Sacerdote per sempre, come Melchisedèk

XXV di Don Peppe, 28 aprile 2004

L'incontro con il Papa, Giovanni Paolo II

Don Giuseppe Leo

In attesa sul palco

Attende e saluta il vescovo

La cerimonia

Insieme al vescovo

Il rito dell'ordinazione sacerdotale

I fedeli in prima fila

La S. Messa nella chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo

foto dell'infanzia e della scuola

Durante una Missione

Processione nella Missione

da VillaNews:

1° MAGGIO: LA GIORNATA DI DON PEPPE

IL PROGRAMMA

LA FESTA

Assistere in diretta ad una Ordinazione Sacerdotale di un compaesano, non può che generare il ricordo di un evento eccezionale che ha toccato le coscienze di chi ha avuto l’opportunità di una partecipazione più unica che rara. Don Peppe come Melchisedèk, personaggio biblico, Re di Shalem (Gerusalemme), vissuto al tempo di Abramo e assunto come tipo del Messia per il suo sacrificio di grazie, divenuto rappresentazione e figura del sacrificio della Messa.

Alla fine di luglio del 1991, tornava di corsa dalla missione don Peppe. Era morto "zì Romano", suo padre. Arrivò nel momento "caldo" delle feste paesane. Don Luigi, dopo 40 anni, si era già ritirato per la sua malattia. Il paese era senza "prete" e il Vescovo gli affidò la responsabilità religiosa di quel periodo. Chi di noi ha vissuto quei due mesi, ricorda sicuramente la partecipazione della popolazione alle varie funzioni che si succedettero. Don Peppe è parte della nostra "Villa".

Nato da genitori santostefanesi doc, "zì Romano" (chi non lo ricorda?) e da "za Rita", devota silenziosa della Madonna dello Spirito Santo, venticinque anni fa, sabato 28 aprile 1979, veniva ordinato Sacerdote da Mons. Michele Federici, Vescovo di Frosinone, nella piazza principale del paese, facendo assumere così all’evento l’attenzione e la sensibilità che meritava. Nei giorni precedenti aveva diluviato, a tal punto che si pensava di rimandare parte del programma. Ma si ebbe fede e, contra spem (contro ogni speranza), sotto una pioggia incessante, la mattina di quel sabato si montò il palco. Antonio Bruschini ne ricorda qualcosa.

Alle 11 le nubi si aprirono e fece capolino il sole. Il paese tornò a vivere; si avvertiva un allegro movimento, un cicaleccio spassoso, anche perché stava per uscire una sposa, in mezzo ai volti gioiosi e sorridenti dei parenti e dei convenuti.

Nel pomeriggio incominciarono ad arrivare macchine e pullmans di tanti amici e parenti di don Peppe. L’accoglienza e le relazioni sociali erano di pertinenza di Ada e Carmela.

Un brusio festoso durante tutto il pomeriggio, nella piazza Umberto 1°, con la presenza di ben 150 giovani e ragazzi, giunti dall’Oratorio di Roma, dove era di casa Peppe e "capitanati" da Don Lai. Si dedicarono subito al montaggio dell’amplificazione, iniziarono il riscaldamento delle voci, coinvolgendo tutti, mentre le suore, con un nutrito gruppetto di aiutanti, provvedevano alle "rifiniture" dell’altare con gli ultimi addobbi. Alle 17,30, con puntualità cronometrica, ecco il Vescovo Mons. Federici, accompagnato dal suo segretario don Giuseppe Sperduti, fare il suo ingresso in piazza..

I ragazzi a pieni polmoni intonarono: «E’ festa, è festa, è festa d’amore…» e la festa ebbe inizio. La celebrazione si animò e, in un continuo crescendo, prese forza, strappando lacrime di gioia a don Luigi ed a tutti i presenti. Rito, cerimonie, gesti, movimenti sconosciuti, ma che erano stati spiegati nei giorni precedenti dal maltese don Francesco e dal giovane salesiano Vinciu, trovarono vigore nel momento in cui il Vescovo, imponendo le mani sul capo del nostro paesano, lo consacrò con le parole: «Dona, Padre onnipotente, a questo tuo figlio, la dignità del presbiterato». Da quel momento Peppe è Sacerdote per sempre, per sé e per gli altri.

E, come nei testi biblici, anche la nostra celebrazione finì nel salone parrocchiale, con un succulento rinfresco per tutti, sotto la direzione del fratello Sandro, coadiuvato dal cognato Ezio.

Le nuvole, che fino ad allora erano state soltanto minacciose, tanto da mandare con il naso all’insù persino il Monsignore, incominciarono la loro danza e, di lì a poco, pioggia a catinelle.

