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       22  OLTRE GIULIANO 
       
      Il comando francese si era ufficialmente insediato a Villa Santo Stefano 
      mentre nelle vicine campagne gruppi sciolti di marocchini, lontani da 
      giorni dai reparti, compivano vergognose nefandezze approfittando dell' 
      assurda libertà concessa dai loro stessi superiori. Quei pochi invece che 
      erano rimasti nei ranghi dopo la vittoria entrarono gloriosamente in paese 
      marciando in fila indiana attraverso la piazza.  
      Erano attesi da alcuni paesani che nonostante tutto in segno di 
      riconoscenza donarono loro fiori bianchi colti nei prati, tra il mare di 
      mani quella callosa di un anziano che allungandosi sperava nella stretta 
      di uno di quei liberatori. Vi riuscì con un sottufficiale che invece di 
      rispondere al saluto preferì sfilargli l'orologio dal polso. In un paese 
      ormai privo di nemici gli ufficiali francesi andarono a occupare 
      l’alloggio che fu dei loro pari gradi tedeschi, la Casina, mentre le 
      truppe indigene si divisero tra le Case Nuove e l’Asilo in piazza. Un 
      Comando provvisorio, invece,fu organizzato in una delle vaste cantine in 
      via Roma, sotto le Scuole. Tutta la macchina da guerra francese fu 
      spostata tra Amaseno e Villa Santo Stefano per predisporre la manovra 
      successiva che, se ben realizzata, avrebbe permesso l’entrata a Giuliano 
      di Roma.  
      Le operazioni militari erano sotto la guida del Colonnello Cherriere che 
      poteva contare oltre che sul Plotone Carri del Tenente Andrew Orient anche 
      e,soprattutto, sulle unità marocchine che gli avevano già permesso la 
      conquista del paese. Oltre all’obiettivo prefissato si sperava anche nella 
      presa del fondamentale Passo della Palombara. La maggior parte dei mezzi e 
      degli uomini furono acquartierati ai Porcini mentre all’interno della 
      Macchia fu allestito un centro della Sussistenza seguito, giorni dopo, da 
      un ospedale da campagna francese.  
      Le artiglierie del Capitano Piroth, essenziali per l’attacco, furono 
      invece portate nei pressi del paese nonostante Ponte Grande continuasse a 
      rimanere interrotto. Sebbene la linea di fuoco fosse ormai alle sue porte 
      il fronte a Giuliano di Roma era già arrivato in maniera drammatica la 
      mattina del 23 maggio quando alle ore sette e trenta comparve in cielo una 
      squadriglia ridotta di dodici cacciabombardieri americani che, in 
      formazione di quattro, lanciarono il loro carico di morte sul paese. La 
      zona più colpita fu quella che dal Santuario della Madonna della Speranza 
      arrivava fino alla chiesa della Madonna delle Rose, numerose le case 
      distrutte come numerose furono le vittime,sedici, più numerosi feriti.  
      Tra gli scomparsi la famiglia di Pietro Felici, sepolti sotto le stesse 
      macerie anche due soldati tedeschi alloggiati in quello che era divenuto 
      nel frattempo Comando tedesco, il Sergente Maggiore Willy Schober e l’Obergefreiter 
      Johann Antons un loro camerata, Otto Freimuth invece cadrà vicino al 
      Santuario.  
      Una delle bombe lanciate distrusse il serbatoio dell’acqua privando il 
      paese, per numerosi giorni, del servizio idrico, un altro ordigno invece, 
      caduto nel piazzale della Madonna della Speranza, fortunatamente non 
      esplose salvando così miracolosamente la vita alle cinquanta persone 
      presenti alla messa celebrata in quel momento da Don Orlando Titi. Lo 
      stesso giorno anche la corrente elettrica si interruppe per essere 
      riattivata solo alla fine del conflitto.  
      Il 24 maggio, il giorno dopo, mentre Amaseno subiva un pesantissimo 
      bombardamento nel paese iniziava l’evacuazione tedesca, a Giuliano di Roma 
      in serata si sarebbero contati come retroguardia solo venti soldati. 
