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PER UNA STORIA DELLA SCUOLA A PRIVERNO

 IL COLLEGIO DI SAN NICOLA

 Di SILVIO BARSI ( MAGGIO 1985)

Il lavoro è articolato in sette capitoli e suddiviso, complessivamente in ventitre paragrafi, per spiegare gli avvenimenti che vanno dal lascito di Pomponio Palombo del 1592 e dall'apertura del Collegio di S. Nicola del 1625, fino alla definitiva chiusura di esso nel 1870, con brevi cenni anche sulle scuole esistenti ai giorni nostri.

Gli argomenti trattati, evidenziano, soprattutto, i rapporti istituzionali tra il Comune di Priverno, il Vescovo della Diocesi e le congregazioni e gli ordini religiosi che, in tempi diversi, tengono scuola nella Città, ma anche i regolamenti, interni al Collegio, e i metodi di insegnamento.

In appendice, invece, ho creduto opportuno riportare una proposta di interpretazione e di lettura dell'affresco "Nascita della Madonna" di Pomponio Palombo e alcune notizie economiche sul Collegio di S. Nicola, relative ai lasciti e agli acquisti, dal 1628 al 1794.

Fin dall'inizio, quindi, il programma non è stato quello di scrivere "la" storia della scuola di Priverno, ma solo un aspetto di essa, che riguarda, in particolare, l'istruzione maschile dal 1625 al 1870.

I cenni, pertanto, che si trovano nell'opera sulla istituzione Cellini o Scuola delle Maestre Pie per l'istruzione delle fanciulle, o sulle istituzioni scolastiche dopo il 1870, pur se opportuni nel contesto del lavoro, richiedono e aspettano uno studio specifico ed approfondito.

Mi preme, inoltre, segnalare un interessante campo di ricerca, sempre nel settore della storia della scuola, che riguarda, appunto, la istituzione delle scuole rurali e serali per gli operai e i contadini di Priverno.

Colgo l'occasione per ringraziare quanti mi sono stati vicino e hanno permesso, con il loro contributo, la realizzazione del presente lavoro.

Un ringraziamento particolare rivolgo all'Arciprete della Cattedrale Mons. Don Tommaso D'Alessio, al Rettore della Chiesa Parrocchiale di S. Benedetto Don Nicola De Bonis, al Prof. Giuseppe Supino, insegnante di disegno e storia dell'arte presso il nostro Liceo Scientifico, al Prof. Antonio Caradonna e al Padre Piero Centi, Dottrinario in Santa Maria in Monticeli di Roma.

 

CAPITOLO I -- IL LASCITO DI POMPONIO PALOMBO

1 - POMPONIO PALOMBO "PICTOR"

La storia della scuola a Priverno è legata al nome di Pomponio Palombo, per aver lasciato egli tutti i suoi beni alla Comunità di Priverno, per la istituzione di un pubblico ginnasio.

Dal testamento, per gli atti del notaio Cinzio Pennazzolo del 10 marzo 1592 (1), si ricava che Pomponio Palombo è nativo di Villa S. Stefano, che è cittadino di Priverno e che è pittore.

Il Valle (2) nella sua opera non parla, stranamente, dell'attività svolta da Pomponio Palombo a Priverno o altrove, e lo ricorda solo per il lascito fatto al Comune per le scuole. Sulla base, però, di alcuni dati d'archivio, sono stati rintracciati due suoi lavori.

Il primo si trova nella Sala S. Sebastiano della Cattedrale, entrando sulla destra ed è un affresco firmato e datato, "Pomponio Palombi pinsit 1585", rappresentante la "Nascita della Madonna". Dallo studio dell'affresco, egli si presenta come un pittore assai competente e qualificato, nel senso che dimostra di conoscere e di essere padrone della composizione e della tecnica pittorica. Si è pensato di ricostruire, in appendice, tramite una successione di schemi, i vari momenti che l'autore, presumibilmente, ha adottato nella realizzazione dell'affresco.

