sporco di prima. Tutti i soldati ridevano a crepapelle quando vedevano queste scenette. Un giorno dissi ciao al cagnolino e proseguii la strada verso la Terza Armata. I soldati di colore, prima che andassi via dal campo, mi rifornirono di scatolame e questo gesto mi commosse. Li salutai con affetto!

Cominciai ad aver paura perché non riuscivo a trovare la direzione per raggiungere la Terza Armata. Mi trovavo smarrito, non sapevo dove andare e pensavo di essere un disertore. Continuai la ricerca della Terza Armata. Fermai un mezzo militare pieno di soldati e notai che sul braccio avevano l'insegna della 45th Infantry Division "Thunderbird". Io avevo combattuto a fianco di questi soldati nella 3rd Division ad Anzio.

Con loro avevo pattugliato a Campo di Carne, Padiglione e Aprilia quando i tedeschi sfondarono il fronte.

Salii sul camion e dissi che dovevo andare al fronte senza dare nessuna spiegazione. Il mezzo militare si fermò dopo un centinaio di chilometri e seguii i soldati a piedi per circa quattro chilometri fino a quando giungemmo in un ospedale da campo oltre Epinal. Lontano si udivano, in continuazione, i colpi dei cannoni.

Una scena terrificante si presentò ai miei occhi: vidi soldati feriti e morti tutt'intorno. Alcuni avevano le teste fasciate, ed alcuni gli arti e braccia amputate. Ammucchiati c'erano fucili, bombe a mano e diversi tipi di munizioni ed inoltre elmetti, bandoliere, impermeabili di plastica ed altro equipaggiamento.

Io ero disarmato e non ci pensai due volte ad equipaggiarmi pronto a raggiungere il fronte. Mi unii a quei soldati che dovevano essere di rinforzi al fronte che mi presero come uno di loro.

Non sapevo in quale compagnia mi trovavo e rimasi zitto zitto fino a quando l'intero plotone si schierò, prendendo posizione davanti ad un obiettivo di fronte ad una casa recintata da lunghe file di pali e transenne. Probabilmente era un allevamento di bestiame. Si sparava da tutte le parti. Seppi, in seguito, che dentro la casa c'erano dei tedeschi asserragliati che si difendevano accanitamente.

L'assedio durò oltre due ore ma i tedeschi resistevano. Allora persi la pazienza e gridai forte in tedesco: "Kommt heraus mit den handen hochl". Tutti i soldati si voltarono verso di me sorpresi.

Si avvicinò un caporale e mi chiese cosa avessi detto. Gli risposi di aver detto in tedesco "mani in alto!". Riferì al sergente ed aspettammo. Quindici minuti dopo vedemmo sei o sette tedeschi uscire con le mani alzate ed uno di loro aveva una bandiera bianca. Subito notai che alcuni dietro non tenevano le mani alzate. Lo dissi al sergente che subito ordinò di far fuoco. Questo trucco l'avevano già usato ad Anzio e molti soldati americani avevano perso la vita. Il sergente mi offrì una sigaretta. Alla fine del combattimento, quando i tedeschi si arresero, tutti mi chiesero a quale compagnia appartenevo e fui costretto a dire la verità. Mostrai l'articolo di Ernie Pyle e il piastrino. Il tenente Vince Martinellli ne prese atto e si ricordò della mia storia sul "The Stars and Stripes " e mi disse che ne avrebbe parlato subito con il colonnello Parker al momento opportuno. Lui garantiva per me! Dissi che stavo cercando di raggiungere la Terza Armata e mi ero perso. Partecipai a tanti combattimenti e fui d'aiuto in diverse occasioni sia per la mia esperienza, sia perché quando si trattava di andare in combattimento nessuno mi fermava.