      Il 26 Maggio,venerdì, invece mentre si udirono potenti in lontananza le 
      artiglierie del 64° Reggimento puntate contro Amaseno e Villa Santo 
      Stefano, perdeva la vita Biagio Pagliei. Il 27 maggio alle ore 12.00 fu 
      sparato il primo colpo di cannone contro Giuliano di Roma e il 28, 
      domenica, iniziò la penetrazione francese nel territorio comunale sulle 
      due direttrici che avevano già permesso la liberazione di Villa Santo 
      Stefano, quella a monte sarebbe stata portata avanti dai vincitori di 
      Campo Lupino che al mattino avrebbero attaccato la Punta dell’Orticello 
      quella a valle affidata al Battaglione Girard che dalla Valcatora si stava 
      portando alle porte del paese. 
      Alle ore 08.30 salendo lungo la strada di Santa Lucia apparvero infatti i 
      primi goumiers in avanscoperta, i tedeschi, attestati sul colle di San 
      Martino con una postazione armata di mitragliatrice, cercarono di 
      ostacolarne il passaggio, nello scontro l’Obergefreiter Ludwig Henze 
      rimarrà ucciso, due suoi compagni feriti e fatti prigionieri, gli altri 
      tedeschi, forse tre, riusciranno invece a fuggire.  
      Alle 10.00 i goumiers vittoriosi, nonostante alcune perdite, superato San 
      Martino si unirono a quelli che stavano discendendo dal Siserno per 
      entrare spavaldamente insieme in paese. Solo più tardi, alle ore 14.00, 
      con l’arrivo dei carri armati americani e il resto dei tirailleurs, 
      Giuliano di Roma fu ufficialmente occupata dagli Alleati. Un’ora dopo 
      però, alle ore 15.00, giunse ai canali radio americani l’assurdo ordine 
      francese di ritirarsi permettendo ai tedeschi che avevano, nel frattempo, 
      spostato le loro artiglierie oltre la Palombara di cannoneggiare il paese 
      preparando così il contrattacco vincente delle ore 15.30. Alle ore 16,00 
      giunse ai carristi del 756 un ordine ancora più assurdo del primo, 
      attaccare di nuovo i tedeschi trincerati in paese. 
      Un'ora dopo alle 17.00 gli Sherman furono, per la seconda volta, dentro 
      Giuliano di Roma anche se alle ore 19.30 il comando francese impose di 
      nuovo ai tank americani di ripiegare permettendo così il rientro 
      definitivo dei tedeschi alle ore 22.00. Il giorno dopo, il ventinove, alle 
      ore 08.30 le artiglierie francesi diressero il fuoco delle batterie poste 
      alle Fontanelle e all’ Ouzo contro la Madonna della Speranza dove erano 
      asserragliati gli ultimi difensori di Giuliano di Roma, una delle granate 
      colpi il cannone tedesco che fino a due giorni prima aveva sparato, 
      protetto dalla cava di pietra vicino ai Palombo, facendolo caracollare nel 
      prato sottostante il santuario.  
      Il fuoco durò fino alle 09.45 quando al grido” Zidou l’goudem!! 
      All’attacco!!” fu ordinato l’assalto, ma la maggior parte degli avversari 
      era già fuggita defilandosi tra le macerie della chiesa dove venne trovato 
      il corpo senza vita di un solo soldato, Werner Huxholt. A pochi metri dal 
      tedesco in un caseggiato chiamato “Fabbrica” vittime del fuoco delle 
      artiglierie gaulliste anche un manipolo di marocchini e il loro ufficiale 
      che in attesa dell' attacco vennero sepolti dai detriti, l'errore provocò 
      la morte di un loro commilitone. Nel frattempo per appoggiare l’assalto 
      dei tiralleurs giunsero da Villa Santo Stefano uno Sherman e un cingolato 
      francese tallonati da un Plotone del Primo Reggimento fucilieri. Il resto 
      della giornata sarà caratterizzato da violenti attacchi contro i tedeschi 
      che, con difficoltà, cercheranno di tenere il Colle della Palombara e i 
      francesi che invece lentamente acquisiranno importanti posizioni avanzate.
       
      Nonostante i pesanti combattimenti anche a Giuliano di Roma cominciarono i 
      soprusi e le violenze, ma non tutti i Francesi ebbero lo stesso ignobile 
      comportamento, in località Montano Narducci un sottufficiale francese si 
      sparò un colpo di moschetto sotto il mento suicidandosi, accanto a lui fu 
      trovato un messaggio che descriveva le bestialità verso la popolazione a 
      cui aveva dovuto assistere e che lo avevano portato al disperato gesto. 
