SANTO STEFANO ED IL CARDINALE DI COMO

Febbraio 1607. Nella notte tra il 3 e il 4 muore a Roma all'età di 80 anni il Cardinale di Como, al secolo Tolomeo Gallio, ricchissimo prelato che aveva raggiunto le più alte cariche nell'ambito della gerarchia ecclesiastica. Sempre in bilico tra Curia, nobiltà e diplomazia internazionale, per quasi mezzo secolo aveva influenzato la vita politica dello stato ecclesiastico. La sua storia si incrocia con quella delle nostre contrade.

Durante la seconda metà del '500 buona parte dell'aristocrazia romana attraversa una profonda crisi economica. Costretta ad un progressivo indebitamento per poter mantenere un tenore di vita ed un seguito superiore alle proprie possibilità, è forzata ad alienare porzioni anche cospicue della possidenza. La situazione è aggravata dall'aumento dei prezzi e delle spese di gestione dei fondi produttivi, a fronte di rendite signorili ed agricole statiche. Né valeva a fronteggiare tale andamento, il viraggio dalla coltura all'allevamento, certamente meno dispendioso. Vanno così moltiplicandosi vendite ed affitti di tenute e di feudi.

A questa crisi non fu estranea Casa Colonna: Marcantonio II inoltre ereditava i debiti accumulati dal padre Ascanio, ai quali si aggiungevano le ingenti spese sostenute nella guerra di Campagna, nella conflittualità con il Pontefice, ed il danno conseguente ai periodi di confisca dei feudi. In tutto un passivo 360.000 scudi. Per farvi fronte fu costretto a vendere ed affittare vari possedimenti, avendo così anche modo di soddisfare le spettanze dotali delle sorelle, e tirare il fiato. C'è anche il piccolo feudo di Santo Stefano in Valle. Acquistato il 31 gennaio 1425 insieme a Morolo da Alto ed Aldobrandino Conti per 13.000 ducati d'oro, il paese dopo la morte di Martino V fu più volte confiscato dai Pontefici e restituito, e poi distrutto e saccheggiato dai vari eserciti di turno. La guerra di Ferrara, le truppe del Vitelleschi, quelle di Giovanni dalle Bande Nere, per citarne alcune, tutte lasciarono il loro segno sul paese, fino ai maggiori danni patiti ad opera delle truppe spagnole e francesi durante la guerra di Campagna nel 1557. Marcantonio, nel 1567, lo aveva affittato insieme con altri 17 feudi dello Stato di Campagna a Bartolomeo Buonamici, facoltoso fiorentino che nel 1570 farà da prestanome al cardinal Felice Peretti, il futuro Sisto V, nell'acquisto di una vasta area in Castro Pretorio, per la sorella Camilla. Il contratto aveva la durata di cinque anni per una somma forfetaria di 5500 scudi annui. Cedeva tutte le rendite ed i diritti, riservando per se soltanto la tenuta annessa alla residenza di Paliano e l'amministrazione della giustizia. Nella primavera dell'anno successivo, a sorpresa, il feudo di Santo Stefano viene concesso in affitto al Gallio per 150 scudi l'anno.

Ufficialmente per "amicizia": nelle note delle entrate di Casa Colonna viene specificato che "...(rende) soltanto denari. Si affittò scudi 150. Ne vale più di 200". In realtà l'operazione consente al principe di ottenere una rendita certa, anche se di valore inferiore senza i gravami dell'amministrazione, ma soprattutto proprio in virtù di quell'amicizia, di ottenere un canale preferenziale nei rapporti con la Spagna ed il Pontefice, e non ultimo un valevole appoggio per l'erezione del Monte Colonnese. L'atto viene stipulato il 6 aprile nella residenza del principe in Piazza SS Apostoli. Marcantonio dichiara di voler fare cosa gradita al Cardinale concedendogli il Castello di Santo Stefano vita naturai durante "... con tutti i suoi membri, pertinenze e diritti, nonché la totalità dei frutti ed introiti che in qualsiasi modo vi si percepiscano, con ogni giurisdizione, con il mero e misto imperio e con ogni cosa lo stesso illustrissimo D.Marcantonio vi possiede e ritiene" ad un prezzo da stabilirsi da due periti eletti di comune accordo. Unica condizione che i Bonamici possano continuare a percepire i frutti del restante triennio loro accordato, e che quindi il Cardinale sia tenuto a pagare il canone solo da quando percepirà effettivamente i frutti. "Tuttavia nel frattempo il cardinale abbia per il resto giurisdizione del detto castello". L'alto prelato da parte sua promette di voler esercitare la signoria con giustizia, di trattare bene i suoi vassalli, e far buon uso dei suoi diritti e proventi. I contraenti si rilasciano reciproca assicurazione di voler rispettare lealmente e pacificamente i patti convenuti.