Un giorno il tenente Martinelli mi accompagnò dal tenente colonnello Parker, comandante del battaglione, per spiegargli che avevo combattuto con il suo reparto distinguendomi nelle azioni. Parker andò su tutte le furie e disse al tenente che non doveva tenermi al reparto e che potevo essere una spia. Mostrare il tesserino, il piastrino, l'articolo e i documenti fu inutile, inoltre mi fece consegnare alla polizia militare e mi condussero al Quartiere Generale della 45th divisione a Epinal. Lì fu tutto chiarito con un fonogramma del colonnello Reynolds al quartiere della Quinta Armata in Italia. Il colonnello Reynolds mi fece sapere che, una volta tornato in Italia, sarei dovuto andare da lui a Montecatini perché mi avrebbe riassunto con la 88th Infantry Division che combatteva sugli Appennini tosco-emiliani. Alla fine mi rilasciarono con tutte le scuse, ma ormai avevo deciso che dovevo andare a tutti i costi da father O'Hara.

Dopo due giorni arrivai finalmente ad Ars sur Moselle e trovai father O'Hara. Quando il cappellano mi vide rimase sorpreso e volle sapere come avevo fatto ad arrivare fin là. Gli dissi che volevo rimanere a combattere con la Terza Armata e se poteva chiedere un colloquio per me al generale Patton. Replicò con faccia seria: "Ma sei matto? Pensa che in Sicilia ha schiaffeggiato un soldato, a te darà sicuramente un calcio nel sedere. Comunque tu rimarrai con me e mi servirai la messa tutti giorni come facevi ad Anzio". Father O'Hara, per tutelarmi da ogni sanzione di disertore, comunicò al Quartiere Generale della Terza Armata che ero stato assunto come sacrestano. Furono spediti i fonogrammi alla Quinta Armata in Italia dove si affermava che ero passato nei ranghi della Terza Armata di Patton. Questo compito giustificava la mia presenza. Accettai di buon grado la proposta, e spesso vedevo il generale Patton che assisteva alla messa. Un giorno ebbi la fortuna di essere presentato all'aiutante in campo di Patton. Quando raccontai tutto al colonnello Johnson, egli mi prese in simpatia e, dopo aver letto le mie credenziali, mi assicurò che un giorno mi avrebbe presentato al generale.

Continuai a servire la messa fino a che un giorno mi fu comunicato che il generale Patton voleva vedermi. Non stavo più nella pelle perché avrei parlato con il più famoso generale americano.

Quella mattina mi sentivo come un piccolo topolino, tanto era la sua imponenza con quegli stivali e con le due pistole con la madreperla incastonata nei calci che pendevano dal suo cinturone. Avevo parlato con i generali Clark, Lucas, Truscott e Sloan ma con loro il discorso era più agevole, mentre davanti al generale Patton ero intimidito.

Mi guardò come un raro esemplare e la prima cosa che mi chiese fu se ero siciliano. Risposi di no e gli dissi che abitavo nel Lazio, a cento chilometri da Roma. Lui subito mi parlò di Cicerone e di Caio Mario nati dalle mie parti. Era molto preparato sulla storia romana e mi parlò di Giulio Cesare e Scipione l'Africano. Il nostro discorso scivolò tranquillo e mi disse: "Tu mi ricordi Giuseppe Garibaldi. Ebbene ti voglio autorizzare a combattere con la mia Armata, tanto più che hai già combattuto con una mia Divisione, la Terza che io comandai in Tunisia ed in Sicilia".

