| 
       20  ARSENIO LUPIN 
       
      L’azione che portò alla conquista della cresta pietrosa di Campo Lupino, 
      ultimo ostacolo prima di Frosinone, iniziò per i francesi del Sesto 
      Reggimento Tirailleurs Marocaines il tardo pomeriggio del 25 maggio 1944 
      quando, con una lenta e difficile manovra, si avvicinarono alla linea di 
      fuoco raggiungendo Quota 447 sul monte Quattordici. Lungo il suo pendio, 
      esposto a sud, avrebbero allestito il loro accampamento che quella sera 
      avrebbe avuto un ospite esclusivo, il Colonnello Cherriere.  
      Il giorno dopo all’alba, insieme ad una parte del suo Reggimento „ Auroch“, 
      questo era il nome codificato dal controspionaggio francese per Cherriere, 
      raggiunse Amaseno dove si riservò un giaciglio sicuramente più comodo di 
      quello della notte precedente.  
      Nel pomeriggio si verificò uno stupido incidente, attraversando un vicolo 
      il giovane Tenente Chalbert, da borghese brillante dentista, rimase ferito 
      ad una gamba colpito da una raffica di mitra sparata accidentalmente da un 
      tiralleur della sua Compagnia. Al termine della giornata, con un ufficiale 
      in meno, il Colonnello Cherriere stabilite con lo Stato Maggiore le 
      operazioni dell‘indomani prese contatto con Berteil, il comandante del 
      Primo Battaglione, rimasto in quota sul Quattordici insieme ai suoi 
      uomini. Cherriere trasmise gli ordini usando termini dialettali 
      nordafricani combinati a frasi convenzionali in modo da risultare 
      incomprensibili ad eventuali spie tedesche in ascolto „ …. Hallo‘ Branche 
      (1/6 Rtm) qui è Soleil (Cherriere) domani gli enfants (il Battaglione) di 
      bekri (buona ora) da Monte Quattordici si muoverà per le Tombeau du Saint 
      (la Fossa del Monaco) e successivamente al di la di Castro dei Volsci 
      troverà una montagna chiamata Arsenio Lupin ( Campo Lupino)…“.  
      Ascoltato il messaggio Berteil sorrise, aveva anticipato ancora una volta 
      le strategie del suo comandante inviando, a sua insaputa, alcuni goumiers 
      in perlustrazione lungo le falde di Monte Siserno. L’esplorazione notturna 
      però terminò prima di iniziare grazie all’incontro casuale con due pastori 
      che dal Macchione scendevano a valle. Condotti al comando i due civili 
      furono subito interrogati. Risposero alle domande dell’ interprete corso 
      in maniera schietta assicurandogli che sia alla Fossa del Monaco che nel 
      resto della montagna non c’era più nessun tedesco. Nonostante la loro 
      buonafede vennero però trattenuti per sicurezza fino al mattino.  
      Alle ore 0.500 del 27 maggio 1944 le tre Compagnie del Primo Battaglione 
      iniziarono a muoversi guidati da Berteil che, con il cuore in gola, 
      arrancando lungo il tratto iniziale del sentiero sperava che i due pastori 
      avessero detto il vero. Le sue preoccupazioni svanirono quando lo 
      raggiunse sulla ripida mulattiera un goumier che anticipando l’unità in 
      marcia si era spinto inosservato verso la cima del monte. Dalle sue 
      osservazioni sembrava che del nemico non ci fosse effettivamente nemmeno 
      l‘ombra. La direttrice da seguire tracciata dal Colonnello Cherriere 
      prevedeva l’attraversamento di Vallefratta, il completamento dell’ascesa 
      alla Fossa del Monaco e, dopo una breve sosta, i 791 metri di Campo 
      Lupino. Tutto in cinque ore, con equipaggiamento completo da combattimento 
      e un terreno a dir poco difficile, unico conforto un cielo magnifico e il 
      rassicurante fuoco di copertura delle batterie di artiglieria nei pressi 
      di Castro dei Volsci.  
