Il Tribunale Penale di Frosinone composto dai signori 
      Frezza Carlo, Presidente, Santoro Giacinto e Rubirio Francesco, Giudici, 
      ha pronunciato la seguente sentenza nelle cause penali in seguito di 
      sentenza di rinvio nr.295 del 1921 e nr.52 del 1922 del registro generale
      
      
      CONTRO
      
      
      
        - Palombo Giacomo fu Rocco e fu Tambucci Maria, di anni 46;
 
        - Marafiota Michele fu Bruno e fu Spirito Geltrude, di anni 47;
 
        - Buzzolini Guglielmo fu Carlo e fu Bonomo Cecilia, di anni 71;
 
        - Biasimi Ginesio di Luigi e di Anticoli Cristina, di anni 22;
 
        - De Filippi Natalino d’ignoto e di De Filippi Assunta, di anni 23;
 
        - Marella Ortensia Almerinda fu Giacinto e fu Blasi Caterina, di anni 
        45.
 
      
      Tutti di Villa S. Stefano; il Palombo detenuto e tutti gli 
      altri liberi e presenti
      
        
        
      
      IMPUTATI
      
      Il primo 
      a) di lesioni 
      multiple con arma in danno di Marafiota Michele che produssero a costui 
      pericolo di vita, e varie ferite guarita la prima in giorni sei, la 
      seconda in giorni trenta, la terza in giorni trenta e l’ultima in giorni 
      sei (art. 372 nr.1, 373 C. P.); 
      b) del reato 
      previsto dall’articolo 156 C. P. per avere il 5 maggio 1921 in Villa S. 
      Stefano usato minacce di grave ed ingiusto danno a Marafiota Michele con 
      le Parole "il pugnale di Rocco Palombo non ha mai fallito, se esco farò 
      peggio di Musolino"(famoso brigante); 
      c) del reato 
      previsto dagli articoli 464 nr. 2 in relazione all’articolo 470 nr. 1 C. 
      P. con l’aggravante nr. 2 dell’art. 465 legge 2 luglio 1908 per avere 
      portato nelle circostanze anzidette un pugnale fuori dalle adiacenze di 
      casa sua, essendo recidivo "in eodem" (per lo stesso reato) e già 
      condannato per delitti contro la persona; 
      d) del reato 
      previsto dagli art. 1 e 5 del R. D. 3 agosto 1919 nr. 1360 per omessa 
      denunzia di detta arma.
      
      Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto (imputati) 
      del reato di cui agli art. 63 e 72 C. P., per avere in correità fra loro 
      prodotto varie ferite a Palombo Giacomo guarite in giorni quindici, con 
      giorni dieci di incapacità al lavoro.
      La sesta (imputata) di complicità nel reato di lesioni 
      ascritto a Palombo Giacomo, per avere il giorno 5 maggio 1921 in Villa S. 
      Stefano istigato costui a commettere lesioni multiple con arma in persona 
      di Marafiota Michele che produssero al medesimo malattia per giorni trenta 
      con pericolo di vita.
      