      Il 30 maggio alle 09.00 parte il definitivo assalto francese a Giuliano di 
      Roma, l’ausilio dei carri e il possente fuoco di artiglieria del 64° 
      Reggimento permettono alle 09.50 agli Alleati di entrare in paese e 
      rimanervi. Alle 11.00 gli ultimi tedeschi, costretti alla ritirata, si 
      trincereranno lungo la Palombara. 
      Solo un’ora prima in contrada Calciano, in maniera disperata, alcuni di 
      loro avevano affrontato,in uno scontro alla baionetta, una pattuglia di 
      esploratori marocchini, nel combattimento cadranno oltre a sei tirailleurs 
      anche quattordici granatieri. 
      In montagna, invece, i tedeschi attendevano il loro nemico già dall’alba 
      del 28 maggio asserragliati in cerchi di pietra larghi poco più di un 
      metro disseminati lungo la Punta dell’ Orticello. In una di queste buche 
      fu trovato a fine dei combattimenti un acquarello della valle dell’Amaseno 
      stretto ancora tra le mani senza vita del giovane soldato tedesco che lo 
      aveva dipinto.  
      Di fronte a loro i tedeschi avevano le unità del 1/6 Rtm reduci di Campo 
      Lupino. Il 28 maggio alle ore 14.00 elementi tedeschi saltando fuori dalle 
      loro buche attaccheranno dal lato nord alcuni goumiers di guardia alla 
      cresta che pensavano fosse stata liberata senza combattere. I marocchini 
      resistettero con valore fino alle 16.00 quando vennero violentemente 
      contrattaccati anche da ovest, ma nonostante lo sforzo tedesco, in serata 
      il Sesto Tirailleurs consolidò , con un pesante fuoco di interdizione, 
      definitivamente la sua posizione sull'altura. Sulla stessa Punta, il 
      giorno dopo, senza alcun motivo, a sangue freddo i marocchini uccideranno 
      il giovane Umberto Luzi. Sempre il 30 maggio, ma nel pomeriggio, il 
      Sottotenente Les Bourgeois della Sezione anticarro da 37 del 1/6 si 
      distinse in una brillante azione contro uno dei cinque Mark IV della 26a 
      Panzer Division, provenienti da Frosinone, impegnati eccezionalmente alla 
      Palombara. La sezione era stata messa a disposizione della Dodicesima 
      Compagnia raggiunta già numerose volte dai tiri di un carro tedesco. A 
      forza di scrutare l’orizzonte il Sottotenente Les Bourgeois, giunto sul 
      posto, scorse la torretta del carro camuffato dietro il muro del Cimitero 
      di Giuliano di Roma, lo identificò come un Mark IV armato di cannone da 
      75.  
      Fece allora spostare in avanti immediatamente il pezzo da 37 del Caporale 
      Thomas poiché la distanza dal panzer era troppa per l’efficacia del 
      piccolo calibro. Ma nel momento in cui, dopo notevoli sforzi, il cannone 
      fu messo in posizione, il carro tedesco sparò una granata al fianco 
      dell’unità francese, ma era troppo tardi il primo colpo perforante sparato 
      da Thomas era partito raggiungendo il carro in pieno sulla torretta, 
      paralizzandolo. I successivi colpi fecero crollare il muro del Cimitero 
      smascherando così completamente il cingolato tedesco. I francesi, come 
      forsennati, iniziarono a colpirlo e sei volte andarono a segno. Dal 
      carro,ormai neutralizzato, si aprì quello che restava della torretta e 
      l’equipaggio velocemente evacuò lo scafo, un colpo esplosivo lo centrò, 
      infine, mortalmente. Nonostante i continui contrattacchi i francesi non 
      riuscirono a raggiungere la loro preda che i tedeschi difesero invece 
      strenuamente fino a notte inoltrata quando grazie ad un altro Mark IV 
      finalmente riuscirono a trascinare via, i francesi troveranno abbandonato 
      solo un cingolo che il giorno dopo diventerà il loro trofeo.  