      Raggiunta Vallefratta alle 08.00 il Battaglione rallentò dividendosi in 
      colonne ridotte per offrire così meno possibilità all‘artiglieria tedesca 
      di colpire. Immersi nel grano i tiratori del Primo Battaglione, in ordine 
      sparso, notarono alla loro sinistra distanti due chilometri quelli del 
      Secondo, i loro Battaglioni si sarebbero ricongiunti più tardi sulla 
      cresta della Fossa del Monaco, il loro primo obiettivo.  
      A nord est di Amaseno invece la situazione rimaneva ancora incerta, in 
      mattinata erano stati osservati in fuga ancora diversi automezzi tedeschi 
      e sebbene i cannoni francesi alle Quattro Strade fossero piazzati, la 
      Seconda Divisione di Fanteria Marocchina incaricata della liberazione di 
      Castro dei Volsci rimaneva in forte ritardo. Finalmente alle ore 11.00 il 
      Groupment Bondis riuscì ad occupare il paese, anche se rilevato quasi 
      subito fu sostituito per strategie interne alle ore 16.00 dall‘Ottavo 
      Reggimento del Colonnello Molle. La riuscita dell’azione era stata 
      ottenuta soprattutto per il sacrificio del Tenente Bayon che la notte 
      precedente, a sud di Castro dei Volsci, per coprire i carri del gruppo 
      blindato del Generale Louchet, si fece decimare insieme alla sua 
      Compagnia, la Prima del Primo Battaglione del Secondo Rtm.  
      Nonostante le notizie incerte che giungevano da Castro dei Volsci l’ascesa 
      del Primo Battaglione proseguì senza soste fino alle 09.30 quando i 
      goumiers a cavallo del Quarto Groupements de Tabors Marocchino che 
      precedevano l’unità ordinarono di fermarsi per perlustrare un mezzo pendio 
      che secondo loro avrebbe potuto nascondere qualche minaccia. Messa 
      rapidamente in sicurezza l’area i cavalieri nordafricani ripartono veloci 
      sgombrando il fronte alla Terza Compagnia che divenne così la testa del 
      Primo Battaglione. Alle ore 11.00 fu raggiunta quota 750 , dal suo apice 
      si aprì ai tirailleurs un vasto prato con oltre cinquecento metri di 
      profondità, formato da due larghe conche, separate l’una dall’altra da 
      alcune enormi rocce ondulate. Il versante a nord non era visibile ma da 
      una rapida consultazione della mappa risultò coperto da un fitto bosco.
       
      Ad ovest una sorta di muro naturale invece, formato da vasti monoliti 
      limitava l’orizzonte a differenza dell’ est dove la vista si perdeva senza 
      ostacoli fino alla Fossa del Monaco che era davanti a loro, a quota 769. 
      Tutto sembrava calmo, unica presenza alcune capre che vagavano 
      apparentemente abbandonate sul pianoro. La distesa verde accolse la Terza 
      Compagnia, che stesa sull‘ erba ancora bagnata di brina riprese fiato dopo 
      che, assolto il suo compito, rimaneva in attesa che il resto del 
      Battaglione raggiungesse la cresta. Per sicurezza però il loro comandante, 
      il Capitano Pegliasco, temendo agguati da parte del nemico, ordinò ai 
      tirailleurs di dispiegarsi in maniera più adeguata lungo l’intera area 
      fino all’entrata delle due conche, posizionando prudentemente, celate tra 
      i cespugli, anche due sezioni di mitragliatrici da 7,6 affiancate sul 
      contro pendio da alcuni mortai da 60. 
      Alle ore 11.15 il Comando di Battaglione al completo, sebbene stremato, 
      raggiunge la quota. Rapidamente fu montata la stazione radio e stabilito 
      il contatto furono confermate alle Batterie di artiglieria del 69° 
      Reggimento a Castro dei Volsci le coordinate di tiro che il 26 maggio 
      all’alba avevano permesso ai cannoni da 75 di scuotere Campo Lupino 
      preparando così l‘ascesa del Quarto Gtm.  
