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       19 LA RITIRATA TEDESCA 
       
      Sangue, sangue ancora sangue, era questo che gli infermieri tedeschi 
      spazzavano via dalle tavole consumate degli autocarri, cancellando così 
      anche quell’ultimo sussurro di vita. L’andirivieni delle autoambulanze a 
      Villa Santo Stefano era divenuto frenetico e da sonnacchioso centro medico 
      nelle retrovie l’ HVP II /190 aveva assunto in breve tempo, suo malgrado, 
      un ruolo essenziale per tutta la Novantesima Divisione. La sala operatoria 
      lavorava febbrilmente e le corsie dell’ospedale erano stracolme di feriti, 
      reduci dai combattimenti nelle aree di Ceprano e Pontecorvo. Il piazzale 
      antistante le Case Nuove era ormai insufficiente per cui molti degli 
      automezzi dovettero essere parcheggiati anche in piazza. 
      Le strade che giungevano in paese invece erano talmente trafficate che i 
      santostefanesi iniziarono, per non essere investiti, a camminare lungo il 
      loro bordo. La drammatica realtà vissuta nei padiglioni dell’ospedale 
      rimaneva scolpita indelebile sui volti degli esausti infermieri anche 
      quando, in libera uscita, chiusi in un insolito mutismo abusavano del vino 
      in osteria. 
      I resti delle zuppe che abitualmente, dopo il rancio, venivano donate ai 
      bambini iniziarono a scarseggiare al punto che nessuno di loro si recò più 
      alla porta delle cucine. Anche le visite di Lorek a casa di Don Amasio 
      divennero più rare, il responsabile medico era talmente impegnato in 
      quelle difficili giornate che aveva preferito trasferirsi addirittura alle 
      Case Nuove dove aveva fatto trasportare anche il suo amato pianoforte. I 
      libri presi in prestito dal parroco rimanevano invece a mangiare la 
      polvere con il segnalibro fermo sempre alla stessa pagina. 
      Se il 13 maggio era stato il giorno più nero per il 324° Gruppo Caccia, il 
      17 maggio lo sarebbe divenuto per il reparto di Sanità della Novantesima 
      Divisione. All’insaputa dei tedeschi infatti era stata avviata una tra le 
      più delicate azioni aeree nella valle dell’Amaseno coordinata dalla 
      cellula partigiana di Reali e l’aviazione alleata. L’obiettivo finale 
      erano i reparti tedeschi in ritirata che, di notte, per evitare la caccia 
      avversaria da Priverno in un interminabile fiume umano si snodavano alla 
      volta di Frosinone.  
      Al chiarore della luna per più di una notte Virgilio e il suo gruppo 
      avevano spiato il movimento di queste truppe che muovendosi lungo il fiume 
      Amaseno, procedevano silenziosamente in fila indiana con gli zoccoli dei 
      muli fasciati da pezze per evitare qualsiasi imprudente calpestio. La loro 
      ritirata cosi dissimulata era durata per settimane fino a che, sicuri del 
      disinteresse alleato, i tedeschi azzardarono uno spostamento in pieno 
      giorno da Vallecorsa verso il capoluogo laziale. Alle prime ore del 
      pomeriggio la colonna di autocarri tedeschi fu pronta a muovere, ignorando 
      che dalle alture di Pisterzo, David in contatto radio con il proprio 
      comando, li stava spiando. Giunti nei pressi di Ponte Calabrese però le 
      staffette che anticipavano il convoglio spensero di colpo le loro Zundapp 
      mentre in lontananza avvolti da una densa nube avanzavano lenti gli 
      automezzi carichi di soldati. I motociclisti erano stati allarmati da un 
      rombo appena percettibile ma a loro tristemente noto proveniente da monte 
      delle Fate, quello dei Curtiss P40 del 324°. Tolti gli occhiali iniziarono 
      a scrutare il cielo e il loro viso già pallido per la polvere si annullòdi 
      fronte al terrore, era il 17 maggio molti di loro non lo dimenticheranno. 
      Nel primo passaggio i Curtiss in picchiata colpirono gli autocarri di 
      coda, poi quelli di testa nel successivo, tra l’assordante sibilo dei 
      proiettili i fanti tedeschi iniziarono a saltare giù dai camion cercando 
      riparo tra il grano alto ai lati della strada. Subito la maggior parte 
      degli automezzi colpiti iniziò a bruciare e pochi attimi dopo la strada 
      era già disseminata di cadaveri, molti dei quali fumanti.  
