Le Confraternite

Nel corso dei secoli si formarono associazioni parareligiose nelle quali signori e villani, sempre uguali davanti a Dio, ora incappucciati e vestiti di sacco, erano indistinguibili anche agli uomini. Lo spirito religioso e la costituzione di confraternite contribuì all'allargamento del contenuto sociale delle attività ecclesiastiche locali permettendo a gruppi laici di coadiuvare i sacerdoti e di organizzare speciali devozioni e celebrazioni.

Le confraternite godevano di una certa autonomia localmente in quanto esse erano sotto la giurisdizione della curia vescovile, alla quale pagavano direttamente il cattedratico, la quale le sorvegliava attraverso il vicario foraneo, anche per prevenire deviazioni dottrinali comuni al misticismo che le caratterizzava. Unite dal fervore religioso, esse vennero a formare vere e propri organizzazioni sociali nelle quali la popolazione trovava quello spirito di solidarietà che superando le divisioni di classe permetteva un'azione collettiva nella celebrazione di feste, nelle processioni nelle quali gli uomini vestiti di sacco e le donne con i distintivi sfilavano dietro i propri stendardi.

Le confraternite, attraverso donazioni e lasciti dei confratelli, accumularono poi un notevole patrimonio in terre ed in altri beni che conferirono loro una posizione d'importanza nell'economia locale.

Quattro confraternite raggrupparono la popolazione di S. Stefano negli ultimi secoli, e cioè quella di S. Pietro, del Sacramento, del Rosario e del Purgatorio; ad esse si aggiunse per un breve periodo di tempo quella dell'Addolorata.

Di queste, la più antica era quella di S. Pietro, che poi scomparve nei primi anni dell’Ottoceto coinvolta nello sfortunato tentativo di costruire un grandioso tempio in onore del principe degli apostoli. Nell'antica chiesa di S. Pietro, « sino dall'Anno 1566... era eretta la Confraternita chiamata di S. Giovanni apostolo, e indi di S. Pietro comulativamente; e in seguito sempre è stata chiamata la confraternita di S. Pietro » .

Con tutta probabilità, questa confraternita nelle sue origini era associata ai riti antichissimi, anche precristiani, che si tenevano nel santuario di S. Giovanni, e che a causa delle sempre più malsicure condizioni a valle tra il Tre-Quattrocento fu costretta a trasferirsi in paese, ospite della chiesa di S. Pietro. Non si conoscono le finalità originarie di questo sodalizio, ma già nel 1585 i confratelli, vestiti di sacco bianco, provvedevano all'accompagnamento dei morti.

Queste attività funerarie vennero probabilmente assunte dalla confraternita dopo il suo trasferimento nella chiesa di S. Pietro, nell'ambito della quale si trovavano gli antichi cimiteri della comunità; funzione che venne meno quasi completamente con lo spostamento delle tumulazioni, eccettuati i malfattori, nella chiesa parrocchiale, come si ricava dai libri di conto fine Settecento: « dalla stola detta bianca e nera, incerto poco per accompagnamento di morti » .

Durante questo periodo, la confraternita era diventata un ente immobiliare con suo scopo immediato l'amministrazione dei propri beni, nei quali erano stati integrati quelli già appartenenti alla chiesa che la ospitava, e la cura della chiesa stessa e delle suppellettili sacre e quadri, e dell'archivio dei Luoghi pii che ivi si trovavano. Dal lato religioso, l'incombenza dei confratelli era ridotta alle solenni officiature con messe e vespri nelle festività di S. Pietro e di S. Giovanni Evangelista alle quali prendevano parte, come ad altre occasioni festive, nella loro « veste.., di barbantina color rosso, colletti di ruisse color turchino celeste, stemmi tondi di carta coloriti ad olio rappresentanti il triregno e chiavi, co' cingoletti di bambace rossi »; e nelle processioni portavano « quattro lanternoni di legno vecchi assai di color rosso e con consimili aste, dorati a velatura in più parti». Dal suo fondo rendite, la confraternita di S. Pietro contribuiva a varie attività religiose e sociali, ed in particolare: « Boccali due romani di olio... ogn'anno... al padre predicatore quaresimale... rubio uno e quartelle tre di grano che si somministra alli infrascritti, cioè al maestro di scuola... all'organista della chiesa madre... al direttore spirituale della Congregazione dei sacconi... al mandataro vescovile ».

Al contrario delle altre confraternite, quella di San Pietro non aveva gran seguito popolare, perché forse mancava di un forte richiamo religioso, ed era ristretta ad un numero limitato di soci, che nel 1801 erano: Pietro Pocci, priore; Lorenzo Colini, Pietro Tranelli, Paolo Palombo, Paolo Toppetta, Domenico del quondam Eugenio Lucarini, Vincenzo Toppetta, Alessandro Tranelli, Benedetto Maselli, Giovan Paolo Jorio, Giovanni Paggiossi, Luigi Lucarini, Bartolomeo Palombo, Vittorio Rossi e Filippo Toppetta .