      Dopo dieci minuti giunse la Prima Compagnia seguita sulla sommità, dopo un 
      breve intervallo, anche dalla Seconda. Il Comandante Berteil indicò al 
      Capitano Estadieu della Prima Compagnia di portarsi a nord della cresta 
      per procedere così lungo il versante che si affacciava su Ceccano e 
      Frosinone.  
      Invece il Capitano Taburet della Seconda Compagnia fu comandato di 
      allargarsi verso la Fossa del Monaco per dare una mano al Secondo 
      Battaglione che in forte ritardo via radio aveva comunicato di trovarsi 
      ancora alla base del pendio, avrebbero potuto raggiungerli solo alle ore 
      14.00.  
      Le trasmissione radio furono interrotte bruscamente alle 11.50 quando 
      vennero uditi alcuni isolati colpi di Mauser . Nemmeno il tempo di capire 
      da dove provenivano che inaspettata si scatenò una violenta sparatoria, un 
      nugolo di proiettili attraversò il prato abbattendosi sulle unità francesi 
      ancora allo scoperto. La Seconda Compagnia che si stava avvicinando per 
      prendere posizione verso la cortina di rocce che limitava il prato divenne 
      il bersaglio del tiro delle armi tedesche.  
      L‘ ordine immediato di mettersi al coperto giunse alle sezioni di testa 
      della Seconda e Prima Compagnia, ma i tedeschi nascosti chissà dove con 
      una dozzina di mitragliatrici leggere ed alcune armi individuali stavano 
      battendo la cresta del monte rendendo impraticabile ogni tipo di difesa su 
      quel terreno privo di ripari. Qualcuno iniziò a gridare che il nemico era 
      dietro alcuni avvallamenti più a nord ma in realtà nessuno aveva capito 
      dove realmente fosse. Le avanguardie della Prima e Seconda Compagnia nel 
      tentativo di ripararsi andarono a occupare il terreno tenuto dai goumiers, 
      che, inferociti per essere stati sorpresi così ingenuamente dal fuoco dei 
      tedeschi,fedeli alla loro tecnica si prepararono ad attuare subito un 
      rapido contrattacco.  
      Un tedesco, dal valore di una intera Compagnia, si portò scoprendosi alla 
      sinistra dei tiralleurs e da quel fianco iniziò a colpirli. Un altro, più 
      coraggioso del primo, sbucò dal centro del prato sparando almeno due 
      caricatori del suo mitra P40 contro le due sezioni della Prima Compagnia 
      del Capitano Estadieu che avevano ripiegato fino a quota 769. La fulminea 
      azione tedesca aveva colpito soprattutto le avanguardie della Seconda 
      Compagnia che non poterono far altro che buttarsi a terra cercando un 
      riparo dove non c‘era. Il Tenente Fraizard della Sezione Mitraglieri fu 
      tra i primi a cadere mentre il suo comandante, il Capitano Taburet 
      rimaneva accerchiato dopo aver strisciato pericolosamente con solo quattro 
      uomini dietro le uniche rocce presenti nella fossa mentre il resto della 
      sua Compagnia rifluiva sotto il fuoco nemico. La prima timida reazione 
      giunse da due sezioni isolate della Prima Compagnia che mordendo la terra 
      iniziarono ad aprire il fuoco completamente allo scoperto con i loro Lebel. 
