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da "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI      Parte III  2

Ritorno in Italia

Terminato il training e l'esame di idoneità fisica, prestammo giuramento nell'U.S. Army (153), pronti per operare dietro le linee nemiche nei dintorni di Cassino.

Imbarcati su un aereo da trasporto militare ripetemmo lo stesso itinerario dell'andata: Newark-Terranova-Glasgow-Algeri-Foggia. Dopo altri ventidue giorni di addestramento tornammo a Napoli, per essere impiegati nelle retrovie. Devo precisare che il nostro compito era di compiere rischiosi atti di sabotaggio nelle retrovie nemiche, ma non eravamo agenti segreti. Questo ruolo era riservato ad altri, in differenti servizi, in contatto con noi per fornirci notizie sui posti dove dovevamo operare.

88th Infantry: verso il fronte del Volturno.

L'O.S.S. era un'agenzia segreta del noto "Intelligence Service Americano", composto da esperti in ogni campo che compivano atti di sabotaggio sugli obiettivi del sistema di rifornimento di armi e munizioni, sulla distruzione di depositi militari, strade, ponti e nodi ferroviari. Questo servizio era sotto la giurisdizione dei Capi di Stato Maggiore dell'Esercito, dell'Aviazione e della Marina degli Stati Uniti sotto la guida di William I. Donovan. Le nostre imprese erano rischiose e, se catturati, eravamo passati per le armi sul posto senza processo in quanto sprovvisti di identificazione. Da Napoli fu organizzato il nostro invio sulle retrovie nemiche. Fra le considerevoli difficoltà di oltrepassare le linee nemiche dalle posizioni americane, dove operavano le truppe lungo il fronte sul Volturno ed oltre il Biferno, fu deciso di paracadutarci oltre le linee di Acquafondata. Una notte, da un aereo di pattuglia, ci lanciammo su una collina situata a 926 metri d'altitudine in un altipiano tra il versante del Volturno e quello del Garigliano. Al momento del lancio i membri dell'O.S.S. ci segnalavano da terra, con luci intervallate, il posto dove atterrare.

Con altri quattro ci dividemmo e ognuno seguì la propria destinazione. Io ero diretto a Roccasecca d'Arce per raggiungere la base. L'appuntamento era nel Convento di frati minori cappuccini e, guarda caso, lì aveva frequentato gli studi di teologia mio fratello Antonio, che aveva lasciato il saio prima di essere ordinato.

Al convento mi dovevo presentare come uno "sfollato" dal momento che lì erano ospitati gente di Cassino e dintorni fuggiti dal fronte.

Io avevo avuto l'ordine d'indossare sempre la giacca di lana di pecora ed il cappello da "pecoraio" per essere riconosciuto, e di attendere al convento per il contatto. Rimasi in quel luogo per due giorni ascoltando le messe e chiacchierando con il rettore, frate Egidio, che si ricordò vagamente di mio fratello quando gli dissi che aveva studiato nel convento.

Notai che alcuni tedeschi venivano alla messa ed erano in parte austriaci e bavaresi di religione cattolica.

Finalmente si presentò un tale che si qualificò con lo pseudonimo di Tigre. Senza salutare nessuno lo seguii per una lunga camminata e dopo molte ore raggiungendo Monte Cairo, a 1669 metri d'altezza.

Trovammo una trentina di uomini che si esercitavano vicino alle cave e agli anfratti e uno di loro, che mi sembrò il capo, mi diede il benvenuto in italiano.

Era un uomo di media altezza e parlava la nostra lingua con un forte accento meridionale. Si complimentò con me e mi chiese se ancora sapevo combattere come facevo durante le mie passate esperienze di guerra. Gli dissi di sì e subito mi fu data una macchine gun (154), e fu così che mi riebbe la guerra!

Furono entusiasti quando dissi loro che ero stato con la squadra dei Guastatori in Russia e sapevo usare qualsiasi tipo di esplosivo. Sapevano anche che ero stato decorato con tre medaglie d'argento al V.M. e con la Croce di ferro tedesca.