      Alle ore 11.30 del 31 maggio i tedeschi si disimpegnarono dalla Palombara 
      anche se qualche suo elemento terrà ancora il colle ritardando 
      ulteriormente l’avanzata francese. Finalmente alle 15.00 con l’appoggio 
      del Primo e del Terzo Squadrone del Quarto Spahis di Leroux e De Gallon 
      l’accesso per Frosinone verrà finalmente preso, quel pomeriggio la 
      polverosa ghiaia della via Marittima si tingerà del rosso del sangue di 
      dodici soldati francesi e ben quarantaquattro tedeschi. Se a Giuliano di 
      Roma inasprivano i combattimenti a Villa Santo Stefano,immediatamente a 
      ridosso della prima linea, continuava la scomoda presenza dei famelici 
      marocchini. 
      Per contrastarne le barbarie un comitato di difesa spontaneamente 
      organizzò in luoghi segreti e sorvegliati la difesa di ogni donna. Uno di 
      questi rifugi marcatamente in vista fu la casa di Don Augusto in piazza 
      Umberto I che riuscì a passare però incredibilmente inosservato ai 
      francesi per quasi tutti i quattro giorni della loro permanenza in paese. 
      Gli altri ricoveri invece erano più nascosti come quello nel sottoscala di 
      Za Gigetta alle Case Spallate, dove si ritrovarono Mariangela Paggiossi, 
      Maria Olivieri, Mimma Iorio, Emilia Reatini e Za Checca Petrilli tutte 
      reduci dal Macchione. 
      Nell' angusto locale, nella semioscurità, riconobbero in un angolo 
      Antonietta Primodici che raccontò loro la disavventura vissuta sul 
      Monticello dove alcuni marocchini l’avevano minacciata mentre era intenta 
      a bollire in un barattolo di latta alcune piante commestibili raccolte in 
      montagna per sfamare i suoi bambini,tornare alla sua dispensa sarebbe 
      stato troppo rischioso. I soldati di colore erano sbucati all’improvviso 
      lasciandole però il tempo necessario per nascondere il piccolo contenitore 
      ancora fumante tra le pietre di una macera, purtroppo un marocchino aveva 
      osservato la premurosa madre e abbagliato dal luccichio di quello pensava 
      essere un tesoro rovistando tra le pietre iniziò a cercarlo. Immerse però 
      la mano nel brodo bollente e infuriato scaraventò ogni cosa a terra 
      lasciando così digiune quelle piccole anime. Za Giovannina Ercolani, 
      invece, seduta tra la paglia accanto alla porta raccontò alle altre 
      commari di un paesano al Macchione che aveva reagito alle provocazioni di 
      quegli animali sparandogli contro con il suo fucile da caccia per evitare 
      cosi il tentativo di violenza contro le figlie, i goumiers messi alla fuga 
      però risposero al fuoco ed un proiettile sfiorò di poco l’orecchio del 
      coraggioso uomo. Un'altra valorosa reazione si ebbe quando il padre di 
      Peppe Bonomo rispose al fuoco di tre marocchini che alla Pezza stavano 
      tentando di rubargli la mucca. Anche Vincenzo Bonomo, dimostrando 
      indiscusso valore, imbracciando un Mauser ferì ad un ginocchio un 
      marocchino mentre insieme ad alcuni suoi compagni stava insidiando la sua 
      famiglia.  
      L’ultimo dei rifugi era una soffitta in via della Rocca dove numerose 
      altre donne trovarono riparo, tra loro anche la moglie di Duilio Anticoli, 
      la madre del piccolo Zenobio, che con una evidente fasciatura alla testa 
      era distesa in disparte con accanto la figlioletta. Geniale invece fu 
      l’espediente escogitato dal padre di Antonia Pantoli che per salvaguardare 
      la figlia la fece nascondere dentro un vano chiuso da una botola celata da 
      una catasta di legna. oltre ad Antonia nella casetta di Vallerea trovarono 
      rifugio per quattro giorni anche altre undici ragazze.  
      All’ora di pranzo i genitori furtivamente portavano loro un po’ di pane 
      con del formaggio mentre per il resto della giornata le giovani alla luce 
      di una candela erano costrette a rimanere in silenzio per non essere 
      scoperte. 