Il secondo si riferisce alla "Commitio fabricae CappelIae….Societatis SS. Sacramenti..." (3) a mastro Pomponio Palombo, fatta, dell'allora Arciprete della Chiesa Collegiata di S. Maria di Priverno, Torquato Pennazzolo, in data 11 settembre 1591, per gli atti di Cinzio Pennazzolo. Da questo documento, che si presenta più come una registrazione di un contratto fatto dalle parti, si ricavano notizie storiche ed artistiche importanti, specialmente negli acclusi "Capitoli che deve osservare M. Pomponio Palombo Pittore ne la fabrica, et ornamento de la Cappella da farsi ne la Chiesa di Santa Maria di Piperno secondo il Testamento de la bona memoria de M. Vito Barletta Medico". In essi si legge per esteso: "In prima debba M. Pomponio fabricar una Cappella ne la Chiesa Magiore di Pipemo da la banda del Cemiterio fra la porta del Cemiterio et l'altare de la S.ma Trinità qual sia di grandezza quanto al vano di dentro palmi di canna quattordici per ogni verso, et d'altezza palmi simili venti otto, ovvero secondo richiede l'Architettura dalla Cuppula sino al Pavimento ed il Muro che si farà nel Cemiterio per detta Cappella a sia di grandezza tale, et in tal modo incastrato nel muro de la Chiesa, che serva non solo per tener la volta della Cappella ma anco per fortezza della Muraglia di detta Chiesa, acciò rompendosi poi per far Arco nella Cappella non risulta detrimento alcuno la volta della Chiesa. A che succedendo sia tenuto refarlo et accomodarlo del suo. Facciasi ne la detta Cappella l'Altare con la lapide di Pietra di longhezza palmi sette al quale si ascenda per un scalino pure di Pietra lavorato.

Nel mezzo del Pavimento si facci una sepultura per trasportarvi il cuorpo di M. Vito, ch'habbia sopra una lapide per intagliarvi alcune lettere in memoria di esso.

La finestra de la Cappella sia pure di Pietra lavorata. La Pilastrata di detta Cappella sia di terra fino al paro del segno dei Quadri similmente di Pietra. Il restante lavorato di stucco. Nell'altri cosi, che non sono espressi in questi Capitoli si osservi in tutto, et per tutto il disegno fatto da esso M. Pomponio, et dato in mano a M. Torquato Pennazzolo, deputato, essecutore del medesimo M. Vito del suo Testamento et specialmente a questo negotio della Cappella.

Tutti i lavori di stucco che si faranno secondo il detto disegno vadino tocchi d'oro dove conviene secondo l'uso e maniera di simili lavori toccati d'oro.

Quanto a i lavori di Pittura la Cappella sia dipinta in tutti li suoi Quadri et Campi secondo si mostra nel disegno, mettendo in opra colori buoni e fini.

Et in ciaschun Quadro si dipingano quelle figure et Historie che al detto esseguntore parranno.

Debba M. Pomponio dare del tutto finita di dentro et fuora, et coperta di tetto la detta Cappella fra termine d'un anno e mezzo al più dal giorno che si farà l'Istromento et tutto l'opera predetta sarà a sue spese.

E per prezzi e mercede se li prometteranno scudi di Moneta trecento da pagarsili in diversi paghi. Ciò è al tempo dell'Istrumento scudi trenta per fare alcune provisioni e quando si darà Principio al murare scudi trenta.

A l'armare la lammia scudi cinquanta.

Finito tutta la Cuppula di dentro di stucco, Pittura, et oro, scudi novanta.

E quando darà la Cappella a finita del tutto scudi cento".

Pertanto, si può affermare che l'attività di Pomponio Palombo non è solo quella di pittore, bensì anche quella di architetto e di stuccatore.

Da un sopralluogo nella Cappella del SS. Sacramento, delle cose citate nel documento resta ben poco. Oltre alla struttura architettonica interna ed esterna, forse solo l'altare si è conservato secondo il progetto, perché gli affreschi e gli stucchi originali, probabilmente, sono andati irrimediabilmente distrutti con i restauri, fatti in tutta la Chiesa, sul finire del secondo XVIII.

Va, comunque, messo in rilievo il tipo di copertura della Cappella, unica nel suo genere a Priverno, che consiste, appunto, in una lamia (*) a forma di cupola.

Un'ulteriore osservazione, infine, è doverosa e riguarda il tempo effettivo che Pomponio Palombo lavora nella Cappella. Infatti, se si pensa che l'incarico gli è stato conferito, ufficialmente, l'11 settembre 1591 e che egli muore tra il 10 a l'11 marzo 1592, ciò significa che o ha ultimato in questi sei mesi il lavoro, oppure che ha lasciato incompleta l'opera che viene finita, da altri, secondo il suo disegno.

(*) LAMIA (dal neutro greco lamia = "aperture profonde"). Tipo di copertura a volta in uso nelle costruzioni rustiche dell'Italia Meridionale (Penisola Salentina, Puglie, ecc.). Sono fatte con malta di pozzolana e pietrisco battuto, fino a raggiungere un notevole grado di resistenza e di impermeabilità. Possono essere a botte, a crociera, a padiglione e anche a cupola, e sono rinfiancate soltanto per una piccola parte, in modo da lasciare in vista la forma strutturale, il che ne costituisce una caratteristica pittorica, (da: Dizionario Enciclopedico Italiano - Treccani).

(1) A.S.L.

(2) Fra Teodoro Valle: La ritta nova di Piperno - Secondino Roncagliolo, Napoli, 1646

(3) AS.L.

