Appunti e riflessioni sulle poesie dialettali di Franco Petrilli

del Prof. Cesare Colafranceschi

Ho letto velocemente, senza interruzioni, e poi ho riletto le composizioni di Franco Petrilli: Frammenti 2, tratto da Le Comari e da Esipodi di Vita, e volentieri scrivo qualcosa su di esse.

Dividono un santostefanese (Petrilli) da un giulianese (il recensore) forse solo le caratteristiche di un lessico vernacolare legato, nella sua evoluzione, ad eventi, situazioni, individui esclusivi, irripetibili, e l’utilizzo dello stesso, derivante dalla frequentazione assidua delle persone che in maniera determinante costituiscono il tessuto sociale di piccoli centri, come Giuliano e Villa, che in comune hanno molto della loro storia passata e recente; ed è proprio questo che fa emergere affinità di cose che fanno gustare l’opera del Petrilli.

Franco di fatto appartiene alle due comunità di Santo Stefano e Giuliano. Le prime esperienze di lavoro le compie proprio a Villa, come "maestro", per poi prestare la sua opera come ufficiale di anagrafe, per quasi trenta anni ormai, presso il municipio di Giuliano di Roma; e delle ultime amministrazioni giulianesi, e di questa comunità stessa conosce "vita, morte e miracoli" degli ultimi anni. La sua esperienza di insegnante, ma anche di amministratore, a Villa, tra l’altro è figlio del "Maestro Ilio", già sindaco del ridente centro ciociaro, a cui dedica la raccolta di cui parliamo, lo pone in situazione privilegiata per la conoscenza delle cose di Santo Stefano e delle situazioni della sua vita associata.

Tutto ciò si trova espresso nelle sue opere: Le Comari ed Esperienze di vita. In esse, ancor meglio, emerge la sua sottile ironia, la sua umanità, la sua saggezza, la sua "poetica".

Semplice, all’apparenza, quasi fuori del tempo, perché di ogni tempo, il tessuto sociale della comunità descritta: un centro rurale, la famiglia tradizionale, l’arciprete, la fede religiosa cristiana, la vita amministrativa, personaggi, le situazioni, la vita e la morte. E a dar corpo agli intrecci di questi elementi è un osservatore attento che si gratifica di queste cose e le conserva nella memoria. E ad esprimere questa il Petrilli sceglie i personaggi classici e familiari: le comari, anche quando il racconto esprime contenuti autobiografici.

Comari e compari si diventa, nelle nostre comunità, con molta frequenza e in mille modi: non solo battezzando o cresimando pargoli di amici e conoscenti, ma anche per familiarità o "consacrazione" (compari o comari di Santissima, diventati tali appunto con il rito dell’acqua presso il santuario omonimo in Vallepietra meta di uno dei pellegrinaggi più significativi dei fedeli ciociari). In una società agricola, all’interno della vita paesana, sono appunto le comari che la fanno da padrone. Il Petrilli le privilegia come voci narranti degli episodi di vita suoi, di Santostefanesi ed anche giulianesi.

Il realismo con cui le comari commentano la "Terribile Malattia", davanti ad una camera ardente, nel primo racconto della raccolta: uno scongiuro, annulla il divario tra la vita e la morte (quella degli altri) e quasi ne esorcizza la paura, non quella dell’autore del racconto che pur avendo avuto familiarità con l’una e l’altra si protegge scaramanticamente come può, o come il folclore popolare gli ha tramandato.

Alla fragilità umana dell’arciprete espressa da una arguzia giocata nella ambivalenza dei contenuti lessicali corrisponde, la disarmata, ma non troppo, semplicità di una sposa, come è coloritamente espressa in La confessione urgente.

Un riferimento autobiografico in L’ Grass, non stona nell’ironia del racconto delle comari: Petrilli sa fare autoironia esprimendo una saggezza popolare istintiva e riflessa che caratterizza tutta la sua opera. La padronanza del vernacolo santostefanese gli permette di fare descrizioni così realistiche delle vicende narrate e/o create che esse immediatamente si traducono, per il lettore, in immagini vistose, soprattutto se lo stesso conosce personaggi e cose di Santo Stefano. Si veda ad esempio l’espressione: Ma jewa prima ca n’u c’ stijw (era prima che non ci stavi, cioè non avevi carne addosso: Il recensore ha ascoltato a Villa e a Giuliano l’espressione: ma gl’iòmu (o la femmina) addù sta?, per indicare persone piccole ed esili. Ne L’Grass, l’ostentato gesto scaramantico de "lo scongiuro" diventa meno vistoso e si accompagna ad una "salve regina" più gratificante, un sacro –profano ancora troppo umano.

Chi conosce e frequenta Franco Petrilli sa che non schiamazza mai; ride sotto i baffi, anche se i baffi non li ha mai avuti. Bene, in "Le analisi" è coloritamente espressa una sua compiaciuta risata sotto i baffi, per averla ben scampata da una malattia; risata espressa con bocca altrui con una saggezza cristiana, popolare e adulta al contempo .La stessa, evidente, contenuta in "Le coscienze pulite": le comari che pontificano, ironizzano, su tanti personaggi ed eventi proprio mentre nel loro cammino si accostano al cimitero il luogo dove "Omnia Fuerunt"… (Tutto è stato… Tutto è perdonato…) Il latino visto come la lingua insondabile da i fedeli sudditi, la lingua di chi ha il potere anche di vita e di morte.