      Ma il desiderio di tutti,in quella fine di maggio, era di ritornare alla 
      normalità o almeno trovare quella libertà che fino ad allora sembrava 
      negata proprio dagli stessi alleati.Con questo spirito Vincenzo Sebastiani 
      raccolse caparbiamente il suo grano che miracolosamente era maturato 
      nonostante le bombe, il fuoco e gli zoccoli dei cavalli berberi. Aiutato 
      dai figli, pazientemente, con un unico esile falcetto tagliò le messi, le 
      raccolse in fascine e grazie ad una vecchia trebbiatrice prestatagli da 
      Torindo Biasini riuscì con il rudimentale motore ad acqua a macinare le 
      spighe superstiti donando così, primo tra tutti, una candida farina alla 
      sua laboriosa famiglia. 
      La solidarietà e la speranza persuasero Antonio Felici ad informare i 
      propri compaesani degli sviluppi della campagna militare alleata, lo fece 
      utilizzando una tavola di legno che gli aveva prestato il falegname 
      Stefano Planera. Sul prezioso supporto, in quei giorni infatti mancavano 
      addirittura le assi per le bare, affiggeva i giornali che riusciva a 
      procurarsi. 
      Alcune testate, come il Corriere della Sera, continuavano a subire ancora 
      le pressioni del regime trovandosi nel territorio controllato dai tedeschi 
      le altre, quelle delle città liberate, come il Giornale di Napoli potevano 
      permettersi invece di raccontare gli eventi finalmente con una cronaca più 
      schietta. 
      “…… Si combatte alle porte di Velletri. Artena, Ceprano, Belmonte, 
      Amaseno, Villa Santo Stefano e Norma liberate dagli Alleati….. le forze 
      francesi del Generale Alphonse Juin catturano Amaseno, 13 miglia a Nord di 
      Terracina.... si spingono in avanti di quattro miglia occupando Villa 
      Santo Stefano…….", il Giornale di Napoli, 28 maggio 1944 . “……. Tentativi 
      di truppe alpine marocchine di aprirsi un varco attraverso la valle di 
      Giuliano mediante una puntata verso le alture che delimitano la vallata 
      sono privi di successo…. a Sud di Giuliano tentativi di sfondamento 
      operati dal nemico con l’ausilio di forze corazzate sono stati sventati 
      …." Il Giornale d’Italia,30 maggio 1944. ” “….. Tentativi di truppe 
      marocchine di sbloccare la valle di Giuliano effettuando attacchi contro 
      le alture che circondano la vallata sono rimasti senza successo …. nel 
      corso di un contrattacco sfrenato contro un gruppo da combattimento nemico 
      che aveva tentato di incunearsi lungo la strada di Vallecorsa per Castro 
      dei Volsci, un intera compagnia francese e stata tagliata fuori dal grosso 
      e catturata, dinnanzi ad Amaseno e Pisterzo non ci sono avute operazioni 
      di rilievo, il nemico ha però creato qualche testa di ponte a Nord del 
      fiume Amaseno fra queste due località …… la situazione dei degollisti è 
      qui però alquanto delicata poiché i germanici hanno piazzato artiglierie 
      che disturbano i movimenti avversari…… più a est i degollisti hanno 
      rinnovato i loro attacchi in corrispondenza di Villa Santo Stefano e 
      Castro dei Volsci…. Le posizioni da loro tenute si stendono per una 
      ventina di chilometri lungo il fianco destro tedesco…. " Corriere della 
      Sera, 28 maggio 1944. 
      I quotidiani esposti in piazza erano commentati ad alta voce dall’eterno 
      studente in Lettere che spiegava ai passanti lo svolgersi degli eventi. Ma 
      oltre alla voglia di vita in paese continuava ad essere ancora presente 
      l’acre odore della morte. Sul Siserno venne trovato il corpo di un soldato 
      tedesco orribilmente ucciso, era stato garrotato con un filo di ferro dai 
      goumiers che lo avevano sorpreso in montagna, sotto l’uniforme erano 
      ancora visibili le ampie fasciature che gli avvolgevano il petto.  
      Si trattava di un granatiere della Novantesima Divisione che per timore di 
      tornare al fronte, ancora convalescente, aveva disertato scappando 
      dall’ospedale. 
      Un suo commilitone invece fu trovato ucciso alle Strette, entrambi privi 
      di piastrino, vennero seppelliti nel cimitero del paese come ignoti. 