 

 

2 - IL TESTAMENTO

Pomponio Palombo fa testamento di tutti i suoi beni il 10 marzo 1592, cioè qualche giorno prima di morire. Infatti, lo stesso notaio Cinzio Pennazzolo, in data 12 marzo 1592, nell'atto di presa di "Possessio domus pro Comunitate Privemi" (1), erede per testamento, da parte del Sindaco pro tempore Giovanni Battista Guarino, presenti anche tre ufficiali, Blasius Massarius, Petrus Gallatius e Vincentius Rotundus, parla del "quondam D. Pomponii Palumbi", cioè del fu.

La casa del benefattore, sita in Privemo in "Porta Paulina", confinante con i beni di "Antonii Cappelle de' S. Padre", la via pubblica e i beni di Cristofaro Alonzo, ha una "fabrica contigua noviter facta et alia domuncula...". Da alcune indagini effettuate sembra che la "domus Palumbi" sia quella posta proprio nella Via Pomponio Palombo, di proprietà della famiglia del Sig. Neroni Federico. A tal proposito, è opportuno segnalare la testimonianza orale della Signora Capodilupo Agostilia, ottantenne, che ha vissuto da sempre in questa casa e che ricorda le pareti affrescate, soprattutto quelle di un salone di circa 70 metri quadrati, che riceve luce da tre bifore, collocate sulla parete di destra entrando, e che è sorretto al centro da una grande colonna in pietra lavorata. Fino al 1920, secondo lei, potevano osservarsi nelle pareti figure di santi e scene religiose, mentre tra due bifore vi era dipinta un'icona, rappresentante la Madonna con Bambino, che aveva avuto nel paese molta devozione.

Nel testamento di Pomponio Palombo, possiamo individuare quattro parti principali.

Nella prima parte, che può essere considerata la premessa, e che è simile a quella di tanti altri atti testamentari, anche di epoche successive, il testatore si dichiara cosciente "per grazia di Dio" dei propri sentimenti e in grado di ragionare, parlare e capire, anche se indebolito di fisico. Pertanto, prima di morire e finché la sua mente è sana, vuole dare disposizione circa i suoi beni e le cose che riguardano la salvezza della sua anima. Egli, quindi, fa il suo ultimo testamento (noncupativum), stabilendo i modi e le forme per l'adempimento della sua ultima volontà.

Nella seconda parte dell'atto notarile, il testatore, dopo le invocazioni rivolte a Dio e alla Madonna e all'intera Corte Celeste, perchè dopo la morte accolgano la sua anima nella "etema gloria", presceglie "per il proprio corpo una sepoltura nel sepolcro della Compagnia del SS. Sacramento". Stabilisce, quindi, i compensi per il Capitolo e i Canonici della Chiesa Collegiata di S. Maria di Priverno e per le Confraternite che, con "le croci e i sacconi", partecipano ai suoi funerali, nonché le elemosine per la celebrazione di alcune messe in onore della sua anima.

A questo punto, e siamo nella terza parte, il testamento detta le disposizioni e le condizioni per l'assegnazione dei beni materiali.

In particolare, egli lascia:

1) al Signor Carlo Leo circa quattro opere di terra con alberi di ulivo, "per le buone azioni e servizi da lui ricevuti";

2) in consegna al Signor Carlo Leo i colori e le cose per disegnare e ciò che è di pertinenza dell'arte della pittura, perché conservi il tutto temporaneamente, per darlo, dopo, al Signor Rutilio Ferrazzolo di Maenza, miniatore nella città di Roma;

3) al Signor Pietro Antonio Petra di S. Stefano, un piccolo casale con orto attiguo, sito in Priverno in Porta Romana;

4) ai figli e nipoti di Ortenzia Palumbo, suoi nipoti di S. Stefano, tutte le possessioni, diritti ed azioni che ha e che in futuro potrà avere contro di loro;

5) a Vittoria Palombo, figlia del fu Pietro Antonio suo fratello germano, e moglie di Rutilio de Tondis da Terracina (lascia), con varie condizioni, tutti i beni, che sono di Pietro Antonio morto senza figli maschi e che sono tornati a lui testatore, secondo il testamento paterno, e inoltre, gli affìtti dei beni dell'altro fratello Camillo Palombo, che si trova fuori il paese;

6) alla Signora Porzia Righi, moglie di Pietro Antonio Petra, un anello d'oro che deve tenere sempre al dito e un cucchiaio ed una forchetta d'argento con figure decorate da lui stesso;

7) alla Signora Claudia Righi, moglie del notaio Giovanni Antonio Gravina, tutto ciò e qualunque cosa la stessa Claudia oppure il marito gli devono per qualunque motivo o causa;

8) al Signor Carlo Leo, scudi sessantadue e baiocchi due e mezzo che deve ricevere dagli ufficiali di Roccasecca quale prezzo del grano ad essi venduto, con l'impegno di pagare i debiti al farmacista Ascanio Causilio, per tutte le medicine che gli sono servite e che gli potranno servire durante la malattìa, e ai signori Silvio Gambetti, Erminio Visca, Ersilio Visca e Giovanni Miccinilli;

9) a Carlo Leo, scudi uno perché lo consegni a Mastro Napoleone di Sermoneta;

10) a Pietro Spadaro di Castro Giuliano, nove dei diciannove giuli che deve restituirgli, a seguito di prestito, mentre i restanti dieci giuli a Domenico di Paolo Leo di S. Stefano.

