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dal libro "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI     Parte IV  4

Dedicato alla mia madrina di guerra

Io penso che la letteratura di guerra nasca soprattutto dalla paura di dimenticare e questo mio libro è nato certamente da quella paura. Diceva Giovanni Pascoli: "Noi tutti viviamo di ricordi", ed io ho voluto ricordare la mia guerra e la mia madrina di guerra.

Jole Ghisleri di Cremano, mia madrina di guerra foto di qualche anno fa.

Ero stato uno dei pochi a far ritorno in Italia dopo la disastrosa ritirata del fronte russo, ed avevo l'animo ancora pieno di quelle emozioni. La paura di dimenticare una guerra combattuta può sembrare un'assurdità ma non è così. Si dovrebbe parlare di una vita sprecata e di un'avventura inutile, ma io direi di no! A quei tempi si credeva in un ideale e per esso combattevamo.

Le madrine di guerra esercitavano un'opera d'assistenza morale e patriottica verso i soldati che combattevano sul fronte, offrendo loro quell'affetto che serviva a rincuorarli, attraverso lettere piene di solidarietà nella difficile vita in guerra. Quest'opera di assistenza nacque durante la prima guerra mondiale ed ognuna di queste madrine adottò un soldato in prima linea e, con affettuose lettere e qualche pacco di cibarie, lo rese felice. Molti si sposarono dopo il conflitto ed altri rimasero in buona amicizia, compresi quelli che avevano corrisposto a madrine di nobili famiglie. Io incontrai la mia madrina di guerra all'ospedale militare di Cremona (Istituto S. Angelo), che era un edificio scolastico.

La ragazza si chiamava Jole Ghisleri, ed era una giovanissima studentessa che veniva a trovarci insieme alle sue compagne accompagnate dalle maestre, per portarci doni. Io ero arrivato in quell'ospedale provenendo dal fronte greco-albanese con i piedi congelati. La stampa locale aveva fatto di me un "eroe" considerandomi il più giovane Alpino della Divisione "Julia". Avevo appena diciassette anni ed avevo combattuto con gli Alpini anziani. Un giorno Jole mi chiese, timidamente, se potesse diventare la mia madrina di guerra. Accettai con garbo ma non capivo quale sarebbe stato il mio ruolo non essendo a conoscenza di tale incarico, fino a quando non chiesi ad una crocerossina. Jole aveva dodici anni, un visino dolce e l'aspetto privo di malizia. Le prime sue lettere mi giunsero al deposito dell'8° Reggimento Alpini di Udine, dove ero arrivato dopo la convalescenza. Le nostre lettere erano piene d'espressioni innocenti, un modo di informarsi fra due adolescenti. Seguì il mio ritorno sul fronte greco-albanese, dove partecipai agli ultimi combattimenti fino alla fine del conflitto. La corrispondenza fra noi due arrivava con notevole ritardo tanto che un bel pacco di posta mi arrivò al comando presidio di Tirana dove mi destinarono a coprire il servizio del Tribunale Militare di Guerra, presieduto dal nostro colonnello Leone Ceruti, per giudicare i disertori e i traditori albanesi incorporati nell'Esercito Italiano. Le lettere di Jole mi arrivavano quasi settimanalmente ed io vi rispondevo con eguale lena. I miei amici Alpini Marchioro, Venier, Morassutti e Robotti, addetti all'Ufficio Posta Militare, quando andavo a prelevare le lettere mi dicevano sempre: "La tua morosa è sempre puntuale". Loro la credevano la mia fidanzata.