      
      IL FATTO
      
      Osserva che 
      verso le ore 16 del 5 maggio 1921 Palombo Giacomo, un po’ brillo per vino 
      bevuto, stando sulla pubblica piazza Umberto I, si mise a pronunziare 
      frasi che, sebbene non specificatamente dirette a persone, pure alludevano 
      al gruppo fascista di Villa S. Stefano e più precisamente a certo 
      Marafiota Michele, capo dei fascisti e cognato del Palombo col quale da 
      anni non corrono buoni rapporti a causa di una divisione ereditaria. 
      Mentre il Palombo gridava il Marafiota, ad evitare questioni si allontanò, 
      ma non appena il Palombo venne condotto via dalla propria moglie Marella 
      Ortensia, il Marafiota ritornò sulla Piazza e rimproverò un gruppo di 
      fascisti che ivi si trovava, perché avevano tollerato, senza reagire, 
      gl’insulti rivolti dal Palombo contro i fascisti. Subito tra i radunati 
      sorse una certa agitazione e vi era chi, tra i più scalmanati, voleva 
      andare a raggiungere il Palombo, che si era diretto verso la sua 
      abitazione, e percuoterlo. Prevalse però il pensiero dei più calmi, fra i 
      quali il Marafiota e si pospose qualsiasi azione contro il Palombo, anche 
      per l’intervento del sindaco (Massimo Iorio) il quale energicamente vietò 
      qualsiasi manifestazione.
      Se non che dopo 
      circa un’ora, un gruppo di fascisti tra i quali vi era il Marafiota, 
      decise di fare una passeggiata, e col gagliardetto in testa ed al canto 
      dei loro inni si diressero per la strada che mena (conduce) al cimitero e 
      sulla quale trovasi la casa di Giacomo Palombo. Avevano i fascisti 
      percorso un 500 metri di strada ed erano giunti alla cona di San Marco, a 
      circa 100 metri dalla casa del Palombo, quando questi uscì sulla strada ed 
      agitando il cappello e gridando "Viva il Re, viva l’Italia, viva i 
      fascisti!" andò in contro al gruppo e si unì a questo che erasi intanto 
      fermato ed aveva accolto con altri gridi di "evviva" il Palombo. Costui, 
      messosi a braccetto con un fascista, seguì il gruppo che aveva ripreso la 
      via per tornare al paese. Ad un tratto Marella Ortensia, moglie del 
      Palombo, avendo notato che nel gruppo dei fascisti vi era anche suo 
      cognato Michele Marafiota incominciò a gridare contro costui e disse al 
      marito che era stato proprio lui a condurre i fascisti per quella via per 
      farlo bastonare. Il Palombo, senza profferire parola, si staccò dal 
      braccio del fascista al quale era vicino e si portò alla testa del gruppo, 
      dove trovavasi il Marafiota, e presolo per un braccio lo colpì 
      ripetutamente con un arma da punto e taglio, la di cui natura non fu bene 
      distinta, producendogli lesioni che cagionarono pericolo di vita e delle 
      quali due guarirono in 30 giorni. Subito dopo il Marafiota venne 
      accompagnato nella farmacia Felici per essere medicato ed il Palombo fu 
      malmenato, gettato a terra e colpito con bastonate da alcuni fascisti e 
      quindi venne ricondotto a casa dalla propria moglie. In tale occasione il 
      Palombo riportò lesioni guarite in giorni 15.
      In seguito a 
      tali fatti il Palombo venne tratto in arresto e denunciato per lesioni 
      personali. Venne quindi iniziato un procedimento penale contro il detto 
      Palombo e, su denunzia di sua moglie, Marella Ortensia, anche contro tutti 
      coloro che facevano parte del gruppo fascista. Compitasi l’istruttoria 
      formale, con sentenza del giudice istruttore, vennero rinviati al giudizio 
      di questo tribunale Palombo Giacomo, Marafiota Michele, Biasimi Ginesio, 
      Buzzolini Guglielmo e De Filippi Natalino, per rispondere il primo per 
      lesioni del Marafiota e gli altri in danno del Palombo. Successivamente su 
      denunzia di Marafiota Michele venne iniziato altro procedimento penale 
      contro il medesimo Palombo Giacomo e contro la di lui moglie Marella 
      Ortensia, e con altra sentenza del giudice istruttore, tanto il Palombo 
      che la Marella vennero rinviati innanzi questo tribunale per rispondere il 
      Palombo di minacce di grave ed ingiusto danno in persona del Marafiota e 
      di porto di arma insidiosa, e la Marella di complicità nel delitto di 
      lesioni. All’udienza le due cause sono state riunite per la loro evidente 
      connessione. 
      In ordine 
      all’imputazione di lesioni di cui il Palombo è chiamato a rispondere si 
      osserva che la responsabilità dell’imputato è rimasta pienamente provata 
      dal pubblico dibattimento. Risulta del pari che tutte le lesioni furono 
      cagionate da arma da punta e taglio. Che sia stato il Palombo a ferire il 
      Marafiota è dimostrato non solo dalla dichiarazione della parte lesa ma 