In altre parole sapevano tutto di me e capii che, nel servizio segreto, erano molto organizzati. Mi dissero pure che ero cittadino americano perché lo era mio padre.

Noi non sapevamo il vero nome di "Capitan Bill", il nostro capo, e tanto meno quello degli altri che come me avevano nomi di fantasia. Io ero chiamato Eagle giacché ero stato un Alpino.

Nel gruppo eravamo dei numeri, ed i nostri nomi reali erano elencati in un archivio top secret del Quartiere Generale della Quinta armata sotto la giurisdizione del Generale Alfred M. Gruenther.

Gli aerei di notte ci paracadutavano armi, esplosivi, viveri e tutto quello di cui avevamo bisogno, più i giornali americani per le notizie. Molte volte arrivavano ispezioni di persone che noi non conoscevamo ma che ovviamente erano uomini ombra dell'O.S.S. Questo guerra era differente da quella delle trincee.

Noi attaccavamo l'obiettivo nemico in un gruppo di tre o quattro, trovando gli esplosivi messi da altri nel posto indicato vicino il raggio d'azione. Subito dopo aver predisposto la dinamite al plastico sull'obiettivo, tutti dovevamo fuggire in luoghi diversi per incontrarsi il giorno dopo nella zona di Pontecorvo, Atina e Piedimonte San Germano. L'azione più clamorosa fu quella nella stazione di Isoletta dove facemmo saltare un treno carico di cannoni e munizioni ad alto potenziale.

Dopo qualche tempo fu presa la decisione di abbandonare Monte Cairo e trasferirci al Monte Autore, a 1853 metri di altezza, fra Subiaco e Capistrello. Il luogo non era tanto impervio ed io conoscevo la zona perché ci andavo spesso in pellegrinaggio alla Santissima Trinità, sulle alture di Vallepietra. Andammo in quella zona per un periodo di riposo e per riorganizzare le future azioni di disturbo contro il nemico. A Monte Autore ci accampammo in un rifugio di pastori dove c'erano quattro capanne vuote, lasciate qualche mese prima con l'arrivo dell'inverno, e qui i servizi segreti avevano scoperto durante quel periodo non ci sarebbe stato anima viva. Nei dintorni non c'era traccia neanche di tedeschi.

Erano i primi di novembre, le montagne erano coperte di neve e malgrado indossassimo vestiti molto pesanti la notte soffrivamo il freddo. Spesso la mia mente ritornava ad Anna, a mia madre, a mio fratello e gli amici che non sapevano che fine avessi fatto. Dovevamo combattere su ogni tipo di terreno: valli, foreste, montagne, paludi e fango. Dovevamo vestirci da frati, da preti, da tedeschi, da pastori per attuare i nostri attacchi di sabotaggio, perché era il modo migliore di evitare le SS che catturavano giovani e uomini abili al lavoro per usarli nei lavori di fortificazione oppure nelle officine. Nei villaggi si vedevano solo ragazzini e vecchi.

Durante la nostra sosta sul Monte Autore partecipammo a diverse azioni di sabotaggio nell'area di Tivoli, Colleferro e sulla Casilina, distruggendo ponti e binari ferroviari. Un giorno fummo destinati ad un'importante missione: quella di liberare un generale inglese e sette ufficiali americani detenuti nel campo di concentramento di Laterina, in provincia di Arezzo. Con un camion rubato all'organizzazione TODT ed attrezzato con un doppiofondo per contenere otto persone, vestiti con la divisa di lavoro giallognola tipica degli operai, arrivammo di buon mattino davanti al campo di concentramento riservato agli ufficiali alleati catturati sul fronte italiano dai tedeschi. Il campo di prigionieri era situato nelle campagne e ben guardato dalle sentinelle. Un nostro agente con perfetto accento tedesco consegnò al capo del corpo di guardia i documenti, falsificati alla perfezione, dichiarando di essere autorizzato ai lavori di manutenzione del campo con la sua squadra. Il sergente tedesco con i documenti firmati dal capo dei lavori nei campi di concentramento, andò a farli controllare dal comandate e poco dopo tornò con l'ordine di farci entrare per effettuare il lavoro autorizzato. Il nostro capo dei lavori gli consegnò la lista degli operai che sarebbero stati controllati all'uscita.