      Ogni soldato francese tentava in ogni modo di arginare l’assalto tedesco 
      salvaguardando il proprio Comando di Battaglione che per la prima volta 
      dal suo arrivo in Italia si trovava oltre che in primissima linea anche 
      sotto tiro. Ogni ufficiale, tranne il cappellano, impugnò un arma per 
      reagire all’imboscata. La Terza Compagnia, in posizione defilata, corse in 
      aiuto del Colonnello Berteil e dei suoi spaventati ufficiali, con due 
      sezioni di mitraglieri iniziò a contrastare l’attacco portato frontalmente 
      dal nemico ed anche i suoi mortai da 60 iniziarono a farsi sentire, anche 
      se regolare il loro alzo a quella distanza così ravvicinata diventava una 
      scommessa. Intanto i tedeschi, che dimostravano molto più del loro valore 
      nonostante fossero un esiguo battaglione avevano occupato la cresta della 
      Fossa del Monaco. 
      Era loro precisa intenzione incunearsi in profondità separando cosi 
      irrimediabilmente gli atterriti francesi dal Secondo Battaglione che 
      sarebbe giunto a quella quota solo dopo dieci ore. I tiri degli alpini del 
      Terzo Hochgebirgs estremamente precisi risultarono micidiali per chi 
      mostrava la testa tra quelle esigue difese. Un rabbioso fuoco di 
      artiglieria tedesco, dopo la conquista della quota 769, si abbatté inoltre 
      su alcune unità arretrate francesi composte da indifese salmerie 
      trasportate da muli che sull’ultimo pendio si erano venuti a trovare allo 
      scoperto insieme ai loro conduttori. La situazione era divenuta davvero 
      critica, il nemico agguerrito era arrivato a minacciare i francesi dai due 
      fianchi, l’intero Battaglione aveva difficoltà ad arretrare intrappolato 
      come era a quella quota che offriva ben poca profondità di manovra. Nel 
      frattempo l’Aiutante Maggiore Bernier aveva preso a guidare caparbiamente 
      i furieri del Plotone Comando mentre l’Ufficiale medico Mornas, senza 
      sosta,incitava i suoi inesperti infermieri contro il nemico. 
      Ma prima dell‘ irreparabile il Comandante Berteil, radunati i comandanti 
      di Compagnia superstiti, cercò di fronteggiare la situazione, al momento 
      disponeva di una sola Compagnia pressoché completa, la Seconda, ma senza 
      comandante e ufficiali. La Prima invece, quella del Capitano Estaudieu 
      aveva un solo Plotone mentre la Terza ancora sottotiro rimaneva isolata 
      dal nemico.  
      Inoltre nessun tipo di aiuto immediato era previsto in quanto il Secondo 
      Battaglione, come sappiamo, era ancora a dieci ore di marcia e l‘appoggio 
      dell’artiglieria di Castro dei Volsci non era nemmeno da considerare vista 
      la esigua distanza dal nemico. Comunque, nonostante le evidenti 
      difficoltà, si doveva obbligatoriamente fermare al più presto la 
      progressione del nemico. 
      Per prima cosa, ordinò Berteil, bisognava attivare i mortai per coprire i 
      fianchi e le spalle del Battaglione e visti gli esiti di questa azione 
      studiare qualcosa di più efficace per costringere alla definitiva ritirata 
      i tedeschi. 
      Fortunatamente il Plotone Mortai del Adjutant Chef Coundray si era venuto 
      a trovare casualmente vicino al Plotone Mortai del Comando, quello del 
      Tenente Raoux per cui si poteva sperare su almeno dieci tubi da 81.  
      Se il nemico gli avrebbe concesso solo qualche minuto per installarli i 
      due ufficiali avrebbero avuto sicuramente qualcosa da dire. Nel fragore 
      della battaglia via radio fu interpellato lo Stato Maggiore, rispose il 
      Capitano Castel, l’ufficiale di collegamento, che venne informato 
      dell’imboscata tedesca e dell’ intenso fuoco nemico che li inchiodava 
      impotenti. Il Comando chiese cosa avrebbe potuto fare per loro, la 
      risposta di Berteil fu decisa „ ….accelerare assolutamente il Secondo 
      Battaglione verso la Fossa del Monaco!! ……non far intervenire 
      l’artiglieria, al momento, siamo troppo vicini ai tedeschi!!..... Ma ci 
      sarebbe di aiuto se venisse colpito il versante nord ……ma soprattutto non 
      tirate sulla cresta quando noi avremo iniziato il contrattacco!..... Non 
      sappiamo chi abbiamo di fronte, pressappoco un piccolo battaglione ma 
      molto agguerrito….. Teniamoci in contatto!.. …“ .  