      I mezzi che contenevano benzina esplosero mentre le taniche incendiate 
      iniziando a roteare nel cielo volarono a decina di metri portando 
      distruzione ovunque. 
      I P40 , intanto, mantenendo la formazione scomparivano lontani dietro 
      Siserno. Ma fu mera illusione, nuovamente allineati tornarono in picchiata 
      per finire quella che poco prima era una colonna tedesca, ma prima di 
      completare la loro missione ancora un altro passaggio, l’ultimo e a bassa 
      quota, il loro obiettivo il falso posto di medicazione alle Mole. 
      Senza nessuna pietà i caccia alleati si accanirono con tutto il fuoco 
      delle loro mitragliatrici su quel fazzoletto di terra incuranti del telo 
      bianco e della croce rossa che lo ricoprivano. Nell’azione, fulminea, 
      anche i tetti delle case dei Sarandrea e dei Biasini rimasero crivellati 
      dal calibro dei 12,7. Superata l’alta cortina di fumo che si era levata 
      dalla Provinciale i caccia americani scomparvero dietro i monti, questa 
      volta per sempre. Mentre il ruggito dei loro motori si spegneva, 
      straziante iniziò il lamento dei feriti, ai loro gemiti si unirono le 
      imprecazioni degli ufficiali superstiti che tentavano inutilmente di 
      riorganizzare quei disperati. 
      L’opera di soccorso fu tempestiva, alcune ambulanze si erano già mosse dal 
      HVP della 94a Divisione e numerose furono le salme raccolte sulla strada. 
      Le scie rosse di sangue sul terreno invece guidarono gli infermieri tra le 
      alte spighe di grano dove trascinandosi aveva cercato riparo la maggior 
      parte dei feriti. Ma il loro numero era troppo alto per il centro medico 
      di Amaseno per cui via radio fu comandata ad intervenire anche la 
      Compagnia Sanitaria di Villa Santo Stefano. Giunti sul posto gli 
      infermieri della Novantesima, tra le alte fiamme e il fumo corvino, 
      cercarono gli ultimi feriti e pochi minuti dopo il piazzale antistante 
      l’ospedale di Villa Santo Stefano fu riempito di ambulanze e camion 
      carichi di quella miseria umana.  
      L’acre odore del sangue rappreso sui cassoni dei LKW riempì l’aria del 
      paese. Il numero di feriti, in sovrannumero, costrinse i sanitari ad 
      adagiarli anche nei corridoi dell’ospedale mentre i chirurghi, nella folle 
      logica di guerra, iniziarono senza perdere tempo a dedicarsi ai meno 
      gravi, che avrebbero in seguito potuto più facilmente far ritorno al 
      fronte,trascurando purtroppo i moribondi che furono dimenticati nel 
      reparto dell’Accettazione. 
      Nonostante questa scelta sofferta i medici operarono senza sosta 
      alternandosi tra loro sotto la rovente luce del riflettore della Chirurgie 
      Zimmer nel tentativo di salvare il maggior numero di vite.  
      L’intera azione aerea era stata osservata con i binocoli dai partigiani 
      nascosti tra i rovi del “ Calvario” e a notte inoltrata via radio, all’ora 
      convenuta, David informò i suoi superiori che la missione aveva avuto il 
      massimo successo. La notizia fu trasmessa come al solito praticando 
      numerose interruzioni per fare in modo che i radiogoniometri mobili 
      tedeschi non potessero localizzare l’apparato radio inglese sopra 
      Pisterzo. 
      Ma al termine del messaggio, con notevole sorpresa anche dello stesso 
      David, la valle venne all’improvviso illuminata a giorno da piccoli 
      paracadute al fosforo, che brillando al buio, sorpresero un’ altra colonna 
      tedesca in marcia,nonostante la mattanza di poche ore prima. Questa volta 
      nel cielo apparve, per assolvere al suo compito straordinario, una 
      formazione di Spitfire della Raf, abili cacciatori notturni. In soli due 
      rapidi passaggi le formazioni inglesi portarono la morte e la distruzione 
      e accompagnate dalle urla dei feriti e i nitriti impazziti dei cavalli 
      ricalarono pesanti le tenebre.  
