I racconti di Giuseppe Luzi

MORIRE PER UN FAGIOLO

Al centro la mamma di Giuseppe Luzi, Giuseppina Rossi di Villa S. StefanoAll'età di sette anni, il piccolo Giuseppe Luzi, nella quiete della casetta di campagna a Giuliano, aveva come compagno di svaghi il fratellino Luigi. Un giorno, mentre si divertivano con altri amici a tirarsi addosso dei fagioli scuri, Giuseppe per gioco si conficcò in entrambi gli orecchi un fagiolo. Nell’orecchio sinistro il legume fuoriuscì, in quello destro penetrò all’interno del bulbo auricolare, Peppe con l’aiuto dei compagni cercò invano di tirarlo fuori, anche la mamma e la nonna Palma tentarono senza riuscirci. Così, si decise di portare il piccolo Giuseppe in paese dal medico. Il dottore fece stendere il bambino sul tavolo e lo fece tenere immobilizzato da diverse donne, mentre cercava con i ferri del mestiere di togliere il legume dall’orecchio destro. Giuseppe si dimenava come un ossesso, cercando di divincolarsi, in tali difficili condizioni era difficile operare serenamente; tanto che, l’arnese che il medico usava per togliere il legume, a causa della continua agitazione dell’irrequieto paziente, provocò una ferita sanguinante. A quel punto, il dottore nervoso e spazientito, disse ai familiari che in quelle condizioni era impossibile continuare l’intervento: "Il bambino è un diavolo scatenato, portatelo via". Nonna Palma, in uno scatto d’ira, si scagliò contro il medico accusandolo d’incapacità. Dopo un furente litigio, fatto d’accuse e contraccuse, Peppe e Il padre di Giuseppe Luzi, Angelofamiglia tornarono a casa. Una mattina nonna Palma avverte il nipote che si partiva con il carro per la campagna, all’obiezione di Peppe che la strada stretta non permetteva al carro di passare, la nonna rassicurò affermando che ciò era possibile. Stratagemma escogitato per rassicurare il bambino; infatti, il carro partì in direzione di Frosinone, dove Peppe sarebbe stato visitato in un ambulatorio specializzato. Arrivati nello studio medico del capoluogo, pur con molta difficoltà il bambino venne adagiato sul lettino, gli misero sul viso la maschera per l’anestesia, ma per riuscire a farlo addormentare fu aumentata la dose dell’anestetico. L’operazione ebbe esito positivo: il fagiolo venne frantumato in sette pezzetti, il medico riteneva l’intervento perfettamente riuscito. I sanitari avvisarono i familiari in sala d’attesa del buon esito dell’operazione, e che si doveva aspettare che il bambino si svegliasse dagli effetti dell’anestesia. Passò del tempo, ma il piccolo paziente non dava segni di ripresa, i sanitari tentarono di farlo rinvenire: inutilmente. Il battito cardiaco si era arrestato, il viso diventò cianotico, il medico si arrese all’evidenza dichiarandone la morte. Avvisarono i familiari in trepida attesa dell’avvenuto decesso, e che sarebbero dovuti andare al Comune di Frosinone per richiedere i documenti attestanti la morte di Peppe, e necessari per il trasporto della salma al paese natale. Nonna Palma, in preda a rabbia e disperazione, inveì contro il medico dicendo: "Non vado da nessuna parte, mio nipote me lo riporto così". Tra i familiari e i sanitari nasce una violenta colluttazione, si creò una gran confusione; nel parapiglia nonna Palma ebbe la prontezza di avvolgere in un lenzuolo il corpo del nipote, lo adagiò nel sedile inferiore del carretto, avvertì i parenti di salire di corsa sul carro e partirono di gran carriera alla volta di Giuliano, inseguiti vanamente dai medici. Nel triste viaggio verso casa, i pianti e lo sconforto s’impossessarono dei familiari tra imprecazioni e lacrime: un mesto ritorno.