Da santostefanese verace il Petrilli non si fa fregare da un giulianese, sia pure nella persona stessa del sindaco, in Quand c’wo c’ wo; sa ironizzare sulle vicende amministrative giulianesi, che vive con interesse e al contempo distacco, come emerge nel gustosissimo racconto della penultima competizione elettorale amministrativa e alla paventata discarica dei rifiuti soliti urbani in Giuliano nella simpatica drammatizzazione del dialogo de "la cercia, la iwa e la fiammella": l’accordo politico amministrativo all’interno del centro sinistra contro la destra della fiamma.

Il meglio di se, le comari, raddoppiate di numero e di vivacità lo danno ne "I Matrimoni"e "I ‘mes alla Madonna". Un matrimonio combinato o d’amore, riparatore o programmato è sempre una occasione privilegiata per l’azione scatenata delle comari di una comunità. C’è da prevedere, da raccontare, da pettegolare, ironizzare, meravigliarsi, invidiare, compiacersi. Petrilli esprime questi moti d’animo all’interno di scene paesane verosimili, vive e familiari, drammatizzando e compiacendosi delle situazioni paradossali creatisi per la bonomia dei protagonisti, a volte dell’ignoranza delle comari ("tutte chelle prete addafor’… dell’Abbazia di Casamari, che ad una di esse sembra proprio non rifinita perché non intonacata).

Il lungo spazio temporale di un rosario a "quindici poste" recitato nel mese della Madonna mentre si va verso la chiesa a Lei dedicata, diventa l’occasione per una infinita serie di maldicenze, di osservazioni maliziose, di commenti sulla salute degli altri, sulle loro sventure, su microtragedie familiari su fatti e misfatti della vita cittadina. Così come, nel passaparola tra comari, che ancora riescono a richiamarsi alle finestre delle loro abitazioni, la semplice puntura di un dito di una di loro, con un ago da materasso, avrebbe richiesto l’intervento di una ambulanza come se la malcapitata fosse stata in punto di morte.

Petrilli padroneggia il vocabolario vernacolare santostefanese con maestria dando anche a chi non lo conosce la possibilità di gustarne il realismo anche di fronte a termini impronunciabili e incomprensibili (P’scraj, le nefr’gh, r’ngr’wqq, s’ha n’dennu,...)

Nelle due ultime composizione, Petrilli si destreggia (una tecnica narrativa) nello sdoppiamento della personalità, del protagonista del fatto narrato, e quindi anche sua. Il protagonista si vede morto, Tis’ Tis’ sul letto, con quel segno tragico, buffo, sul viso: il fazzoletto legato a chiudere definitivamente la bocca del cadavere, e gente intorno che piange o fa finta, è indifferente. Non mancano le comari. Sono loro a riempire il silenzio cantilenando le storie sul defunto e ad esprimere con realismo, a volte ostentato per l’occasione, il lamento funebre, fatto di desideri inesauditi per il defunto, dei pregi ma anche dei difetti perdonati, di soddisfazioni, di paure (è morto a digiuno, … pensa ai figli … bevevo …) Ma toccato nell’intimo e nell’onore (un compare cerca di circuire sua moglie) il morto torna in vita, svegliato proprio da un pizzico di sua moglie che lo rimprovera di essere un poltrone. Aveva solo sognato: l’amore, la miseria di tutti gli uomini mortali.

Una saggezza mesta ed ironica quella espressa da Petrilli in questa occasione ma anche l’autoironia e la comprensione per le umane debolezze e difetti dei mortali.

Alle battute delle comari di Franco Petrilli non ci si sbudella dalle risate, ma si sorride, proprio come Franco fa nella sua vita di tutti i giorni quando coglie, nelle varie situazioni, le contraddizioni, la pochezza, a volte l’ignoranza forse, ma anche la bonomia dei soggetti osservati.

La saggezza semplice colta nei suoi personaggi, vuole essere anche quella di Petrilli stesso, riflessa in un animo gentile e in un amore grande di "poeta".

Giuliano di Roma 28 agosto 2007

Prof. Cesare Colafranceschi

Cesare Colafranceschi è nato a Giuliano di Roma nel 1949. Studi classici, Laurea in Filosofia alla Sapienza di Roma. Specializzato e abilitato per l’insegnamento filosofico. Laureando in Lettere, indirizzo storico. Ha effettuato studi di Storia, Sociologia e Teologia. Ha fatto esperienze giornalistiche come corrispondente di quotidiani e riviste locali. Ha pubblicato in riviste provinciali e regionali ricerche di storia e folklore locale. Docente di Discipline Umanistiche: Lettere, Filosofia, Religione. Attualmente insegna presso il Liceo Martino Filetico di Ferentino. È stato sindaco del Comune di Giuliano di Roma per quattordici anni consecutivi, e presidente della XXI Comunità Montana dei Lepini, a Villa Santo Stefano. Sposato con tre figli, vive a Giuliano di Roma. Ha organizzato ed è attualmente promotore di convegni di studi su tematiche amministrative, politiche, storiche, letterarie, filosofiche, teologiche, antropologiche alle quali spesso partecipa come relatore.

<<< sommario "Frammenti 2"

UNO SCONGIURO SEMPRE DI MODA   LA CONFESSIONE URGENTE   L’ GRASS’   LA SALUTE   RECONDITI DESIDERI   LE ANALISI   LE COSCIENZE PULITE   QUAND’ C’ WO’ C’ WO’    LA CERCIA, LA IWA E LA FIAMMELLA   ‘A M’NNEZZA   PARSIMONIA GIULIANESE   ‘ I MATR’MONI’J   I’MES’ ALLA MADONNA   ‘NGRAZZIADDIJ….’NGRAZZIADIJ    TIS’ TIS’   ‘ A MORT’ WO’ ‘A SCUSA

 

www.villasantostefano.com

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