Ci dislocammo fra le baracche con carriole e badili mentre il capo controllava un attento ufficiale tedesco. Ognuno di noi consegnava una divisa da operaio della TODT, che tenevamo nascosta in un sacchetto, agli ufficiali da far evadere mentre gli altri distraevano le guardie.

L'operazione durò venti minuti e tutti gli ufficiali furono nascosti nel doppio fondo del camion. Quando fu tutto pronto uscimmo dal campo. Salutammo con "Heil Hitler" sistemati in mezzo a pale, picconi, fili spinati e sacchetti di cemento, portandoci dietro il nostro prezioso carico umano e raggiungemmo Loro Ciufenna in provincia di Arezzo.

I prigionieri liberati furono consegnati al parroco di Santa Maria Assunta, don Mario Perrini ed alla signora Amelia Mazzoni (155) che erano collaboratori del C.N.L. In seguito i prigionieri sarebbero stati prelevati da un nostro gruppo di agenti dell'O.S.S. per varcare le linee alleate.

Sparpagliati ognuno per conto proprio ritornammo alla nostra base di Monte Autore.

Un'altra missione fu di fotografare i carri armati tedeschi della Hernann Goering, a Villa Santo Stefano.

Indossavamo la divisa dei soldati del genio della Wermacht ed avevamo permessi fedelmente contraffatti e strumenti ottici per ispezionare e controllare i periscopi dei carri armati.

Arrivati a Villa Santo Stefano io facevo da guida, sperando di non essere riconosciuto. Mi ero fatto crescere barba e baffi e una sciarpa mi copriva mezza faccia. Un nostro agente vestito da capitano presentò i documenti per l'ispezione e tutto andò alla perfezione. Con macchine fotografiche grandi come scatole di cerini, i miei amici fotografavano tutto mentre i tedeschi curiosavano tra i tecnici che manovravano i periscopi, ignari del fatto che li stavano danneggiando.

Mentre ci accingevamo ad andare via, mi passarono vicino mio cugino Marcantonio e Peppe "Cucchiaron'" (156) . Mi guardarono ed io abbassai la testa per non farmi riconoscere. Andò tutto bene e facemmo una visita al fiume Amaseno dove c'erano parcheggiati altri carri armati che subirono la stessa sorte.

Un'altra missione la effettuammo sul fiume Po, nei pressi di Adria. Con un barcone armato e con bandiera tedesca issata a bordo, partimmo da Porto Tolle sul Po e facemmo saltare quattro ponti con esplosivo a scoppio ritardato. Compimmo atti di sabotaggio in Ciociaria facendo saltare ponti, binari ferroviari, treni carichi di materiale militare, gallerie e posti di comando di presidio.

Venne poi l'ordine di far saltare un campo minato nei pressi di Venafro ed una batteria da 88 mm tedesca dislocata in alta montagna, che arrecava forti perdite alle nostre Divisioni di fanteria.

Questa missione fu preparata con accurata capacità e precisione, perché era considerata rischiosa sotto ogni aspetto. Ci preparammo con un addestramento duro poiché dovevamo superare numerosi ardui ostacoli. Questa azione fu considerata audace perché dovevamo operare dietro le linee avanzate tedesche. Dovevamo penetrare tra le montagne considerate inattraversabili. Noi eravamo preparati e ben forniti di zaini contenenti tritolo al plastico e vestiti da soldati tedeschi armati ed equipaggiati nei minimi dettagli. Le uniformi e le armi erano sporche perché erano state tolte ai soldati tedeschi morti o fatti prigionieri sul fronte italiano, ed erano state poi fatte paracadutare sulle nostre basi insieme alle piastrine di riconoscimento, alle maschere antigas, agli zaini, alle borracce, agli elmetti e ad altro materiale. Gli ordini erano di dirigersi, appena effettuata la missione, verso le linee americane e pronunciare la parola d'ordine "Texas - Tennessee". Le divisioni americane furono avvertite di non spararci addosso. Ci divisero in due gruppi: uno era destinato sul campo minato, mentre l'altro doveva distruggere la batteria di 88 mm.