Tolomeo Gallio già da alcuni anni era presente nella vicina Priverno, pare dal 1564. Aveva via via acquistato varie proprietà, e tra le altre una vasta tenuta in località San Martino, ove aveva fatto costruire un nuovo, sontuoso palazzo. Documenti privernati lo indicano quale Governatore di Campagna e di Marittima, ed è certo che il 27 maggio 1572 viene nominato governatore di Terracina, Piperno e Sessa. Con se aveva chiamato, come uomo di fiducia, Paolo Vailati, nipote di parte materna, cui aveva affidato la gestione dei suoi affari nella cittadina. Allo stesso, il 27 aprile successivo, da Roma affida la conduzione del nuovo feudo dandogli, per così dire, carta bianca.

La presa di possesso ufficiale avviene il 12 maggio dello stesso anno. Non facciamo fatica ad immaginare l'atmosfera di novità che deve aver pervaso la piccola comunità per l'occasione di un tale "cambio di governo". La piazza del paese (l'odierna Piazza del Mercato) antistante la sede municipale è gremita di gente. Alla presenza di Paolo Vailati e dei due massari (sindaco e vice sindaco) Giovanni Leo e Bernardino Valle sono schierati più di due terzi dell'assemblea dei capi famiglia, dietro tutto il popolo. Dal notaio vengono letti ad "alta ed intelligibile voce" sia l'atto di concessione stipulato dal Principe e dal Cardinale che l'atto di procura a favore del Vailati, prima negli originali in latino e poi tradotti e spiegati. Richiesti poi prestare atto di obbedienza e di sottomissione, i convenuti "ad una sola voce e di consenso unanime, nessuno contrario i...immisero D. Paolo Vailato nel possesso predetto ... e riconobbero ed accettarono l'Ill.mo S.r. Cardinale come signore e padrone del castello ... e gli officiali e amministratori promisero di prestare massima fedeltà, obbedienza, omaggio e vassallaggio ad ogni altro dovere a tenore della concessione ... Ed in segno di vero e reale possesso i suddetti officiali consegnarono allo stesso D. Paolo le chiavi della porta principale del Castello ... Prese a se le chiavi... aprendo e chiudendo la porta, accedendo alla rocca, camminando per le strade e ... compiendo altri atti di possesso ... ognuno di loro giurò ..." Adempite queste formalità di rito restituì le chiavi agli officiali.

Tolomeo Gallio dovette essere, crediamo, catturato dalla mitezza del clima del paese, se, poco dopo affittato il feudo, nel mese di giugno, di ritorno da Mantova, decide di trascorrevi l'estate, lui notoriamente insofferente all'afa estiva di Roma. Di certo egli esercita appieno la sua potestà signorile, compresa la facoltà di presentare al vescovo di Ferentino l'arciprete, gli aspiranti ai benedici ecclesiastici ed i chierici, come ci viene attestato nel caso di don Antonio Croce, che viene nominato arciprete dal vescovo Tibaldeschi su lettera di presentazione del Cardinale del 20 novembre 1570. Successivamente sarà la volta del sacerdote don Pietro Reatini e di Don Giulio Tambucci che ottiene il chiericato nel 1582 con lettera del 23 gennaio.

Non sappiamo a questo punto delle ricerche quanto e come il Cardinale di Como abbia influito sulla vita sociale ed economica del paese; certamente dovette avere un discreto peso: la nipote Lucrezia sposò nell'autunno del 1568 Pietro Antonio Palombo, fratello del pittore Pomponio. Azzardiamo a questo punto l'ipotesi che il cardinale possa aver influito in qualche misura sulla carriera artistica di quest'ultimo.