Arrivati in località Le Prata, per i continui sobbalzi del carro dovuti alla corsa sulla strada accidentata, il cocchiere decise di fare una breve sosta. Nell’atto di voltarsi, si accorse che il corpo del piccolo stava per srotolarsi dal lenzuolo e cadere in terra. Fermò di colpo il cavallo, scese per sistemare il corpo nel cassettone inferiore del carro, e mentre ripiegava il grosso mantello, rimase sbalordito nel constatare con sua gran meraviglia che il bambino respirava, schiumando bava dalla bocca. Gridò ai parenti: "Peppe è vivo". Un gran sollievo per tutti: il bambino era ritornato in vita, gioirono e pregarono per l’avvenuto miracolo. Finalmente giunsero a casa dove festeggiarono per lo scampato pericolo. Peppe non ricorda nulla di quanto gli era successo, tutti i particolari, dal momento dell’anestesia al rinvenimento, gli furono raccontati dalla nonna. Nel corso degli anni, nonostante l’operazione, gli rimase sempre un fastidioso ronzio all’orecchio offeso. Peppe frequentò le scuole elementari a Giuliano, la maestra accorgendosi che per scrivere usava la mano sinistra, lo obbligò, nonostante la sua ritrosia, ad usare la mano destra. Il fatto d’essere mancino lo aiutava nella lotta libera, dove eccelleva battendo regolarmente tutti i compagni. All’epoca era diffusa la credenza popolare secondo cui la persona affetta da mancinismo, fosse un essere spregevole, posseduto dal demonio, pertanto da esorcizzare. Era considerato un handicap maligno, c’era il divieto assoluto d’essere mancino. Per tale motivo Peppe, dopo molti tentativi, finalmente imparò ad usare la mano destra. Nel 1935, Peppe si recò al Comune di Giuliano per richiedere i documenti necessari al suo matrimonio. L’ufficiale d’anagrafe, con grande sorpresa scoprì che Luzi Giuseppe risultava assente dal registro dei residenti. Dopo molte ricerche, l’impiegato ebbe l’idea di controllare il registro dei defunti, incredibilmente notò che Peppe risultava deceduto nel 1919. Era successo che l’ambulatorio di Frosinone, ritenendo Peppe deceduto dopo l’infelice esito dell’operazione all’orecchio, trasmise al Comune di Giuliano di Roma l’atto d’avvenuta morte di Luzi Giuseppe fu Angelo. Quindi, Peppe dal per ben sedici anni, per gli uffici d’anagrafe, è vissuto come un "clandestino". Nessun organo statale, quantunque la madre percepisse la pensione di guerra con l’assegno del figlio maggiorenne a carico, si era accorto della grave irregolarità. L’impiegato comunale registrò nuovamente Giuseppe Luzi, che potè così sposarsi. Nel 1936, quando si trovava volontario in Africa, per un forte dolore all’orecchio destro, si recò all’infermeria da campo per farsi visitare.

L’ufficiale medico, accortosi che l’alterazione all’udito era determinato da un’anomala otturazione nel padiglione auricolare, estrasse dall’orecchio un oggetto secco e chiese a Peppe cosa fosse. Era il pezzo da fagiolo rimasto dentro dal precedente intervento. L’ufficiale medico per verificare se erano risolti i problemi d’udito, lo mise alla prova. Chiamò il furiere e gli parlò bisbigliando a bassa voce, alla fine chiese a Peppe che ascoltava poco lontano di cosa confabulavano, costui rispose perfettamente sull’argomento della loro conversazione: il test era andato bene, il dottore riscontrò che il grado d’udito era finalmente tornato normale. Peppe divenne il pupillo dello stesso ufficiale medico, che lo volle sempre con sé. La notte, per stare tranquillo dalla presenza delle iene, lo faceva dormire in una tenda accanto. Peppe, si svegliava non appena sentiva gli ululati delle bestie che si avvicinavano all’accampamento, e incurante del pericolo le scacciava con indomito coraggio.

 

prefazione

I racconti di Giuseppe Luzi:

Morire per un fagiolo | Amore per gli animali | Repubblicano e socialista

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