      Finite le parole si passò ai fatti, le Compagnie Mortai vennero arretrate 
      ad un miglio di distanza mentre il loro comandante, il Tenente Raoux, con 
      estremo coraggio schivando i proiettili tedeschi, con il suo telefono da 
      campo, si portò a ridosso del nemico. Ricevute le coordinate di tiro gli 
      ottantuno entrarono in azione costringendo già dai primi tiri il nemico a 
      proteggersi dietro una cortina di rocce.  
      Berteil ordinò a questo punto al Capitano Estadieu di prendere il comando 
      di ciò che rimaneva della Prima e della Seconda Compagnia e, dopo il fuoco 
      dei mortai, di contrattaccare in direzione della Fossa del Monaco 
      scongiurando così la minaccia di un attacco tedesco al fianco sinistro, il 
      più debole. Se l’iniziativa avesse avuto successo la cresta sarebbe dovuta 
      essere tenuta fino all’arrivo del tanto atteso secondo Battaglione.  
      Il Capitano Pegliasco della Terza Compagnia invece di slancio, dopo che 
      Estadieu aveva raggiunto il suo obiettivo, si sarebbe gettato sul nemico 
      scendendo verso quota 769 in modo da farlo ritirare fino alla base del 
      pendio eliminando tutti quelli che non avrebbe visto in faccia. I mortai 
      all’ora H fissata per le 13.30 iniziarono a cantare appoggiando così le 
      due azioni di contrattacco, quella del Capitano Estadieu della Prima 
      Compagnia che si sarebbe mosso con i colpi degli ottantuno e la 
      successiva, quella di Pegiasco che avrebbe atteso l’ordine di Berteil.  
      Dalla sua rischiosa posizione via radio il Tenente Raoux iniziò ad 
      indirizzare il tiro della Sezione arretrata di mortai che, con cadenza 
      rapida, crearono subito non pochi problemi ad un gruppo di tedeschi che 
      dovette presto sganciarsi ripiegando all’interno del bosco. Solamente a 
      questo punto Estedieu urlando a squarciagola in berbero „ Zidou l’goudem!!!“, 
      All‘attacco !!, guidò l‘assalto permettendo cosi ai suoi uomini di 
      portarsi alla giusta distanza dai mortai, che, aggiustato ancora il tiro, 
      colpirono il contro pendente facilitando così la loro progressione. Ma 
      nonostante la pioggia di schegge il nemico li attese irremovibile sparando 
      contro di loro fino a quando non furono costretti ad abbandonare la 
      posizione che i tiralleurs occuparono senza colpo ferire. Sembrava tutto 
      risolto, i preziosi mortai, modificando ulteriormente le distanze, 
      permisero alla Terza Compagnia di sollevarsi da terra e incitata dal suo 
      comandante, il Capitano Pegliasco, di attaccare con impeto i tedeschi che 
      tenevano quota 769 . Il nemico, sorpreso dal secondo contrattacco, lasciò 
      il passo rifugiandosi dietro il versante nord del monte. I gebirgsjager 
      che invece non arretrarono e individualmente tentarono di resistere furono 
      tutti uccisi senza pietà. Pigliasco, fedele agli ordini del suo 
      comandante, con i suoi uomini continuò ad inseguire il nemico in ritirata.
       
      Intanto i due plotoni superstiti condotti da Estedieu riuscirono 
      finalmente a raggiungere occupandolo lo sperone nord est di Campo Lupino.