      Il giorno seguente i santostefanesi assistettero alla sepoltura dei 
      soldati tedeschi nel cimitero del paese. La triste pratica era fino ad 
      allora sconosciuta visto che tutti i caduti della 90a Divisione erano 
      stati sempre condotti e tumulati presso il loro Cimitero Divisionale lungo 
      la Casilina. Ma l’intensa presenza aerea alleata e il disastrato stato 
      delle strade, ormai quasi tutte bombardate, fece si che i feriti deceduti 
      nell’ ospedale le ultime settimane di maggio vennero sepolti in paese. 
      In dodici giorni su due distinte file furono disposte circa venti croci 
      bianche con riportato il grado e il nome del caduto, quasi tutte 
      sormontate da un elmetto. 
      La mattina del 27 maggio Leonilde dall’alto del Macchione, scrutando con 
      il binocolo del fidanzato il paese, notò un movimento inconsueto di mezzi 
      e uomini intorno al piazzale dell’ospedale, era l’unità di Sanità che 
      stava muovendo ed anche in fretta. Era giunto l’ordine di ritirata per 
      tutta la Divisione per cui anche l’ospedale si sarebbe dovuto adeguare 
      avanzando lungo la strada per Genazzano.  
      Lorek ordinò che prima di tutti fossero trasportati con cura i feriti del 
      17 maggio e successivamente tutto il personale medico. I santostefanesi 
      costernati dall’evento che non lasciava trasparire nulla di buono 
      assistettero in silenzio ai preparativi per la partenza della Seconda 
      Compagnia di Sanità. 
      Nel pomeriggio Lorek si recò a salutare personalmente Don Amasio, gli 
      riportò i libri presi in prestito e mai letti e abbracciandosi per la 
      prima volta entrambi compresero che non si sarebbero mai più rivisti. 
      Prima di sparire oltre lo stretto vicolo però il medico si voltò ancora 
      una volta,volle raccomandare al parroco la massima attenzione nei giorni a 
      venire. Intanto alla Vigna i camion, già in colonna con i motori accesi, 
      attendevano l’ufficiale che svelto salì su una Opel mimetica mentre gli 
      ultimi infermieri arrotolavano l’enorme telone con la croce rossa che 
      deposto sul piazzale delle Case Nuove aveva fino allora in qualche modo 
      salvaguardato il paese e le sue genti. Affondando nella polvere la Seconda 
      Compagnia del 190° Battaglione scomparve per sempre dietro le Fontanelle.
       
      Di quella unità sarebbe rimasto solo un pianoforte abbandonato nella 
      Foresteria dell'ospedale. Orfano del presidio sanitario il paese 
      condividerà il suo incerto destino con i superstiti della Tredicesima 
      Compagnia raggiunti dall’ordine di ritardare il più possibile l’imminente 
      avanzata alleata. Il suo comandante l’Olt Pachnatz sin dal primo momento 
      del suo arrivo a Villa Santo Stefano era stato protagonista di difficili 
      decisioni che ora si concludevano con la difesa armata di un paese ormai 
      divenuto fronte. I suoi primi provvedimenti risalivano alla fine di 
      febbraio quando dispose il ritiro di tutti gli apparecchi radio per 
      evitare l’ascolto delle stazioni alleate. Promulgando poi l’ordine della 
      Göring del 23 febbraio il tenente intensificò anche le limitazioni legate 
      al coprifuoco vietando di circolare oltre che la sera dalle 18.00 alle 
      8.00 anche il giorno dalle 12.00 fino alle 15.00. Il 2 marzo Pachnatz 
      emise i nuovi permessi di circolazione durante le ore di coprifuoco per i 
      lavoratori locali, mentre le nuove incursioni inglesi del 15 marzo lo 
      indussero il 24 a istituire un servizio di vigilanza aerea diurna e 
      notturna con la costruzione, il 29 dello stesso mese, di nuove buche 
      ricovero.  
      Il 25, invece, i Reali Carabinieri della locale stazione presso la locanda 
      di Gelsomina furono comandati con un suo ordine specifico al servizio di 
      vigilanza notturna delle strade del paese. L’avvicinarsi del fronte e le 
      prime incursioni del 324° imposero poi, il 31 marzo, il divieto più 
      assoluto a tutti i civili ad accedere alle postazioni tedesche dislocate 
      in paese. Il primo aprile il Tenente inviò un telegramma al Prefetto di 
      Frosinone informandolo della sua ultima disposizione che imponeva l' 
      assoluto divieto di assembramenti in piazza. 