      dalle concordi deposizioni dei testi Fabio Fabi, Bonomi Enrico, Anticoli 
      Luigi, Anelli Giacomo ed Anelli Augusto i quali tutti videre il Palombo 
      colpire il Marafiota. L’imputato, del resto, nel suo interrogatorio non 
      osa negare assolutamente di avere colpito il cognato, ma fa l’ipotesi di 
      averlo ferito con qualche arma tolta in mano a qualcuno dei fascisti. Si 
      osserva che indubbiamente è risultato dal pubblico dibattimento che il 
      Palombo, al momento in cui commise il fatto, non trovatasi nella pienezza 
      delle sue facoltà mentali perché ubriaco. Lo stato di ubriachezza oltre a 
      risultare dalle deposizioni dei citati testimoni, appare evidente dal modi 
      di comportarsi del Palombo che pur non appartenendo al  partito 
      fascista, si mise a gridare evviva ai fascisti e si unì a loro, mentre poco 
      prima ne aveva parlato male. Si osserva in ordine all’imputazione di 
      minaccia che nel pubblico dibattimento non si sono raccolte prove 
      sufficienti a suo carico. Invero dalle deposizioni dei testi Iorio 
      Giuseppe (Peppino di Bianca) e Battaglia Antonio risulta che il Palombo, al 
      momento dell’arresto ebbe a dire che "quando sarebbe uscito dalle carceri, 
      avrebbe fatto peggio di Musolino". Queste parole furono pronunciate senza 
      fare allusione diretta al Marafiota e quindi non si può dire cin certezza 
      che il Palombo pronunziandole avesse avuto l’intenzione di minacciare 
      proprio lui. Di più dalla deposizione del dottor Matteo Bonomo appare che 
      quando il Palombo parlava del pugnale di suo padre Rocco non intendeva 
      minacciare alcuno, ma diceva che se avesse avuto il pugnale di suo padre 
      si sarebbe difeso. Pertanto l’imputato va assolto dall’imputazione di 
      minaccia per insufficienza di prove. Del pari il Palombo va assolto 
      dall’imputazione di porto d’arma insidiosa e di omessa denunzia di essa in 
      quanto dalle molteplici deposizioni dei testi escussi non è stato 
      possibile assodare la natura dell’arma di cui il Palombo si servì per 
      ferire il Marafiota.
      Si osserva, in 
      ordine all’imputazione di lesione ascritte a Marafiota Michele e De 
      Filippi Natalino che non si sono raccolte prove sufficienti a loro carico. 
      Invero per quanto riguarda il Marafiota due soli testi affermano di averlo 
      veduto menare un colpo di bastone al Palombo. Ma tali testi, Palombo 
      Stefano e Lucarini Antonio, non sono credibili sia perché tale 
      circostanza hanno affermato per la prima volta in udienza, sia perché sono 
      smentiti da altri testimoni i quali affermano che, non appena ferito, il Marafiota fu allontanato e ricoverato nella farmacia in piazza Umberto I, 
      in modo che non ebbe il tempo di menare il colpo. Per quanto riguarda il 
      De Filippo (Natalino ‘ngà ‘ngà) la sola teste Lucarini accenna ad un sasso 
      scagliato da costui contro il Palombo, sasso che non lo colpì. Quindi 
      entrambi gli imputati vanno assolti per insufficienza di prove.
      Osserva che 
      invece la responsabilità di Buzzolini Guglielmo e Biasini Ginesio è 
      rimasta pienamente provata dalle deposizioni di Lolli Giuseppe e Palombo 
      Stefano i quali videro i due imputati percuotere con bastoni il Palombo. 
      Osserva che ai detti Buzzolini e Biasini compete indubbiamente il 
      beneficio della grave provocazione perché essi agirono quando videro 
      ferire il loro compagno di fede. Né tale beneficio può essere escluso dal 
      pensare che i fascisti si erano recati a fare quella passeggiata allo 
      scopo di bastonare il Palombo perché nessuna prova vi è al riguardo, anzi 
      essi lo avevano accolto quando era andato incontro al gruppo con evidente 
      contentezza.
      Si osserva nei 
      riguardi di Marella Ortensia che non si sono raccolte prove sufficienti a 
      suo carico per far ritenere che essa avesse istigato il marito a ferire il 
      Marafiota. Pertanto la Marella va assolta per insufficienza di prove.
      
      
      In conclusione il tribunale dichiara:
      
      Palombo Giacomo responsabile del delitto di lesioni con 
      arma con beneficio della seminfermità mentale derivante da ubriachezza 
      volontaria e lo condanna alla pena della reclusione per la durata di anni 
      1 mesi 5 e giorni 15;
      Ginesio Biasini e Guglielmo Buzzolini responsabili del 
      delitto di lesioni, col beneficio della grave provocazione per entrambi e 
      condanna ciascuno di essi alla pena di detenzione per la durata di giorni 
      10 e ordina che l’esecuzione della condanna per quanto riguarda il Biasini 
      rimanga sospesa per il termine di anni 5. 
      Condanna il Palombo, il Buzzolini e il Biasini al 
      risarcimento di danni alle parti lese.