       
      Il resto dei tedeschi invece, correndo precipitosamente, sparì lungo il 
      versante boscoso abbandonando così ognuna delle loro posizioni. Più tardi 
      dalla cresta conquistata furono osservate ai piedi del pendio in 
      formazione sparsa piccole colonne di tedeschi uscire dagli alberi e 
      allontanarsi verso nord tra le schegge delle granate delle artiglierie 
      francesi che, ripristinate le distanze di sicurezza, avevano ripreso a 
      colpire. Una fila di ambulanze tedesche, ferma alla base del Siserno, 
      iniziò a caricare i corpi dei feriti dirigendosi in fretta e furia, 
      immediatamente dopo, verso Frosinone. Chi non ce la fece rimase sul 
      terreno sassoso di quota 791, dalle edelweiss e le piccole spille a forma 
      di aquila poste sui berretti i francesi capirono che avevano combattuto 
      contro gli alpini del Terzo Hochgebirgsjager, unità d'elite di montagna, 
      non indivisionata e altamente specializzata. Sette furono gli alpini 
      trovati uccisi su Campo Lupino mentre tre di loro furono fatti 
      prigionieri, i francesi, invece, nel loro rapporto riportarono sei caduti 
      tra cui il Tenente Fraizard mentre i feriti furono quattordici,tra di loro 
      il Sergente Maggiore Marcovitch, unico superstite della scomparsa Quarta 
      Compagnia. I tedeschi inoltre con il loro fuoco di artiglieria contro la 
      carovana della sussistenza avevano eliminato dieci muli e anticipato la 
      fine di qualche montone. Al termine del combattimento venne ristabilito il 
      contatto radio con il Capitano Castel dello Stato Maggiore : „ …..Affare 
      fatto !!!, il nemico sta ripiegando verso Frosinone ….. tra le nostre 
      perdite c’e’e il Tenente Fraizard…. vediamo ora il secondo Battaglione, ha 
      finalmente raggiunto la Fossa del Monaco….. tutta la cresta è presa!!.... 
      di fronte a noi avevamo il Terzo Battaglione Hochgebirgsjager !!...“ 
      Il Primo Battaglione del Sesto Reggimento Tiralleurs Marocchino trascorse 
      la notte tra il 27 e il 28 in quota così come la giornata successiva 
      pasteggiando con i montoni e le vacche abbandonate dai pastori 
      santostefanesi su Campo Lupino. Alcune pattuglie di goumiers perlustrando 
      il bosco in cerca di qualche gebirgsjager rimasto a tendere imboscate, 
      capirono quando trovarono i loro bivacchi perfettamente camuffati tra gli 
      alberi perché durante i pattugliamenti notturni non avevano notato la loro 
      presenza sul Siserno.  
      All’interno dei rifugi trovarono numerose reti metalliche e anche qualche 
      materasso che gli alpini tedeschi avevano requisito dalle case del 
      Macchione. 
      I goumiers continuarono la progressione su monte Siserno in direzione di 
      Giuliano di Roma mentre il resto del Battaglione, posto a riposo, rimase 
      su Campo Lupino fino al 29 maggio quando venne rilevato dalla Seconda 
      Divisione Marocchina. 
      Lo stesso giorno gli uomini del Primo Battaglione del Sesto Reggimento 
      discesero Siserno per raccogliersi in Piazza Umberto I dove ad attenderli 
      erano parcheggiati numerosi camion della Quinta Armata americana che li 
      avrebbero condotti a Bassiano. Solamente dopo la loro partenza si verrà a 
      conoscenza con sdegno dei crimini che segnarono il loro passaggio.  
      Il 27 maggio alle ore 08.00 senza nessun motivo apparente furono trucidati 
      dai goumiers nei pressi di Campo Lupino quattro civili: Rocco Matassa, 
      Ferdinando Perfilli, Ermenegildo Rossi e un soldato siciliano che stava 
      tentando di ritornare a a casa, Giuseppe Bellini. 
      La stessa sera alle ore 21.00, al Macchione, venne uccisa anche Margherita 
      Molinari di Castro di Volsci che aveva tentato di difendere la figlia 
      dalla violenza dei francesi. La farà desistere una scarica di mitra. 