 

Le confraternite del SS.mo Sacramento e del SS.mo Rosario furono costituite durante il Cinquecento formalizzando antiche pratiche devozionali in quell'ondata di fervore religioso che cercava di dare nuovo significato alla vita sociale scossa dagli eventi di quegli anni. A S. Stefano esse vennero regolarmente erette, la prima nel 1694, e la seconda nel 1745, ma anche nel paese la devozione per questi due aspetti del culto cattolico risaliva a molti secoli prima; un sodalizio dedicato alla devozione del Rosario esisteva già nel 1585, e nella chiesa parrocchiale c'era già « l'altare del S. Rosario, sulla cui parete erano dipinti i misteri del Rosario. Qui molti uomini e donne la prima domenica del mese ascoltavano la messa cantata e poi nel pomeriggio facevano una processione portando numerosi e bei vessilli ». Altrettanto antica era l'esposizione eucaristica delle Quarantore.

In paesi come S. Stefano, dove la vita si svolgeva lungo linee funzionali, queste pratiche devozionali erano socialmente importanti in quanto riunivano uomini e donne, signori e villani in attività collettive, particolare valore sociale aveva la recita del rosario, che oltre che nelle funzioni di chiesa, veniva recitato in gruppo rientrando a sera dai campi, di ritorno dalle fontane, in famiglia dopo cena e nella veglia intorno ai morti.

Caratteristica, era la tradizione primaverile d'inghirlandare le edicole con quadri della Vergine che si trovavano un po' dappertutto nel paese; davanti a questi altarini, nelle serate di maggio, si radunava il vicinato sui profferli, sulle soglie degli usci e per la strada a recitare il rosario e a cantare inni mariani che s'intrecciavano ed echeggiavano di contrada in contrada.

La confraternita che ebbe il più ampio richiamo tra la popolazione di S. Stefano fu quella delle Anime del Purgatorio, le cui pratiche devozionali in suffragio dei defunti risalivano anch'esse al medioevo, ma che si svilupparono in un vero culto delle anime sante durante il Seicento, creando un forte vincolo di comunanza tra i viventi che cercavano di abbreviare il più possibile con preghiere ed atti di carità il soggiorno dei cari defunti tra le fiamme del purgatorio, ed i morti che da essi dipendevano per poter giungere più speditamente in paradiso.

Nella mentalità paesana, questo bisogno di mutua assistenza creò una realtà trascendentale nella quale le anime sante erano sempre intorno ai viventi e prendevano forma ed erano udibili ed anche visibili non solo nei sogni, ma anche nella vita quotidiana; le s'incontravano lungo i solitari sentieri di campagna, presso le fontane, negli angoli fuorimano del paese, nelle cantine, e a sera si potevano ascoltare le loro voci che dai sottoscala e dagli angoli delle stanze sommessamente si accompagnavano alla recita del rosario. La sera dell'Ascensione, le anime che avevano finito di scontare le loro pene nel purgatorio andavano a raggiungere il paradiso, ma prima facevano un giro per il paese passando in processione davanti le loro case; per agevolare questo loro ultimo tragitto terrestre, si mettevano brocche con acqua e ciotole con cibi sulle soglie di casa e si accendevano lumini ad olio sui davanzali delle finestre, e chi non era preso dal sonno udiva l'incedere dei loro passi leggeri, il fruscio delle loro vesti bianche di anime ed il mormorio delle loro preghiere.

A tener vicini vivi e morti c'era anche un fattore ambientale, cioè la prossimità fisica ai cadaveri che dopo il Seicento vennero sempre più spesso tumulati nella chiesa parrocchiale dove la popolazione si raccoglieva giornalmente, e in particolare in tempi di pestilenze e colera quando con il sovraccaricarsi dell'angoscia collettiva la differenza tra la vita e la morte diventava scempre meno discernibile.

La confraternita del Purgatorio venne organizzata probabilmente presso la chiesa di S. Pietro rilevando i compiti funerari della confraternita di S. Pietro. La sua sede originale va ritrovata nel caseggiato « in contrada Campidoglio, o sotto S. Pietro » nella facciata del quale « sono l'immagine di Maria Santissima e del Purgatorio »; caseggiato che poi attraverso lasciti di Petronilla Fiocco, Giuseppe Ferrari ed altri confratelli, passò quasi tutto di proprietà della confraternita.