Nella quarta ed ultima parte, troviamo le notizie principali del testamento, che si riferiscono all'istituzione della scuola di grammatica, finanziata con i fondi del suo lascito. Pomponio Palombo, infatti, nomina la Comunità della Terra di Priverno erede di tutti i suoi beni stabili, con le seguenti condizioni:

1) di non poter vendere, ne alienare i beni, perché dai loro frutti, proventi e redditi si possa ricavare una rendita per pagare il salario ad un maestro di grammatica;

2) di aprire e mantenere in perpetuo un ginnasio, per la salute dell'anima sua e per la pubblica utilità;

3) di nominare un maestro abile ed idoneo per dottrina e per costumi, da pagarsi con gli introiti dei suoi beni;

4) di intervenire con fondi propri della Comunità o di provvedere

in altro modo, qualora le rendite dei suoi beni non fossero sufficienti a pagare il maestro;

5) di ritenere ed istruire nello stesso ginnasio, oltre gli scolari di Priverno, anche gli scolari di Castro S. Stefano, patria sua, gratis e senza compenso;

6) di accogliere gli scolari forestieri e di esigere e stabilire per loro un giusto salario;

7) di farsi carico di nominare e incaricare un rettore per la cura di detto ginnasio;

8) di non tener vacante, cioè senza maestro, per "aliquod tempus", il ginnasio, per colpa, negligenza e difetto nel condurre lo stesso, pena la privazione dell'eredità e l'acquisizione e devoluzione di essa con tutti i diritti all'Ospedale S. Spirito di Roma;

9) di vendere o elienare alcuni dei beni di minor valore e di acquistare con il ricavato beni stabili di maggiore utilità, frutti e censi;

10) di tenere sempre affissa sulla porta del pubblico ginnasio una lapide marmorea di palmi tre di altezza, con l'iscrizione del suo nome e cognome e con l'armi e le insegne della sua casa e famiglia.

È da rilevare che l'atto notarile, come si evince nella parte finale, è scritto nella casa del Signor Carlo Leo, alla presenza anche di vari testimoni, tutti di Priverno, che si firmano e sono: Pietro Galfascio, Bernardino di Domenico Coletta, Antonio di Francesco Ronci, Pietro Accaddo, Alessandro Accaddo, Pietro di Antonio Colandrea e Francesco Antonio Cole Andrea.

Non va trascurato, inoltre, per memoria, il sigillo del notaio Cinzio Pennazzolo di Priverno, costituito da una rosa con il gambo ad esse prolungata, cioè con tre dorsi, su ognuno dei quali c'è una foglia. Il gambo poggia su una base, a forma di vaso, con le iniziali del notaio (CP) all'interno del prospetto, al di sotto della quale in un rotolo orizzontale spiegato, si legge: "SPES MEA DEUS".

Fin qui il testamento. Per concludere, però, il paragrafo è necessario affrontare altri due importanti problemi.

Il primo è quello della lapide marmorea, richiesta dal Palombo sulla porta del ginnasio. La Comunità di Priverno, in ottemperanza a quanto prescritto dal testatore, fa realizzare l'iscrizione e la colloca all'ingresso delle scuole. Fortunatamente, essa si è salvata dall'incuria del tempo e, anche se un pò rovinata, ci permette di conoscere parte dello stemma della casa e della famiglia del benefattore. La lapide, di forma quadrata, porta in alto il nome di Pomponio Palombo, al centro lo stemma, dal quale si riesce a distinguere una colomba, che ha nel becco rami di ulivo, mentre, nel basso, troviamo un'iscrizione di due righi quasi illegibile. La lapide si trova nella casa di proprietà degli eredi Marino, (che si ringraziano). Sita in Via Consolare, presso Porta Romana.

Il secondo problema riguarda la conoscenza e la definizione della rendita effettiva, che dai beni stabili del Palombo si poteva ricavare. Nel testamento non sono indicati o elencati ne i beni ne la rendita. Fra Teodoro Valle, nel 1646, ritiene che l'eredità frutta, complessivamente, centocinquanta scudi l'anno, mentre in vari documenti successivi la rendita è fissata in duecento scudi annui.

A.S.L

 

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