      L’intervento del Capitano medico De Cauvigny de Bloy del Primo Battaglione 
      del Sesto Reggimento accorso in suo aiuto sarà inutile, la coraggiosa 
      donna si spegnerà alle ore 05.00 del 28 maggio.  
      Lo stesso giorno alle ore 12.00, a Campo Lupino, sarà arrestato Lorenzo 
      Moro, il civile, condotto al campo di concentramento di Vallefratta, verrà 
      barbaramente fucilato alle ore 14.00.  
      Nonostante la pericolosa presenza marocchina il giorno dopo, il 29 maggio 
      di buon ora da Castro dei Volsci il giovane Luigi insieme a due suoi 
      cugini decise di recarsi a Campo Lupino. Senza un motivo preciso se non 
      per la curiosità o meglio l‘incoscienza che anima gli adolescenti, i tre 
      ragazzi giunsero sulla sommità del monte dove si imbatterono 
      inevitabilmente in alcuni goumiers accampati insieme alle loro cavalcature 
      sotto alcune querce.  
      Osservando le povere bestie evidentemente affaticate Luigi che amava i 
      cavalli pensò quanto potessero aver sofferto inerpicandosi fin lassù lungo 
      quei sentieri impervi e ciottolosi. Essendo quella ancora zona di guerra 
      la presenza dei tre ragazzi non fu assolutamente gradita, del resto anche 
      i tedeschi poco prima dei combattimenti avevano avvisato la popolazione di 
      non avvicinarsi assolutamente alla linea del fronte. Due giorni prima 
      l’attraversamento proprio di quei luoghi era costata la vita a quattro 
      civili italiani che, con l’intento di procurarsi della carne fresca da 
      alcune pecore dilaniate dai cannoni, furono invece vilmente uccisi dai 
      colpi di moschetto dei francesi. Al contrario Luigi e suoi cugini furono 
      più fortunati, consegnati ad un ufficiale furono riaccompagnati da due 
      soldati fino a valle, ma quando alcuni colpi di Mauser all’improvviso 
      echeggiarono nella valle la loro destinazione cambiò. Invece di riportarli 
      a Castro dei Volsci, dopo avergli ordinato di ripararsi accovacciandosi 
      dietro alcune rocce, i due soldati li costrinsero a seguirli verso Villa 
      Santo Stefano. Durante la discesa Luigi si accorse dallo sguardo 
      sospettoso di alcuni goumiers che aveva incontrato lungo il sentiero che 
      qualcosa in lui non andava. Presto capì che questo era dovuto alla sua 
      età, circa 16 anni, alla sua capigliatura, bionda, ma soprattutto alle sue 
      nuove calzature….degli stivali tedeschi!!.  
      Spaventato Luigi per timore di essere scambiato per un prigioniero 
      prosegui il percorso urlando a chiunque incontrasse „ Tedeschi kaput!!! 
      Tedeschi kaput !!! „ il risultato fu immediato, inizio a ricevere pacche 
      sulle spalle, cioccolata, sorrisi.  
      Dopo circa due ore i ragazzi e i militari giunsero ai Porcini dove 
      trovarono una vera e propria città militare. Tutta l’area era stata 
      occupata infatti da una moltitudine di soldati, automezzi, muli, cavalli e 
      perfino carri armati.  
      Dallo sconfinato accampamento i tre ragazzi furono condotti al campo di 
      raccolta francese di Vallefratta dove trovarono molti altri civili 
      sorvegliati dai marocchini che però quasi subito, a causa del loro 
      comportamento ignobile verso la popolazione,vennero sostituiti da soldati 
      francesi.  
      Al termine di tre giorni di permanenza coatta Luigi e i cugini poterono 
      finalmente ritornare a casa. Ma il fato volle che Luigi dovesse ritornare 
      di nuovo a Campo Lupino,nonostante la brutta esperienza da poco vissuta, 
      vi giunse seguendo le tracce di una mucca che durante la notte si era 
      persa tra quei dirupi. 