La tradizione locale ricorda come in questo caseggiato, che nella pietra chiave del portale in peperino porta ancora il monogramma di Gesù Cristo, abitassero una volta i « frati bianchi » che taluni dicono esser stati gesuiti passati a vivere clandestinamente in molti paesi laziali Iscrizione sulla porta dei "Frati Bianchi" dopo la soppressione della loro compagnia nel 1773; ma con molta più probabilità, i frati bianchi non erano altro che i sacconi, cioè gli accompagnatori funebri, prima confratelli di S. Pietro e poi del Purgatorio, che si radunavano in questi locali per indossare i rituali sacchi bianchi.

Rimangono ancora, sulla facciata della casa, tracce degli affreschi notati nel testamento di Giuseppe Ferrari, mal ridotti dalle intemperie e da schegge di bombe nel 1944; nel basso dell'intonaco sporgeva un blocco di tufo con la data 1716; si tratta di due quadri: quello in alto, dentro una nicchia, raffigurava le anime sante tra le fiamme del purgatorio; l'altro era una movimentata scena della fuga in Egitto con la sacra famiglia inseguita dai cavalieri di Erode.

 

Questo caseggiato apparteneva ancora alla confraternita al principio dell'Ottocento; ma già dalla metà del Settecento, la sua sede era stata trasferita nella « chiesa rurale di S. Sebastiano dove esiste l'altare della B.ma V. Maria del Carmine ». Questo altare, con la tela della Vergine che oggi si trova sopra l'altare della chiesa del camposanto, era stato eretto in cappella con dotazioni della famiglia Passio; il rev. don Giuseppe Passio, vicario foraneo, era ex officio presidente della confraternita durante questo periodo. Una delle maggiori responsabilità dei confratelli del Purgatorio, dopo quella dell'accompagnamento dei feretri, era la recita dell'ufficio per i defunti fratelli, come hanno fatto fino all'inizio del presente secolo quando la confraternita aveva cambiato nome in quello della Buona Morte; chiamati dal rintocco della campana, essi vestivano i sacchi neri con corda ai fianchi ed il cappuccio riversato sulle spalle, e allineati sui sedili in muratura che fiancheggiavano l'altare maggiore della chiesa di S. Sebastiano, recitavano le varie parti dell'ufficio funebre. La confraternita rifletteva Resti degli affreschi della Confraternita delle Anime del Purgatorio ancora verso la fine del Settecento la prevalente divisione di classe. In una riunione del 2 ottobre 1794 si discusse, e venne poi approvato « un allargamento alla partecipazione ai benefìci della Congregazione ai nostri cittadini idioti (analfabeti) dell'uno e dell'altro sesso » e l'inclusione di essi « alla recita comune del terzo notturno... come pure con le cinque solite officiature doppie, cioè nella settimana dei morti... nella natività di N. S. Gesù Cristo, nel Carnevale... nella mezza Quaresima... nel Ferragosto ».

Durante questa seduta venne anche stabilito che fratelli e sorelle che non intervenivano alle solite officiature potevano partecipare ai benefìci della confratellanza con una « annua elemosina di un giulio », cioè 10 baiocchi, per i più facoltosi e di « un grosso », 5 baiocchi, per i poveri, e che per la festa della Purificazione venisse data una candela benedetta ai fratelli e alle sorelle. I soci venivano così classificati come fratelli di un paolo, che equivaleva ad un giulio, e fratelli di un grosso; e « gli nostri congregati fratelli letterati devono a ciascuno che muore per una volta sola celebrarli a chi paga il paolo tutto l'uffìzio dei morti letto, a riserva che si canta l'Invitatorio, il Libera e la Messa: a quelli poi di un grosso l'Invitatorio col Notturno come sopra, e Messa cantata ».

Compito principale della confraternita era di provvedere con i propri fondi alle esequie dei confratelli secondo le prescrizioni dello statuto o secondo le stipulazioni del defunto se aveva fatto lasciti all'associazione; era richiesto l'accompagno, che differiva secondo il sesso del defunto, candele e tutto quanto necessario al rito funebre; alcuni dei fratelli avevano « il pietoso ufficio di incollare (portare a spalla) il feretro nell’associare i cadaveri in chiesa »; la confraternita versava ai sacerdoti officianti il consueto onorario per le esequie e per le messe.

La discriminazione nel riguardo delle donne scomparve nel 1850, quando venne deciso che «il funerale delle sorelle debba essere uguale a quello dei fratelli subito che la congregazione avrà formato un fondo sufficiente a supperire ad essi funerali ».

Il patrimonio della confraternita era abbastanza consistente con corrisposte in olio, uva, granturco e degli affìtti per le case di sua proprietà nel paese; queste entrate erano integrate dalle quote dei soci e attraverso questue fatte nel paese da sorelle cercatrici.