Negli anni della sua signoria, oltre a varie maestranze, si nota la presenza di personalità forestiere come il capitano Pompeo Marrocco da Roccasecca, che presenzia all'appalto del pubblico archivio il 13 dicembre 1591 aggiudicato da Cesare Pennazzolo di Priverno, votato naturalmente all'unanimità dal Consiglio. Di Priverno è anche Marco Guarino uditore del Cardinale al quale il Consiglio l'8 maggio del 1592 da mandato per l'acquisto in Roma di cinquanta archibugi e relative munizioni per la difesa del paese dal brigantaggio dilagante. Più tardi arriverà la famiglia Carlone da Alvito, capoluogo del Ducato che il Gallio acquista nel 1595. Uno dei suoi figli sarà il notaio Biagio, il cui nome rimarrà indissolubilmente legato alla erezione del Santuario della Madonna dello Spirito Santo. Di converso troviamo un nostro notaio, nonché viceconte palatino Antonio Filippi nel 1570 cancelliere di Priverno.

Ma come era il Cardinale di Como, e come lo dipingevano i contemporanei. A parte il giudizio negativo del Soranzo che lo diceva "di poco spirito", per altri autorevoli osservatori dell'epoca "... era di modi dolci e piacevoli che destavano simpatia in chi gli stava vicino", ed aveva una singolare bontà e pazienza. Accanto a queste qualità umane, i contemporanei gli riconoscevano non comuni capacità politiche: "Destro ... sagace in saper conoscere gli huomini e gli umori, e pieghevole sopramodo in accomodarvisi". Con la comunità di Santo Stefano ci appare disponibile. A lui ricorrevano i santostefanesi in caso di bisogno per censi e prestiti. A lui si rivolgeva Marco Croce e l'esecutivo della nostra comunità nel 1579 per problemi di raccolti e di approvvigionamenti di grano: il tono quasi confidenziale delle richieste lascia trasparire la certezza di trovare nell'interlocutore una disponibilità e benevolenza per le problematiche della popolazione. E' anche magnanimo: il 23 marzo 1593 concede la grazia ad Angela Ottavini, non sappiamo però per quale mancanza.

Non così i suoi agenti d'affari, scelti tra le prime famiglie del paese dopo la scomparsa del Vailati. Tra quelli noti figurano Don Pietro Lucarini in carica nel 1594, Antonio Tambucci nel 1601 e Marco Pietro Leo nel 1605. Estremamente fiscali come provano le riscossioni forzate di crediti. Citiamo a titolo di esempio la confisca e vendita all'asta nella pubblica piazza del paese della vigna degli eredi di Angelo Gasbarra, per impossibilità a rimborsare un prestito avuto tempo prima da questi per l'acquisto di 5 tomboli di grano ed una gallina!

Di Paolo Vailati sappiamo che aveva sposato Donna Francesca Catanea di Palermo, che gli aveva portato in dote trecento scudi in beni mobili e stabili. Ricevuta in affidamento la conduzione del feudo Santo Stefanese prima di trasferirvi stabilmente la propria residenza, prende a servizio una giovane orfana di Priverno. Assume anche in quegli anni la tutela della nipote Vittoria Paolombo, dopo la morte del padre Pietro Antonio. A Santo Stefano, nel 1579 prenderà in enfiteusi a terza generazione un terreno in contrada Durante (Adrenta) di proprietà della chiesa di San Sebastiano. Morirà invece dopo il 1584, senza prove. A Sua moglie che continua ad abitare a Santo Stefano, il Cardinale, facendo testamento nel 1596, lascerà un vitalizio di 50 scudi l'anno.

Conclusa la vicenda terrena di Tolomeo Gallio, il nostro borgo tornerà ipso facto nelle mani dei principi Colonna, per rimanervi questa volta senza interruzioni fino al 1816.

Dott. Vincenzo Tranelli

 dicembre 2007

 

up. 20 giugno 2008

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