      Il giovane affrontò l’arrampicata per quota 791 dal sentiero che si apriva 
      da San Sossio dove i francesi avevano posto nel frattempo un loro presidio 
      occupando le case attigue al santuario.  
      Ma dopo pochi metri Luigi fu fermato di nuovo dai soldati marocchini. 
      Condotto al Comando il giovane cercò di chiarire la sua situazione ad un 
      ufficiale che sembrando averlo compreso gli ordinò di tornare il giorno 
      seguente. 
      All’ora convenuta Luigi trovò ad attenderlo un soldato francese che 
      parlava un buon Italiano, lo avrebbe condotto tra le linee francesi in 
      cerca della sua vacca. Il tirailleur era originario di Mentone e mentre 
      salivano per la mulattiera confidò al giovane che il compito che gli 
      avevano assegnato non gli piaceva per niente. Era personalmente inferocito 
      con tutti gli italiani a causa di uno di loro che nel 1940 durante 
      l’occupazione militare nel sud della Francia aveva baionettato la madre. 
      comunque con Luigi rimase gentile, gli offrì addirittura dalla borraccia 
      un liquore che cortesemente il ragazzo rifiutò. Poco prima di giungere 
      sulla sommità dietro una macera trovarono i cadaveri di tre soldati 
      tedeschi già putrebondi, con l’aiuto di alcuni commilitoni per prevenire 
      possibili infezioni il tiralleur decise di incenerirli sul posto. Dalle 
      loro cartucciere ghermite dalle fiamme presero a schizzare nell’aria 
      numerosi colpi impazziti, allora riparandosi dietro delle rocce Luigi, tra 
      sé , pensò „…chiss’ s’ morrt’ e sparen’ ang‘ra….“. 
      Finalmente a Campo Lupino all’ombra di alcuni alberi Luigi ritrovò 
      miracolosamente salva la sua mucca, ma lo sarebbe stato ancora per poco, 
      era infatti legata nel peggiore dei luoghi, le cucine dei marocchini. Le 
      richieste del giovane scatenarono una accesa disputa tra i goumiers e la 
      guida di Mentone che provocandoli con un coltellaccio tagliò la fune che 
      teneva prigioniero l’animale.  
      La fuga della povera bestia terminò quando Luigi le fischiò dietro, lo 
      stridio amico la ricondusse, trotterellando, al legittimo proprietario. 
      Solo allora i marocchini permisero che il fortunato ragazzo la riportasse 
      incolume a casa. 
       
      L’azione su Campo Lupino del 27 maggio 1944 venne condotta dal : 
       
      Primo Battaglione del Sesto Reggimento Tirailleurs Marocchini comandato 
      dal Chef de Batalion Berteil 
       
      Prima Compagnia del Secondo Reggimento Tirailleurs Marocchini comandata 
      dal Tenente Bayon 
       
      Quarto Groupements de Tabors del Marocco comandato dal Tenente Colonnello 
      Soulard formato da : 
       
      XI Tabor del Capitano Pelorjas 
      diviso nei Goums 88,89 e 93 
      sono loro che il 25 maggio 1944 a Monte Rotondo vicino Amaseno 
      cattureranno venticinque soldati tedeschi, mentre il 28 maggio 1944 dopo 
      la resa di Campo Lupino proseguiranno la loro azione per Punta 
      dell’Orticello 
       
      V Tabor del Capitano Parlage 
      diviso nei Goums 41,70 e 71 impegnati anche a Giuliano di Roma il 28 e 29 
      maggio 1944 
      Il Groupement o Reggimento Marocchino era formato da tre Tabors o 
      Battaglioni, a sua volta il Tabor era formato da tre Goums o Compagnie. 
      Per Goum si intende riunione o gruppo formato da ausiliari marocchini 
      spesso dello stesso nucleo familiare. 
 
  |