I libri amministrativi della confraternita che vanno dal 1816 al 1926 formano un interessante documento di storia sociale del paese, e nelle voci d'entrata e d'uscita si svolge tutto un secolo della vita del paese: «Dalla vedova Carlo Palombo ed Alessandro Jorio siciliano, cioè granturco, di risposta alle grotte Saracene... Eredi Saverio Petrilli per la casa a S. Pietro... Per tre femmine da mandare a prendere tre bigonzi d'uva alla fontana Zicagnèa da Panciotto... Da Domenico del quondam Cannine Rossi per le grotte Saracene... Messe da celebrare di buonora nella chiesa di S. Sebastiano all'altare della Madonna del Carmine.. Messe, officiature, arciprete e due assistenti per l’ottavario dei morti... Risposte in siciliano, cipicce, foglie di gelso, fichi, lino, cicerchie, fagioli, spelta, fave, biada... Affitti e feudi in denaro... Al muratore Carlo Buzzolini... all'organista... al sagrestano... al balio per due bandi... al sacerdote Baldassarre Perlini per 22 messe lette... a don Francesco Bravo per 4 messe lette... Spese occorse nella fucilazione di Gioia... Tassa ecclesiastica... Al campanaro Cacciavillani di Frosinone per la campanella... Elemosina per un ebreo fatto cristiano... Luigi Petrilli per la casa a S. Pietro... Messa cantata alla sorella Grazia Petrilli... Corrisposte d'olio da Filippo Jorio Carlone dalle Macchie... di granturco da Francesco Petrilli dalle grotte Saracene o sia Valcatora... Per accompagno del cadavere di Jorio Filippo Carlone in numero di 20 fratelli alla chiesa e camposanto... Per l'indicatore di confine alla Macchiarella nuovamente rivendicata dal principe Colonna... Funerale alla sorella Venditti Domenica vedova di Filippo Jorio... Per fattura del calvario dell'Agonia al falegname Francesco Petrilli... a Federico Petrilli per l'accomodatura del banco della sagrestia... Per lavori murali in via Pasquino o S. Pietro... Per il funerale del confratello Petrilli Francesco non riportato nel 1912... Per il terremoto del 13 gennaio 1915... » (6).

La confraternita di Maria SS.ma Addolorata venne ideata dal « rev. sig. don Luigi Maria Fiocco beneficiato della chiesa madre unica parrocchia di questa terra » e predicatore apostolico per i quaresimali, e venne eretta nella chiesa di S. Pietro « l'anno del signore 1795: poiché nel di 25 di maggio... fu fondata, con la dovuta licenza... (del) Rev.mo Pietro Paolo Tosi vescovo di Ferentino, dal rev. sig. don Luigi Fiocco autore di detta divozione... giusta l'istruzione venuta da Roma dal generale dei Servi di Maria di S. Marcello al Corso » (1). II rev. Fiocco aveva, tempo prima, fatto dipingere a Roma, a sue spese, il bel quadro dell'Addolorata che ancora si venera nella chiesa parrocchiale di S. Stefano facendolo poi mettere sopra l'altare di S. Pietro; più tardi, con il concorso dei devoti e degli altri sacerdoti beneficiati, la tela dipinta ad olio venne posta « dentro una ben ornata machinetta di legno colorita sull'ultimo gusto ». La nuova confraternita venne inaugurata nella chiesa di S. Pietro lo stesso giorno 25 maggio, ed il popolo « in tal dì concorse a folla per farsi descrivere (iscrivere) e vestire l'abito della gran madre di Dio Addolorata, e prima d'ogni altro avendo ricevuto l'abitino il lodato sig. don Luigi Fiocco dal molto rev. sig. don Stefano arciprete Bravo; indi si ascrissero e furono decorati dal santo abito » i vari ecclesiastici e le « persone più civili del paese e poi infinito popolo di questa terra ed anche dei paesi vicini » .

La confraternita non possedeva beni alcuni; nata come parte del disegno di don Luigi Fiocco di costruire un nuovo e grandioso tempio dedicato alla Vergine Addolorata e a S. Pietro sopra il sito dell'antica chiesa di S. Pietro, essa scomparve al principio dell'Ottocento insieme a quella di S. Pietro nello sforzo per portare avanti la costruzione del nuovo tempio.

Quando nel 1803 venne demolita la chiesa di S. Pietro, il quadro dell'Addolorata fu trasferito nella chiesa parrocchiale; la devozione iniziata da don Luigi Fiocco continua ancora, e il quadro da lui fatto dipingere viene portato in solenne processione nel giorno della festa dell'Addolorata che si celebra la terza domenica di settembre.

Arturo Jorio

(1) L'atto notarile della «Erectio confratemitae Septum Dolorum Beatissimae Virgini in ecclesia divi martiri S. Stephani (sic) facta per R. D. Aloysum Fiocco .die 25 mai 1795 indictione XIII » venne rogato dal notaio Vona di Monte S. Giovanni ma domiciliato a S. Lorenzo; v. ASF/Arch. Not. Amaseno, Vona N. 188; v. anche INV/SPAp., 48-53.

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