      L’undici fu intensificata ulteriormente la protezione aerea lungo le 
      strade facendo uso anche delle locali guardie campestri, lo stesso giorno 
      fu segnalata anche un'intensa attività fra i ribelli locali forse il 
      gruppo dell’Avvocato Ambrosi. Il 25 aprile infine Lorek concedeva 
      eccezionalmente dopo averlo consultato il permesso di circolazione durante 
      le ore di coprifuoco a Don Amasio Bonomi per poter svolgere così 
      adeguatamente il suo mandato pastorale. In un incessante succedersi di 
      date e sanzioni, mentre il 18 maggio vennero arrestati nel territorio 
      comunale alcuni prigionieri di guerra inglesi fuggiaschi,lo stesso giorno, 
      quando la situazione tedesca di uomini e mezzi divenne dannatamente 
      critica, in piazza venne esposto il manifesto in cui il comando militare 
      tedesco avrebbe retribuito tutti i soldati italiani pronti a combattere da 
      quel momento in poi a fianco delle forze armate tedesche.  
      Tra le recenti limitazioni quella dell’inasprimento del coprifuoco fu la 
      meno gradita dalla gente di Villa Santo Stefano. la popolazione ne venne a 
      conoscenza grazie a Zi Marcuccio o meglio da uno dei suoi “bann’” : “ 
      savverte i pubblic’ che i ccomann’ germanic’ a miss’ i coprfog’ …. Nun 
      appicciate le lucia ….”. Per non lasciare dubbi o incertezze vicino la 
      ringhiera sul muretto antistante l’osteria Palombo i tedeschi posero una 
      sorta di semaforo formato da due fogli di pellicola colorata ben visibili 
      soprattutto nelle ore notturne quando una lampadina illuminava il verde 
      per l’accesso e il rosso per il divieto a circolare. 
      Gli unici a muoversi tra i vicoli continuarono ad essere le due sentinelle 
      di ronda che, a differenza di quelle dei primi giorni di occupazione, 
      erano in completo assetto di guerra con elmo, moschetto e maschera antigas 
      a tracollo che sbattendo sul fianco con il tipico rumore “denghete 
      denghete” ne anticipava l'arrivo. Sebbene la luce in paese fosse 
      inesistente fu ordinato lo stesso di oscurare tutte le finestre mentre per 
      il municipio vennero adottate delle lampadine all’acetilene, gli allarmi 
      aerei invece sarebbero stati annunciati grazie alle campane della chiesa o 
      con la sirena della torre civica.  
      Al 20 maggio l’esigua Compagnia di Pachnatz, formata quasi completamente 
      da veterani, rispecchiava in pieno quella che era la realtà di tutta la 
      Novantesima Divisione ormai drasticamente ridotta soprattutto dopo i 
      combattimenti di Cassino, Esperia, Ceprano e Pontecorvo. Protagonisti 
      degli aspri scontri ai piedi dell'abbazia benedettina anche molti 
      granatieri della tredicesima Compagnia, i loro visi rimarranno impressi 
      per sempre nel cuore di Elsa Iorio quando con le lacrime agli occhi le 
      donarono parte del loro vestiario affinché lo destinasse ai bambini della 
      famiglia. I soldati, mobilitati per la prima linea, erano consapevoli del 
      loro breve futuro e salutando la donna si congedarono con un laconico "Noi 
      domani morire...". Ma per i sopravvissuti il fronte stava avanzando e 
      urgente era l’esigenza di approntare dei ricoveri all’interno della 
      Macchia e lungo i bordi della provinciale.  
      Le recenti fortificazioni si aggiungevano a quelle già scavate ai margini 
      del Quarallo e a Santantonio, ci si stava preparando a fermare quanto più 
      possibile un nemico ostico e numericamente superiore. 
      Da Amaseno giunsero, per sostenere le ridotte forze del Sottotenente 
      Pachnatz nella manovra di rallentamento, alcune unità di artiglieria della 
      94° Divisione che posizionarono i loro cannoni nel territorio comunale. 
      Tra i pezzi di varia gittata fu trasportato anche un imponente cannone 
      montato su un semicingolato, la bocca della sua canna era talmente grande 
      che avrebbe potuto ospitare un uomo.  
      Il gigante piantò i suoi piedi nella radura prima delle Mole dove in tempi 
      recenti sarà impiantata la fabbrica e da quella posizione prese a 
      martellare incessantemente il nemico che era ormai attestato alle porte di 
      Vallecorsa, il sordo sibilo dei suoi proiettili riempiva tutta la vallata.