Mi assegnarono alla 90th Infantry Division, 358th reggimento della Terza Armata. Quando arrivai al fronte, in forza alla Compagnia "E", il capitano Hamilton era già stato avvisato e la notizia si era già sparsa fra i soldati. L'offensiva verso il Reno era in preparazione, mentre il comando della Wermacht stava preparando un altro attacco nelle Ardenne per distruggere le nostre forze fra Antwerp-Bruxelles-Bastogne. Questo attacco fu chiamato "Operazione Greif". Durante il contrattacco tedesco, la Terza Armata ebbe l'ordine di liberare le divisioni americane accerchiate a Bastogne. Il nostro battaglione prese contatto con la 2a Division Panzer "SS". Una speciale unità, la "Combat Unit", fu formata da forze di commandos e guastatori per far saltare i ponti e fare da supporto ai nostri carri armati per fermare l'avanzata nemica. Io, come esperto in queste azioni, fui aggregato a quell'unità. Vi fu un successo iniziale, ma dopo fummo dispersi. Io mi trovai con il sergente Taylor e i soldati Feller, Tucker, Mc Mahon e Morrison. Con una marcia forzata entrammo in un bosco, coperto di neve, ed ogni qual volta che questa cadeva dai rami ci guardavamo allarmati come se fossero i tedeschi che arrivavano. Camminammo per circa un'ora in mezzo ai rami caduti e alla neve che continuava a cadere, quando sentimmo degli spari che non riuscivamo a capire se fossero stati dei nostri o dei tedeschi. Subito dopo ci fu un fragore di schegge intorno a noi. Ci buttammo giù ma solo io, il sergente Taylor e Mc Mahon ci rialzammo, gli altri erano rimasti uccisi. Levammo i piastrini ai nostri morti e lasciammo una croce rudimentale sulla neve.

Camminammo per ore e già stava calando la notte, quando sentimmo delle voci in inglese. Chiamammo affermando che eravamo americani e ci dissero di gettare le armi e venire in avanti con le mani alzate. Pensavano che fossimo tedeschi vestiti da americani che si erano infiltrati nelle nostre linee, ma alla fine le cose furono chiarite. Erano anche loro dispersi e non sapevano dove si trovavano. Sotto un albero stava disteso, ferito molto grave, un soldato del New Mexico. Voleva la madre ed un sacerdote cattolico. Gli andai vicino e gli parlai un po' in spagnolo. Mi prese per un cappellano e mi chiese la benedizione. Per farlo contento iniziai dicendo: "In nomine Patris et fìlio et Spiritus Sancto". Pochi minuti dopo morì, si chiamava Manuel Garcia e anche lui ebbe un croce rudimentale!

Durante la notte si moriva dal freddo e sempre con la paura di esser scoperti dai tedeschi. Nelle prime ore del mattino iniziammo la marcia sperando di trovare uno sbocco. Fummo liberati dal 13th Armored e poi raggiungemmo la 90th Division ed il nostro reparto.

Durante il mese di gennaio del 1945 i tedeschi continuarono ad attaccarci, ma gli facemmo capire che la 90th Division non avrebbe mollato. Durante le altre settimane i tedeschi sferrarono con furia nove contrattacchi, capeggiati dai carri armati della 2a Panzer Division, e lasciarono centinaia di soldati morti sulla neve. Altri tre attacchi furono respinti ad Oberwampach e questi furono i più violenti. In trentasei ore di combattimento la 334th Field Artillery sparò 600 colpi. Finalmente sconfitti, i tedeschi si ritirarono verso il fiume Our. In questi combattimenti ebbi un Encomio Solenne (Solemn Encomium).

La 90th Infantry Division raggiunse il fiume e ci trovammo in suolo germanico. Questa volta li avremmo combattuti in casa.

Era la fine di gennaio 1945, la primavera si avvicinava e la Terza Armata si preparava per la grande offensiva per porre fine a questa guerra. La nostra avanzata continuò rapidamente in tutto il Palatinato ed arrivammo davanti alla "Linea Siegfried". Trovammo strade impraticabili, fango e resistenza nemica. Per passare con i veicoli dovemmo far giungere centina di tronchi d'albero; fu un lavoro arduo. Dopo il Bulge, La Mosella, finalmente arrivammo sul Reno. Consolidammo la presa di Hanau and Offenbach, difesa da un battaglione di fanatici della "Hitler Jugend", che resistette accanitamente, ma alla fine furono sopraffatti. La rapida avanzata continuò verso Dippach e Oberzella fino alla conquista di Merkers. Qui trovammo tutto il tesoro del Reich nascosto sotto una grande miniera di sale. C'erano tutti i lingotti d'oro del Reich e quelli rubati alle altre nazioni, compresi quelli della Banca d'Italia.