Rimpatriato in Italia per partecipare ad un corso di sottufficiali a Sella Nevea in Carnia, mi fermai a Cremona per rivedere Jole e conoscere la sua famiglia. Abitava in Via Rachetta nr. 1, ed appena entrato in casa fui accolto affettuosamente come uno di famiglia. Il padre Amos Ghisleri era un maresciallo dell'Esercito, un uomo di buone maniere, mentre la signora Amasilli Gelmini era una brava madre di famiglia e mi presentò l'altra figlia Adriana, più piccola, che mi disse che gli piacevano i marescialli col pancione. Tutti in famiglia insistettero affinchè io rimanessi a pranzo. Furono molto gentili, e Jole mi accompagnò a visitare le mie care crocerossine che furono liete di rivedermi.

Ad ogni licenza che il mio comando mi concedeva passavo sempre a Cremona per rivedere Jole e la sua famiglia e in una di queste licenze non trovando Jole a casa, la signora Amasilli mi accompagnò a Cicognara, in provincia di Mantova, dove le due figlie si trovavano in villeggiatura presso un loro parente.

Arrivati a Cicognara, essendo in divisa militare, un contadino loro amico mi scambiò per il marito della signora Amasilli.

Jole fu felicissima di rivedermi e mi fece girare il paesino presentandomi a tutti i vicini. Durante la passeggiata ci fermammo in una chiesetta di campagna dove pregammo davanti alla Madonna e deponemmo un mazzo di fiori. Un'altra visita la feci a Viadana, sempre in provincia di Mantova, che era il paese natio della madre di Jole, dove fui accolto calorosamente dai parenti. Notavo che Jole era cresciuta e non aveva più i segni di una fanciulla ma era diventata una bella signorinella.

La partenza per il fronte russo fece cessare i nostri incontri, ma continuò lo scambio di lettere da parte di entrambi, spedite sia da Cremona sia dalla zona operazioni - Posta Militare 102.

Quelle lettere piene di conforto mi aiutarono moralmente a sopportare le tristi giornate passate al fronte.

Durante la tragica ritirata non ci furono lettere. Tornato in Italia fui ricoverato per la ferita al braccio destro all'ospedale "Rizzoli" di Bologna e Jole, informata da me, riprese a scrivermi. Ma l'armistizio dell'8 settembre troncò ogni nostra relazione per l'interruzione dei servizi postali. Nel mese di ottobre 1943, aderendo al servizio dell'Office of Strategie Service dei servizi segreti americani, e trovandomi in missione sul Po, decisi di andare a Cremona per rivedere Jole ed i suoi familiari e non li trovai e mi fu detto da un vicino che erano sfollati a Pieve d'Olmi,

Mi presentai a loro vestito da sergente tedesco ed nel vedermi con quell'uniforme la famiglia Ghisleri restò all'improvviso ammutolita. Non sapevo come spiegare la mia situazione e inventai che mi ero arruolato nell'Esercito Tedesco, mostrai i miei documenti falsificati, ma non riuscii a capire come la pensarono.

I Ghisleri mi invitarono a pranzo offrendomi quel poco che avevano. I tempi erano quelli della "tessera annonaria", ma insieme a quello che loro avevano messo sulla tavola io aggiunsi dello scatolame tedesco che avevo prelevato con la tessera falsificata in un posto di ristoro della Wermacht. Dai Ghisleri ero considerato come uno di famiglia, e durante le mie visite a Cremona mi avevano accolto sempre con molto affetto, ospitandomi in casa, portandomi a visitare i parenti a Viadana e vivendo con loro momenti di gioia e confidenza. Quel giorno ero molto imbarazzato per essermi presentato come un "mercenario", ma non potevo dire loro che le mie idee si erano schiarite ed avevo scelto la via giusta, perché ero braccato dalle SS tedesche per aver liberato due uomini innocenti rinchiusi nel carcere di Castelfranco Emilia, che avrebbero dovuto essere fucilati con una sentenza della Corte Marziale di Guerra Tedesca.

Durante il pranzo il signor Ghisleri si lamentava che non poteva offrirmi il buon formaggio che un caseificio locale vendeva a borsa nera a prezzi elevatissimi.