      I sei soldati tedeschi uccisi nella macchiola, invece, vennero tumulati 
      con della calce, dopo che per parecchi giorni i francesi li avevano 
      lasciati al sole di quel caldissimo maggio. Se ne incaricò per carità 
      cristiana e alto senso civico una persona di cultura del paese che volle 
      rimanere anonima. I soldati dopo la loro uccisione erano stati radunati 
      dai soldati francesi in una piccola radura dove vennero perquisiti da un 
      loro ufficiale in cerca di informazioni sul nemico che avevano di fronte.
       
      Nei contenitori delle maschere antigas furono trovate delle scatole di 
      sardine, il pasto mai consumato, il più alto in grado era un sottufficiale 
      grassoccio gli altri tutti ragazzi molto giovani, sicuramente frugandoli 
      il tenente francese notò sulle loro giacche il fregio ramato dei 
      panzergrenadier capendo così che erano fanti della Novantesima Divisione. 
      Uno di quei fregi fu ritrovato sessanta anni dopo nello stesso luogo dal 
      più abile dei cercatori di metalli di Villa Santo Stefano. Inizialmente i 
      francesi mostrarono notevole interesse per quei corpi lasciando 
      addirittura per un giorno intero un soldato a loro guardia poi invece con 
      il passar dei giorni non se ne curarono più lasciandoli dove erano fino a 
      che il buon cuore dei santostefanesi non si manifestò cosi apertamente. 
      Oltre ai soldati tedeschi furono seppelliti nella Macchia anche due 
      fucilieri marocchini che si erano scontrati con quella squadra di 
      mitraglieri, la tomba di uno dei due sarà trafugata di notte da alcuni 
      civili. Alcuni giorni dopo la profanazione, una pattuglia francese 
      sorprese un contadino con una camicia sporca di sangue, l'uomo trascinato 
      al loro campo venne selvaggiamente percosso e l' indumento militare 
      strappato via.  
      Un soldato marocchino morto fu ritrovato invece alcune settimane dopo tra 
      le pietraie di Campo Lupino mentre si cercavano delle capre abbandonate 
      sulla montagna. 
      Nonostante fossero loro i liberatori l’atteggiamento dei santostefanesi 
      nei confronti delle truppe francesi rimase sempre giustificatamente 
      sospettoso. Un giorno avvicinandosi al pozzo di Zi Felice un soldato 
      francese in cerca di acqua si rivolse ad Armando che era nei pressi, 
      vedendo che il soldato di origine corsa lo comprendeva abbastanza bene il 
      giovane espresse la sua contrarietà su quello che stava accadendo in 
      paese. Solo dopo aver riempito le borracce il francese, anche se con 
      difficoltà, ammise che molta della violenza di quei giorni nasceva dal 
      forte risentimento contro gli italiani dopo il loro intervento armato nel 
      1940 in Costa Azzurra. 
      Poco lontano da quel pozzo il 28 maggio alle ore 12.00 il tirailleur 
      Richard Jean di Bir Yedid Chavent in Marocco, autiere della Seconda 
      Compagnia del Primo Reggimento Marocchino fece quattro prigionieri 
      tedeschi. 
      Da Vallecorsa in jeep stava attraversando la macchia per ricongiungersi al 
      suo Battaglione a Villa Santo Stefano quando dietro una curva 
      all’improvviso gli apparvero con le mani alzate i quattro nemici. 
      L’incredulo autiere li caricò sulla jeep senza che questi opponessero 
      alcuna resistenza e tra le risa e le ingiurie dei marocchini lungo la 
      strada li consegnò ai suoi superiori in paese. Furono uniti ai loro 
      commilitoni fatti prigionieri nei giorni precedenti e reclusi tutti 
      insieme nella rimessa che i Palombo avevano in piazza, successivamente dai 
      loro interrogatori risultò che facevano parte delle seguenti unità: 
      1/15° Panzergrenadier Regiment, 2/67° Panzergrenadier Regiment, 2 e 3 /71° 
      Panzergrenadier Regiment, 3° Hochgebirgsjager Abtl, 2/1027° Infanterie 
      Regiment, Kampfgruppe Ewert, 267°,274° e 276° Infanterie Regiment della 
      94a Infanterie Division. 
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