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da "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI      Parte II  3

Verso il fronte russo

Finita la sosta a Budapest, si ripartì alla volta della Transilvania attraverso il territorio del conte Dracula, il vampiro che, come descritto dall'autore inglese Stoker Braum nel suo romanzo "Drakula", infestava la zona entrando di notte nelle case per addentare il collo di bellissime fanciulle per succhiarne il sangue.

La tradotta continuava la sua lenta corsa nella notte fermandosi a quasi tutte le stazioni per lasciare libero il passaggio ai convogli tedeschi. Faceva freddo e noi del "Cervino", sebbene ben equipaggiati con scarponi "Vibram" e giubbotti di lana, sentivamo l'atmosfera gelida dei vagoni e per riscaldarci cantavamo le canzoni alpine e bevevamo grappa.

Attraversata una parte della Romania arrivammo a Jasi festeggiati dalla gente e dalle ragazze, che ci offrivano uova e galline per pochi "Leu" (107), anche se preferivano i marchi tedeschi alle nostre lire. In piena Bessarabia cominciavamo a vedere gli orrori della guerra: case distrutte, carri armati bruciati con i russi carbonizzati sulle torrette, cannoni abbandonati e gente che fuggiva con carretti pieni di cianfrusaglie che si trascinavano dietro con vecchi e bambini.

Al principio la nostra destinazione era di raggiungere il Caucaso, ma il comando tedesco, non so per quale motivo, ci fece dirottare verso le anse del fiume Don per raggiungere gli altri reparti del C.S.I.R. (108), schierati in quel settore. Fra noi vi fu malumore perché eravamo tutti impiegati nelle divisioni di fanteria.

In tradotta, vicino a Karkow, fummo attaccati dai russi che, infiltratisi nelle nostre linee, misero scompiglio con i loro carri armati nelle retrovie. Fummo costretti a scendere dalla tradotta e a tamponare la loro avanzata insieme ai bersaglieri, ai fanti della "Torino" e della "Pasubio". Perdemmo il tenente Bruno, colpito da una scheggia mentre sedeva sul sedile del treno. Morì senza accorgersene.

Respinti i russi risalimmo sul treno e continuammo il viaggio verso Jassinovatoja dopo aver superato Stalino, centro carbonifero dove si vedevano le piramidi del fossile nero. Per noi era stato il battesimo del fuoco in terra russa.

A Jassinovatoja fummo passati in rivista dal generale Giovanni Messe, comandante del C.S.I.R., ed avviati al fronte.

Seguendo la famosa "Colonna Chiaramonti", dopo aver occupato la cittadina di Gorlowka, costata 38 ore di duri combattimenti casa per casa, affrontammo per la prima volta i famosi carri armati "T34". Era un nuovo tipo di carro armato con cui nessun carro tedesco era in grado di competere e tutti ignoravano la loro esistenza. Si parlava di carri armati di fabbricazione americana inviati dagli Stati Uniti come aiuto militare da parte di un alleato. Era il 14 ottobre 1941 e l'inverno presto si annunciò con la prima tempesta di neve. Il fronte si era trasformato in trincea formando una linea di sostegno per il prossimo inverno. Iniziammo a scavare le buche di postazione delle mitragliatrici, pronti ad entrare in azione con la neve, ormai troppo alta, usando gli sci.

All'inizio fummo impegnati in leggeri combattimenti d'assaggio con qualche pattuglia russa, poi fummo impegnati in duri combattimenti contro considerevoli forze che, di giorno in giorno, andavano assumendo un atteggiamento controffensivo

Un pesante strato di neve copriva la mattina seguente la cresta della nostra postazione. Era una giornata grigia ma netta e per la prima volta potevo esaminare le posizioni nemiche.

I russi a quanto pareva erano ammassati su tutta la linea ma non sapevamo quando ci avrebbero attaccato.

Fronte Russo: trainando un cannoncino anticarro sul Don, prima della ritirata

Il capitano Lambelli ordinò subito una pattuglia e in un attimo, con le armi a tracolla, scivolammo verso le loro linee. Arrivati a circa trecento metri, vedemmo in fondo degli uomini a cavallo e capimmo che si trattava di Cosacchi. Il sergente Pellissier ci ordinò di ritirarci, e ben presto tornammo nelle nostre linee, dove ci porsero un gavettino di cognac da sorbire un sorso ciascuno. I nostri ufficiali, intanto, provvedevano a dare ai comandi i dati per il pieno successo tattico della nostra pattuglia, arrivata quasi vicino alle trincee nemiche.

Al nostro ritorno consegnammo un "parabellum", raccolto vicino ad un soldato russo morto. Si trattava di un'arma di linea piuttosto rozza, molto robusta e di facile manutenzione. Sparava a colpo singolo o a raffica con un caricatore da 35 proiettili. I nostri M.A.B. (109) invece, con un numero minore di proiettili, spesso s'inceppavano.

Ogni tanto ci mandavano, con la slitta, nelle retrovie per prelevare vino, grappa e vettovaglie. Un giorno durante una bufera di neve ci perdemmo e dopo aver vagato per ore ci trovammo in un villaggio sperduto. Chiedemmo ad un uomo il nome del villaggio ed egli ci rispose che si chiamava Cristoschenaja. Ci guardammo in faccia e dissi a Pellissier: "E che naja!", riferendomi alla "naja" militare.

Si fece notte e non potendo proseguire ci facemmo ospitare in una casa. Inutile dire che, ognuno di noi, trovò una ragazza, per passare una notte di piacere, alleggerendo i viveri della slitta.

In questo libro mi sono esaltato per la conquista di donne ed ho narrato le mie "avventure" come un Casanova appassionato, invece le mie erano storie occasionali, perché in guerra non si tarda a fraternizzare con le ragazze. Distribuiti singolarmente, o a piccoli gruppi, nelle case, convivevamo pacificamente con le famiglie che ci ospitavano e un pacchetto di sigarette, una scatola di carne o qualche galletta, ripagavano ampiamente il disturbo di una notte d'amore. In guerra, lontani dalla patria e senza il conforto di donna, noi soldati eravamo tentati e ci servivamo egoisticamente di queste donne senza capire fino in fondo la loro fame e la loro miseria.

Nei villaggi trovavamo soltanto donne, vecchi e bambini. Gli uomini erano lontani a combattere sull'altro fronte e le donne giovani e sole non negavano agli ospiti qualcosa di più.

Non abbiamo tardato a scoprire che non esistevano i "bordelli" accoglienti dove il soldato di solito si rifugiava per trascorrere un'ora piacevole, e allora era meglio arrangiarsi da soli. Nei rapporti spontanei le ragazze russe erano, infatti, molto socievoli. La guerra è guerra ed il soldato ne approfitta senza nessuna pietà perché rischia la vita al fronte.

In Russia l'amore era libero e quindi non se ne faceva commercio e le donne non volevano essere chiamate "curva" (110), perché consideravano la prostituzione l'ultima delle vergogne, quindi lo facevano solo per amore. Del mio comportamento non debbo rispondere a nessuno della mia famiglia, perché a quei tempi ero scapolo ed in Italia non avevano nessuna fidanzata. Per me è stata una bella esperienza e basta.

 

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107. La moneta locale.

108.Corpo di Spedizione Italiano in Russia.

109.Moschetto automatico Beretta. 62

110.Prostituta.

 

 

 

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dicembre 2004

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