Mi mandarono nel gruppo destinato a far saltare il campo minato, con il comandante Gregor che era vestito da tenente tedesco e che parlava in perfetto prussiano. Riuscì ad ingannare il comando che teneva la parte del fronte prescelto per attraversare e compiere l'azione con ordini ben falsificati. Gregor spiegò al capitano tedesco, mostrandogli i documenti, che la nostra missione era di effettuare un blitz sulle linee americane. Compiaciuto il capitano ci fornì una guida per indicarci il passaggio per non incappare sulle mine sepolte. Arrivati sul posto eliminammo la guida con una pugnalata. Quel giorno pioveva forte e, giunti ai margini del campo minato, ognuno di noi sistemò l'esplosivo e di corsa si riparò dietro le rocce. Il dispositivo fu fatto brillare e un'esplosione a catena illuminò tutta la zona. Immediatamente i tedeschi iniziarono un fuoco di mortai e mitragliatrici. Con molte difficoltà ci dirigemmo verso le linee americane. Io fui ferito da una scheggia ad una gamba e non potendo raggiungere le linee una pattuglia della 36m Infantry Division venne a prelevarmi.

Mi portarono davanti ad un maggiore al quale feci rapporto della missione, e fu emesso un documento per il mio ricovero in un ospedale americano. Mi spogliai della divisa tedesca, sostituita da una americana, e fui rifocillato. Accompagnato da un sergente e da un soldato montai su una jeep e con loro scendemmo a valle su una strada fangosa, dove incontrammo file di soldati che salivano verso il fronte.

Mentre proseguivamo incontrammo una fila di Alpini italiani che conducevano dei muli e li salutai con "ciao pais!". Questi furono sorpresi e mi salutarono a loro volta. Feci fermare la jeep e spiegai loro in breve la mia storia. In pochi minuti mi offrirono della grappa e mi dissero che erano stati dislocati in Sardegna durante l'armistizio e poi portati a Napoli. Ora gli americani li avevano adibiti a servizio di salmerie e trasportavano rifornimenti al fronte e riportavano indietro le salme dei caduti. BRAVI ALPINI! Dopo un'ora e mezza arrivammo al 16th general hospital a Capua, e i due soldati mi portarono all'accettazione informando che io ero uno dell'O.S.S., indi mi portarono al pronto soccorso dove un'infermiera mi curò la ferita ed un dottore applicò alcuni punti di sutura.

Mi fu assegnato un lettino pulito in una corsia e subito mi addormentai. Quando la mattina dopo riaprii gli occhi, trovai vicino al letto un soldato che incuriosito mi disse: "Hai avuto degli incubi per tutta la notte e parlavi un po 'inglese e un po italiano". Gli spiegai tutta la mia storia e da allora diventammo amici.

Quel soldato era Charles H. Willard, un fante della 3rd Infantry Division di New Orange, New Jersey. Era un vero amico e mi correggeva le parole che sbagliavo in inglese.

Un giorno mi portò a vedere il "Barbiere di Siviglia" in un cinema di Napoli, poiché il teatro San Carlo era stato danneggiato dalle bombe, ed al ritorno mi chiese di cantargli la "Cavatina di Figaro". La cantai fino all'arrivo mentre lui ripeteva "La ra la la" ed all'ospedale ci mandarono tutti al diavolo. Charles mi dimostrò la sua amicizia giorno per giorno e con lui cantavo sempre "Figaro qua Figaro là" tanto che mi scritturarono in uno spettacolo del U.S.O. (157). Cantai "O sole mio " insieme ad altre canzoni italiane e a qualche romanza d'opera. Fui applaudito e divenni il beniamino dei soldati e delle infermiere americane.