Sollevai un lingotto italiano e lo mostrai al tenente Bridgeport che sorrise. Continuammo la nostra marcia fino a Moosburg e liberammo i prigionieri di un lager. La maggioranza era russa ma vi erano anche italiani, francesi ed una cinquantina di alleati. Non appena aprimmo i cancelli una marea di prigionieri si riversò sulla strada esultante. Sembrava la scena di un film di Cecil De Mille. Il 4 maggio 1945 la 90th Divisione passò la frontiera cecoslovacca, aprendo la strada al passo Regen. Tutte le compagnie formarono un reparto di esploratori per osservare il resto dei tedeschi che ancora combattevano contro i russi. Si arrese, intatta, l'11° Panzer Division. Intanto nei villaggi cecoslovacchi la gente festosa ci dava il benvenuto con danze e fiori. A rovinare tutto venne il messaggio di Eisenhower che ordinò a Patton di fermare l'avanzata su Praga, e di lasciare che l'Armata Rossa occupasse la Cecoslovacchia. Non avevo mai visto il generale così arrabbiato. Lui voleva occupare la Cecoslovacchia per lasciare libero un paese che anelava la libertà. Per accontentare i sovietici, i patti erano già fatti. Facemmo contatto con i russi e, secondo loro, fu un incontro storico. Iniziò la festa tra abbracci e baci fra le nostre e le loro truppe.

Non lontano vedemmo cinque soldati tedeschi che agitavano la bandiera bianca. Ma non fecero in tempo! Immediatamente furono circondati dai russi che li portarono via, levando loro di dosso gli orologi ed altri oggetti. Mentre gli americani e i russi continuavano con i loro abbracci e con le grida di gioia, io ero là in un angolo che guardando i miei ex nemici sopra i loro carri armati T-34 (che poi erano quelli regalati loro dagli americani), gli stessi che avevano distrutto il corpo di Armata Alpino in Russia e che io combattei con mine e bombe a mano a Nikolajewka. Guardai i russi con le braccia piene di orologi catturati ai prigionieri, e chissà se fra quelli c'era quello di un alpino caduto in Russia?

Qualche russo venne ad abbracciarmi chiedendomi "davai Papiros!" (184), ma io rispondevo "Ne zaguriti" (185). La memoria mi riportava a Nikolajewka. Mi chiesi ma dopo tutta cos'è la guerra? È distruzione di popoli. Notai che i soldati russi si soffiavano il naso con le dita e non usavano i fazzoletti come facevano tutti.

Indispettiti e con rabbia iniziammo la marcia di retrocessione nei luoghi prestabiliti dal Comando Supremo. Mentre noi indietreggiavamo i Cecoslovacchi, delusi, ci salutavano tristemente, ed in cuor loro si aspettavano l'avanzata dell'Armata Rossa nei loro territori appena conquistati dalle forze americane. La guerra finì il 5 maggio 1945!

Durante una visita a Salisburgo incontrai i soldati della Terza Divisone in servizio di occupazione. Trovai amici della Compagnia "F" e chiesi di Charles Willard. Mi dissero che era caduto a Cisterna il 5 marzo 1944. Avevo perso il mio migliore amico americano.

 

 

Eccomi Tokio!  >>>

 

183. Unità Combattente del Genio.

184. Dammi una sigaretta!

185. Non fumo!

 

 

 

 

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Parte III   Arruolamento con i "commandos" americani | Ritorno in Italia | Lo sbarco di Anzio-Nettuno. |  In forza alla 88th Infantry Division per la conquista di Roma.A due passi da casa. | Est, Est, Est. Invasione e sbarco nella Francia del sud. ! II riposo del guerriero. | Ritorno al fronte. Eccomi Tokio! Il sogno dell'America si avvera.Ellis Island.

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