Domenica 29 alle ore 10, la Chiesa di Santa Maria Assunta divenne troppo piccola per la folla che voleva rendere tributo al novello Sacerdote. È la prima Santa Messa di Don Peppe. È un momento magico, da non perdere.

Ma non finisce qui. Infatti a dicembre serpeggia una voce. Don Peppe se ne va, va in missione. Qualcuno aggiunge "s’è impazzito", ma lui senza batter ciglio il 2 agosto 1980, giorno della strage della stazione ferroviaria di Bologna, alle 13,10 da Fiumicino parte verso nuovi mondi. Il nostro paese è abituato a gente così: Padre Augusto Lombardi, che assunse la carica di Superiore Generale del P.I.M.E.(Pontificio Istituto Missioni Estere), Padre Ambrogio Marafiota, per tanti anni in Brasile, Suor Teresa Reatini e probabilmente altri ancora di cui non siamo in grado di fornire notizie. .

Con il desiderio che ha di comunicare, dopo un mese e mezzo don Peppe è lì che predica in un’altra lingua. Degli errori non se ne fa nessun problema, anzi gli creano simpatia e accettazione. Don Mario, suo amico e che venne a predicare il triduo del Sacro Cuore nel 1991, ci parla di alcuni "strafalcioni" che gli uscivano di bocca. Ci racconta che una volta in una S. Messa domenicale lasciò tutti esterrefatti quando, volendo rendere più plastico il messaggio, si lasciò scappare sull’altare, senza rendersi conto, una grossa volgarità e …

Con questa voglia di "compartir" (=condividere), si dedica alla lettura di autori locali, impara usi, costumi, tradizioni, modismi della gente… il suo sarà sempre uno spagnolo-nicaragüense. Sacerdote da appena un anno, vive la teologia della liberazione in mezzo a un popolo che usciva da una guerra civile e si sente coinvolto nelle complicate situazioni politiche, sociali e religiose.

In quel tempo in Italia i telegiornali ci davano notizie di Nicaragua, che si era liberata del dittatore Somoza, ma che era alle prese con i "contras", gli attacchi, i morti, l’embargo. Mamma Rita, riservata e timida, viveva con ansia quelle brevi notizie, che diventavano più pungenti quando qualcuno gli chiedeva: "… e Pino come sta?".

Forse una frase può racchiudere quella situazione a noi sconosciuta e lontana. Una volta sentii Don Peppe che diceva: "Se avessi saputo dove sarei finito, credo che forse non mi sarei mai mosso!".

Dopo circa dieci anni di convivenza con i nicaragüensi, la Congregazione Salesiana gli chiede di andare nella vicina Panamá, liberata da appena un mese dalla dittatura di Noriega.

Il suo nuovo impegno è presso una scuola tecnica di circa 900 studenti, ma ci rimane per poco, perché gli viene affidato l’incarico di aprire una missione tra gli indios del Darién, la regione più lontana confinante con la Colombia e più difficile per le comunicazioni. Le avventure non mancano. I racconti del "missionario" hanno dell’inverosimile. La prima notte passata nella cosiddetta casa del Centro missionario la ricorda così: «alla luce del sole del nuovo giorno ci accorgemmo, insieme all’altro sacerdote, che avevamo dormito vicino a due mapaná, "meravigliosi" serpenti velenosi del posto».

La base della missione si trova a 270 Km dalla capitale, ma per raggiungerla via terra, se tutto va bene, ci vogliono circa dieci ore. Se il percorso si fa in aereo, ci vogliono circa cinquanta minuti, di cui per una quarantina si sorvola la fitta selva sottostante, chiamata "il polmone d’America". Don Peppe, scherzosamente, questi piccoli aerei li chiama "bare volanti". Farsi raccontare qualche viaggio è pazzesco.

Di avventure non gliene sono mancate tra le piogge tropicali, i vari cibi e bevande, gli scorpioni, i viaggi sui grandi fiumi in piroga, gli incontri e le amicizie con gli "stregoni", i trafficanti di droga, i "paramilitares", i rifugiati, gli indios emberá e waunán, gli afro-americani. Organizza e coordina i lavori per la costruzione di laboratori di falegnameria, di taglio e cucito, di artigianato, oltre alla formazione di una piccola cooperativa di panetteria e di costruzione di blocchetti…

Vi risponderà sorridendo "sono sopravvissuto".

Quando parla dell’evangelizzazione, ci dice che i metodi, le forme e i contenuti erano quelli della comunità dei battezzati, che cresce e crede in ciò che fa e si lancia verso altre mète. Tutto ebbe inizio con un piccolo gruppo di 14 persone nel "El Real de Santa Maria", la base della missione.

