Prefazione "La Bella Cammilla"
* Questa storia della Bella Cammilla me la raccontava, anni addietro, Mariangela Lucarini appoggiandosi di tanto in tanto contro il muro grigio della casa Bonomi, nel vicolo detto la "strétta ggnòra Peppìna", dove aveva passati tanti anni al servizio domestico. Già ultraottantenne, ne richiamava dalla mente limpida i più minuti dettagli quasi fosse stata presente ai drammatici eventi con quel colorito di frasi ed immagini caratteristico di quelle donne paesane che se analfabete, come le erano in maggioranza una volta, hanno fatto ripostiglio nella loro memoria dei ricordi e tradizioni della razza paesana tramandandoli di generazione in generazione attraverso narrative, storielle, avventure magiche ed amorose, apologhi, filastrocche, nenie ecc. Alla sua bella età, si reggeva bene in piedi raccontando le sue storie con tal calore di sentimenti quasi ne stesse rivivendo le passioni. (Fu lei a raccontarmi anche le vicende della contessa pazza) Quando non era all'angolo del vicolo a chiacchierare, Mariangela la si poteva vedere curva sul davanzale del cucinone di casa Bonomi leggendo, ad occhio nudo, riviste ed altri scritti, sempre pronta ad interronpersi per riallacciare anche brevemente racconti di cose paesane. Giovanotta, era andata a lavorare alle stàja nelle paludi pontine oltre Priverno; ed è possibile che le vicende della principessa volsca lei le abbia apprese o sentite raccontare dai contadini delle terre montane circostanti a sera quando si riposavano sulle lestre dalla dura fatica giornaliera. È da notare che questo racconto diverge da quello virgiliano che fa fuggire Cammilla ed il padre oltre l'Amaseno a cercar rifugio nelle zone montuose del Siserno. Nel riportare questo racconto, si è cercato di conservare la schiettezza e l'immediatezza della parlata tipica dell'estro popolare. Ho preferito scrivere Metàbbo invece di Mètabo, perché tale è la pronunzia dialettale. Vedasi anche la nota d'appendice al racconto.