Chiesi di uscire e dissi gli avrei portato subito il tanto desiderato formaggio. Mi recai al caseificio e con un italiano "tedeschizzato" chiesi al proprietario una forma di formaggio. Vedendomi armato con la mia pistola "Mauser" e vestito con l'uniforme tedesca, il proprietario impaurito mi portò il formaggio richiesto. Volevo pagare ma lui disse che era un omaggio per un "camerata tedesco".

Con i Ghisleri meravigliati ridemmo e mangiammo il buon formaggio alla faccia del "borsaro nero".

Li salutai tutti con affetto e dissi a Jole che mi sarei fatto vivo, mentre pensavo che se fossi stato catturato dai tedeschi non mi avrebbero mai più visto. Gente come noi se catturata era fucilata sul posto senza nessun processo. Per loro eravamo spie.

Con mezzi tedeschi raggiunsi i miei compagni sabotatori a Porto Tolle sul Po ed imbarcatomi su un barcone armato, battente bandiera tedesca, opportunamente attrezzato dai nostri agenti dell'O.S.S., salpammo facendo saltare quattro ponti di estrema importanza logistica sul fiume Po, minando i pilastri con il tritolo al plastico ad orologeria. Da allora non rividi più Jole.

La guerra mi prese dallo sbarco di Anzio a quello della Francia del sud fino all'intera campagna di Germania e quella del Pacifico. Sbarcai a San Francisco nel settembre del 1945 condotto al Camp Stoneman ed infine, congedato dall'esercito americano, mi stabilii a San Francisco. Scrissi a Jole che mi rispose subito. M'informò che tutti stavano bene e che si era fidanzata con il signor Piero Artoni. Rividi Jole dopo il mio ritorno in Italia. L'incontro a Cremona fu molto cordiale e Jole mi presentò suo marito e la piccola figlia Clelia. La signora Amasilli volle che io rimanessi a pranzo e tutti insieme festeggiammo la riunione, rievocando il terribile periodo di guerra. Il nostro rapporto proseguì coni rari incontri a Cremona ma senza più lettere. La vita di Jole era cambiata avendo una famiglia e per circa quarant'anni non riuscii più a vederla, e se andavo a Cremona lei era sempre in vacanza o assente per motivi propri.

Con i Ghisleri ci sentivamo per telefono e qualche volta riuscivamo a salutarci anche con Jole. Un'estate lei venne in vacanza in un campeggio di Ostia e fissammo un appuntamento per vederci. Io ero in vacanza ad Anzio con la mia famiglia, ma non riuscii a mantenere la promessa di incontrarci perché non trovai un mezzo di trasporto per raggiungerla, ed i mezzi pubblici non operavano tra Anzio ed Ostia, sarei dovuto andare a Roma e prendere il trenino Roma - Lido di Roma, ma sarei giunto in serata. Avendo lavorato al film "Camping" di Franco Zeffirelli, con Marisa Allasio, Nino Manfredi e Paolo Ferrari, conoscevo il barista di quel campeggio, lo chiamai e gli chiesi di rintracciarmi Jole. Al telefono cercai di spiegarle la situazione promettendoci di rivederci ad una prossima occasione. L'occasione non venne mai, eccetto una volta che passai per Cremona ma non la trovai perché era andata con il marito in montagna. Trovai solo la figlia Clelia, in casa della nonna Amasilli, e l'aiutai a svolgere un tema in lingua inglese. Quando morì il padre ne fui molto dispiaciuto. I nostri rapporti subirono lunghi periodi d'oblio, eccetto gli auguri di Pasqua e di Natale. Da parte di Jole vi fu un silenzio di circa quindici anni per la dedizione verso la sua famiglia bisognosa d'attenzioni.