Per questo progetto si scommise tempo e denaro e dopo tre anni di formazione si incominciarono a vedere i risultati. Il Vescovo locale ne rimase soddisfatto e volle allargare il progetto a tutta la missione. La parte affidata ai salesiani, interessava 45 villaggi situati per la maggior parte lungo le rive di due grandi fiumi "Tuira" e "Chucunage".

Ricorda in particolare l’organizzazione di una grande riunione eucaristica di circa 1500 persone che arrivarono dalle varie parti della Diocesi e, al di là delle difficoltà logistiche di trasporto, alloggio e vitto, fu un’esperienza meravigliosa di condivisione cristiana.

Nonostante tutte le avventure, Don Peppe sentì anche la necessità di fare un corso di formazione e il Superiore gli offrì la possibilità di andare in Spagna. Ma una volta a Barcellona, si accorse che non era un corso, ma una specializzazione. Fu tentato di abbandonare tutto, specialmente perché dopo 18 anni di vita trascorsi in movimenti continui, «le fave erano diventate toste» e tornare a sedersi sugli "scanni" di scuola, fare ricerche in biblioteca, sostenere esami ecc., gli sembrava un’impresa impossibile. Ma eccolo, imperterrito. Dopo la prima sessione d’esami con poche soddisfazioni, stringe i denti, diventa il delegato degli studenti della Facoltà e dopo due anni lascia l’Istituto Superiore di Liturgia con il suo titolo in tasca e un sacco d’amici.

Nei suoi tempi liberi gli affidano la pastorale dei carcerati italiani in Catalogna. Anche qui vere storie a non finire di "poveri cristi", con il ringraziamento degli stessi carcerati e delle autorità penitenziarie.

Terminati gli studi il Superiore del Lazio gli chiede di fermarsi a dare una mano per un breve periodo(un anno), presso l’Oratorio Salesiano di Cassino che ha ospitato anche la Corale di Villa, producendo un gemellaggio con quella locale. Due anni dopo, a Roma al Nuovo Salario, un ritorno nei luoghi dove aveva completato gli studi. Passaggi brevi, ma con la mente sempre in Centro America, dove si sono realizzati i suoi splendidi sogni di gioventù.

Si ha l’impressione talvolta che la realtà cattolica italiana, con la sua burocrazia, per Don Peppe sia come un vestito stretto. Però, con le persone con cui viene a contatto, si sente bene e, come lui stesso dice, "la missione è più difficile qui, perché "il discorso di Dio sembra più un’aggiunta che un’aspirazione. Ma questo, aggiunge, è il momento che purtroppo ci tocca vivere e, allora, viviamolo bene senza rammaricarci troppo. E’ solo un momento di transizione dei valori, non facciamocene problemi".

Gli abbiamo chiesto:

Nell’andare in un’altra parte del mondo, che ti prefiggevi, che volevi?

"Nell’immaginetta della prima Messa avevo riportato una frase di San Pietro: La Parola del Signore dura in eterno. Una frase che mi è sempre piaciuta, perché credevo e credo in Dio, l’Eterno. Mi ha amato per primo e poi perché, cosciente della mia temporalità, aiutato dal salmo 89 …gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta, per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore. Passano presto e noi ci dileguiamo…insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore. So che è meglio vivere bene e in pace, per quanto si può, con sé stessi e con gli altri. Mi piace ricordare San Carlo Borromeo, un Vescovo che visitava spesso i suoi fedeli e il Fra Cristoforo manzoniano, che andava in giro con poche cose nella sua bisaccia, ma con la gioia di stare con chi aveva bisogno.

Nelle prime ore, in Centro America, imparai un interessante modo di dire della gente nel considerare le cose: Hay más tempo, que vida ovvero c’è più tempo che vita. È quell’essere limitati nel tempo e nello spazio. Riflessione popolare della vita, che alla fine vale più di tutti i titoli e gli onori".

Qui la penna prenderebbe ancora appunti, ma gli chiediamo che ne pensa dei giovani, visto che la sua Congregazione, quella di Don Bosco, si dedica a questa parte della società.

"Sono fantastici! Ti mettono in discussione, ti obbligano a correggere continuamente le tue visioni. Generalmente fanno più rumore alcuni, pochi, ragazzacci scanzonati e senza ideali. Sono convinto e credo nell’intuizione di Don Bosco, il mio ideale di come si possa vivere il cristianesimo. Don Bosco diceva che in ogni giovane, anche il più difficile, c’è un punto accessibile al bene e che nessun ragazzo nasce cattivo. Sono purtroppo le circostanze della vita che inducono spesso a fare scelte sbagliate".

Una domanda a bruciapelo, con una risposta quasi scontata:

Don Peppe, torneresti in un posto di missione?

"Oggi stesso!".

 

Orazio Falconi

www.villasantostefano.com

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