Marlene Dietrich ad uno spettacolo della 90th Divisione del Generale Geroge Patton a Metz. Io dietro alla sinistra dell'attrice.

 

Il Natale fu celebrato in forma solenne. Rimasi toccato profondamente nel sentire i soldati che cantavano gli inni di Natale. Io conoscevo solo "Adeste Fideles" che cantavo in latino.

II pranzo fu splendido ed appetitoso con il tacchino tradizionale, con la torta e il caffè. Ilmio amico Charles mi regalò un cartone di sigarette "Lucky Strike" e un accendino.

Rimanemmo parecchi giorni insieme, fino a quando fu dimesso e partì per il fronte al Volturno, dove combatteva il suo reggimento, il 30th Infantry. Mi abbracciò fraternamente e mi disse: "Se puoi, vieni a trovarmi qualche volta". Anche per me venne il giorno in cui mi dimisero dall'ospedale. Non sapevo cosa fare e dove andare, quando fui richiamato al magazzino vestiario e mi diedero una fiammante divisa militare americana. Ero veramente sorpreso e lo fui di più quando trovai una jeep che mi stava aspettando con un sergente e il suo autista. Il sergente mi disse che doveva portarmi al quartiere generale della Quinta Armata a Caserta. Non potevo credere che indossavo una divisa americana.

Arrivati al Quartiere generale, fui portato davanti all'ufficiale Superiore addetto all'O.S.S. che mi accolse con un sorriso e mi disse che la mia missione con loro era ormai finita, e che un nuovo gruppo dietro le linee nemiche era stato già formato. Mi disse: ''Ora l'esercito americano ha bisogno di te e con tutte le esperienze che hai avuto e con la tua conoscenza delle zone attorno a Cassino, sarai prezioso nel condurre le nostre truppe attraverso il suolo italiano ".

In seguito fui introdotto al Maggiore generale Alfred M. Gruenther, Capo di Stato maggiore della Quinta Armata, che stringendomi la mano mi ringraziò per quello che avevo fatto, informandomi che sarei stato inviato ad un'unità combattente, quale guida ufficiale della Quinta Armata. Gli chiesi se potevo andare alla 3rd Infantry Division dove avevo già un amico. Fui accontentato! Dallo stesso generale Gruenther fui accompagnato all'ufficio del Comandante della Quinta Armata, il generale Mark W. Clark, e fu per me una grande gioia quando mi strinse forte la mano.

Il generale Clark era una persona alla mano, mi fece offrire da bere e volle sapere tutta la mia storia e le mie peripezie con l'O.S.S. Quando ci salutammo gli dissi: "Generale ci vedremo a Roma!". Lui sorrise convinto. Le procedure non finivano mai e fui mandato da un fotografo che fece due o tre pose. Andai alla mensa, sempre accompagnato dal sergente, mangiammo, andammo a vedere un film e poi tornammo all'ufficio matricola. Mi fu consegnato un tesserino plastificato con la mia foto e la dicitura "U.S. Army Official Guide", nome e cognome, impronta digitale, stemma della Quinta Armata firmato dal generale Clark. Con questo tesserino potevo fare la guida, se richiesto, in qualsiasi reparto americano operante sul fronte italiano.

Mi scelsero perché conoscevo bene i territori della regione e potevo parlare i dialetti della zona.

Prima di lasciare il quartiere generale della Quinta Armata andai a salutare il Maggiore Hugh Reynolds, e gli chiesi cosa era successo agli altri amici della missione del campo minato. Mi rispose che cinque erano dispersi mentre gli altri come me erano stati assegnati alle varie divisioni americane.