Anni dopo mentre giravamo il film "Tutti a casa" ad Adria, vidi il ponte sul Po ancora in rovina che noi dell'O.S.S. facemmo saltare e mi ricordai che in quell'occasione lasciai Jole a Pieve d'Olmi per seguire in missione il gruppo di sabotatori. Decisi allora di andare a Cremona a trovare i Ghisleri che non vedevo da tanti anni. Telefonai sia alla signora Amasilli sia a Jole ed Adriana ma non ebbi nessuna risposta. Era agosto e pensai che fossero in vacanza chissà dove. Passarono gli anni e le sorelle Jole ed Adriana furono colpite dalla morte dei loro mariti e in più dalla malattia della loro madre che le impegnava a fare grossi sacrifìci di assistenza infermieristica. Io non le ho mai dimenticate promettendo un giorno di visitare ed abbracciare le mie "tre piccole donne". E il gran giorno venne. Il 15 maggio 1999, fu organizzata a Cremona la 72a adunata nazionale Alpini, potevo mancare? Partii da Roma emozionatissimo e per la fretta sbagliai a copiare il numero telefonico dei Ghisleri, scrissi 0372-459995 anziché il 0372-45 1995. Fu un imperdonabile sbaglio di concentrazione che mi costò seri contrattempi. Arrivato alla stazione di Cremona chiamai quel maledetto numero per annunciare il mio arrivo. Non ebbi risposta. Allora pensai di andare dalle Suore dell'Istituto Sant'Angelo, alle quali mi ero rivolto per trovare un alloggio durante i giorni dell'adunata. La superiora mi mise a disposizione il telefono ma invano ottenni risposta dai Ghisleri. Il telefono era libero ed allora pensai che fosse accaduto qualcosa alla signora Ghisleri. Chiamai tutti gli ospedali di Cremona per sapere se la signora fosse stata ricoverata. Continuai a telefonare e a lasciare messaggi ma non accadde nulla. Quel numero risultava intestato ad un'altra persona che per due giorni si era assentata da Cremona. Questo lo seppi in seguito quando ormai avevo saputo da mia moglie Mina che Jole aveva telefonato a casa mia, a Roma, per sapere perché non gli avevo telefonato.

Ben altro mi era accaduto: la sera del 14 maggio ero stato investito da un motorino in Via Massarotti mentre attraversavo la strada per avviarmi in Via Montenero al mio domicilio. Mi ricoverarono nell'ospedale maggiore di Cremona per trauma cranico. Questo ricovero mi vietò di sfilare con gli Alpini nelle vie della città. Abbattuto dalla tristezza passai tre giorni di degenza con quattro punti di sutura sulla testa ed un'ecchimosi al braccio e alla gamba sinistra. Lo steso giorno della mia uscita Jole seppe dell'incidente e stava recandosi con Adriana all'ospedale. Le dissi che fra qualche ora io sarei arrivato in casa sua, in Via Fontana nr. 16, dove mi accompagnò con la sua macchina la signora Vanna Bianchini, moglie del sindaco Bodini, nipote della mia crocerossina, deceduta, Teresa Lazzarini. L'incontro con Jole, Adriana e mamma Amasilli fu commovente. L'Alpino, combattente di cento battaglie, arrivò con la testa fasciata da un copricapo di bende, coperta dal cappello alpino. Così si concluse dopo circa quarantanni senza vedersi l'abbraccio della mia "madrina di guerra". Jole Ghisleri, senza essere stata la mia fidanzata e senza essere stata mai baciata per l'affetto nutrito per ben 58 anni, rimane il simbolo di dedizione e conforto che negli anni di guerra mi ha sempre dedicato. Grazie Jole, ti voglio paragonare a Maria Bettol, una friulana di 15 anni che divenne la "madrina di guerra" di un Alpino poi caduto sul Monte Nero, nella Prima Guerra Mondiale. Maria Bettol quando si sposò, portò in omaggio il suo bouquet di fiori e lo depose, insieme a suo marito, sulla tomba dell'Alpino a Redipuglia. Con questo gesto volle onorarlo del semplice affetto suscitato per un ragazzo che aveva combattuto per la Patria.

Alfonso Felici (Un Alpino della "Julia")

 

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