Così finì il mio servizio all'O.S.S., dove c'erano uomini che non chiesero mai di diventare eroi o di ricevere medaglie e che servirono, fieri nell'anonimato e con lealtà, la causa della libertà. Molti di loro furono catturati e fucilati senza un nome e nessuno saprà mai dove furono sotterrati.

Quando mi presentai di fronte al mio amico Charles Willards, questi non poteva credere ai suoi occhi. Mi abbracciò e volle che io fossi aggregato al suo plotone. Gli spiegai che prima dovevo andare dal generale Lucian K. Truscott, comandante della 3rd Division. Al generale chiesi se potevo restare insieme al mio amico Willard conosciuto all'ospedale. Il generale Truscott mi nominò guida ufficiale della 3rd Division e dovevo operare con la 30th Infantry, la 7th Infantry e con la 15th Infantry in tutte le pattuglie che mi richiedevano, comunque in forza alla Compagnia "F" insieme al mio amico Charles.

Fui condotto dal tenente colonnello Stromberg sulle montagne di Capriati al Volturno. Si combatteva sotto pioggia addosso, e si sentivano le bestemmie dei soldati che in mezzo al fango. Io andavo di pattuglia come guida da un reggimento all'altro, ma era impresa impossibile camminare su quel terreno. Durante questo incarico fui immortalato nei "Combat Films" (158) diretti da Frank Capra, John Houston e William Wyler. M'intervistò il corrispondente di guerra Michael Chinino, dell'International News Service, e mi fotografarono degli inviati speciali che sapevano la mia storia, il solo italiano che combatteva con gli americani.

Per una ventina di giorni rimanemmo lì senza poter avanzare, bombardati dai mortai e dagli 88 mm (159) tedeschi. Effettuavamo difficili pattuglie vicinissimi alle trincee nemiche, facendo prigionieri che sarebbero stati interrogati dai nostri comandi per avere informazioni utili sia sui movimenti sia sull'entità del nemico.

Le truppe tedesche cercarono invano di sfondare il fronte alleato, ma i loro tentativi furono vani. Dopo settimane di continui combattimenti la 3rd Division era stremata, fu necessario un cambio e noi fummo trasferiti nelle retrovie.

Ci dislocarono in un'area vicino a Mondragone e ci misero a riposo anche se venivamo addestrati tutti i giorni. Intanto segretamente, il Comando Superiore, preparava l'operazione "Shingle".

Una sera fummo trasportati a Pozzuoli per essere imbarcati. Vi fu una confusione al molo fra ufficiali e soldati mentre salivamo sui mezzi da sbarco. Ad un tratto vedemmo alcuni soldati che affondavano. Fu una tragedia. Quelli che si trovavano a bordo scendevano per la gran paura, nessuno sapeva dove andare e si udivano gli ordini imprecisi degli ufficiali per calmare la situazione.

Alla fine venimmo a sapere che si trattava di prove di sbarco. Spaventati e sconvolti da quanto era successo fummo condotti alla base vicino ai Campi Flegrei.

 

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153. Esercito Americano

154. Pistola mitragliatrice

155 Questa era la sorella di don Giovanni Mazzoni, duplice medaglia d'oro e cappellano Militare del Terzo Bersaglieri caduto sul fronte russo.

156. Oliveri Giuseppe

157 Organizzazione formata da artisti americani che, volontariamente, si esibivano davanti ai feriti di guerra ed alle truppe americane.

158. Film che raccolgono dal vivo episodi di guerra.

159. Tipo di cannone

 

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Parte III   Arruolamento con i "commandos" americani | Ritorno in Italia | Lo sbarco di Anzio-Nettuno. |  In forza alla 88th Infantry Division per la conquista di Roma.A due passi da casa. | Est, Est, Est. Invasione e sbarco nella Francia del sud. ! II riposo del guerriero. | Ritorno al fronte. Eccomi Tokio! Il sogno dell'America si avvera.Ellis Island.

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