       
      Questi artiglieri di supporto facevano parte del Kampgruppe Ewert che 
      avrebbe coperto la ritirata tedesca.  
      Il gruppo di combattimento prendeva il nome dal suo comandante l’Oberst 
      Wolf Ewert del 274° Reggimento della 94a Divisione di fanteria. 
      Il reparto era composto da membri del 3/274 comandati dal Hauptmann Woock, 
      del 1/274 del Hauptmann Manitz oltre alla quarta e alla decima Batteria 
      del 194° Reggimento di artiglieria comandate dal Oberst Scherenberg e dal 
      Oberst Urban. Il 23 maggio gli ufficiali della Novantaquattresima avevano 
      pernottato a Villa Levinetti a nord di Vallecorsa dove in ritirata si 
      erano uniti a loro anche i superstiti del secondo e terzo Battaglione 
      della Settantunesima Divisione. 
      Il 24 maggio il Hptm Woock del terzo Battaglione sposterà i suoi uomini su 
      Monte Rotondo sopra Amaseno, mentre lo stesso giorno alle ore 1200 a 
      Castro dei Volsci si trincererà con il 2/267 L’ Hptm Pannir anch’egli del 
      Kampfgruppe Ewert.  
      Il giorno dopo il 25 il 3/274 Woock da monte Rotondo si porterà verso 
      Campo Lupino percorrendo la stessa direttrice che solo due giorni dopo 
      avrebbero completato i francesi mentre Ewert dopo aver impartito le ultime 
      disposizioni al suo gruppo porrà il suo comando a Ceccano presso Villa 
      Berardi. 
      Il 26 maggio Woock si avvicenderà all’ Hauptm Manitz del Primo Battaglione 
      per il controllo di Campo Lupino o per quello che sarà il Punkt 156.  
      Per la difesa del pianoro sul Siserno Manitz sarebbe stato appoggiato 
      dagli uomini del Terzo Hochgebirgs che lo raggiungeranno a Campo Lupino 
      provenienti da Villa Santo Stefano. All'alba del 26 infatti, questi 
      specialisti della montagna in attesa di muovere si trovavano in fila 
      indiana seduti sui loro zaini, alcuni di loro avevano scambiato poco prima 
      del pane nero con delle uova fresche offerte dagli abitanti delle ultime 
      case alla Lavina. Questi ragazzotti, veramente molto giovani, gli ultimi 
      rimpiazzi, erano stati visti la sera prima cacciati in malo modo da Renato 
      Tambucci mentre erano in cerca dell'osteria in piazza che a causa 
      dell’oscurità avevano confuso con la sua abitazione. 
      Il giovane avvocato, udendo rumore di passi lungo la scala, si affacciò e 
      vide visibilmente sorprese queste reclute, senza concedergli nessuna 
      replica li rimproverò urlandogli a malo modo “ Nicht wine!! Nicht vine!! 
      Rauss rauss slaufen!!!”. Gli alpini retrocedendo, spaventati, si urtarono 
      tra di loro finendo così per rotolare dalla ripida scala fin sulla strada 
      mentre il pesante portone gli si chiudeva contro.  
      I primi fragori dei combattimenti furono uditi in paese il 23 maggio 
      quando dalle 07.00 alle ore 12.00 venne attaccata dai tedeschi una colonna 
      della Sussistenza americana di novanta muli che da Monte Marino avrebbe 
      dovuto raggiungere Monte Sparago. La Compagnia F del Secondo Battaglione 
      del Reggimento 350 dell’Ottantottesima Divisione arrivò in loro aiuto e a 
      Vado Fra’ Paolo alla fossa del Lupo i Blue Devils catturarono dieci 
      tedeschi della Settantunesima provenienti da Amaseno uccidendone altri 
      quindici. Questi erano gli ultimi uomini di quella Divisione destinata a 
      Cassino che sin da gennaio aveva transitato sulla provinciale costeggiando 
      il fiume Amaseno. Questi soldati provenienti dalla capitale scendevano 
      alla stazione di Sezze per poi proseguire a piedi prima per Amaseno e 
      attraverso Castro dei Volsci fino al fronte, ora invece il loro compito 
      era occupare Monte Sparago, anche se la loro Compagnia era ridotta a soli 
      trenta uomini. 
      Il Capitano americano Roeder comandante della Compagnia F dopo averli 
      fatti prigionieri cercò di comunicare con loro servendosi del cosiddetto 
      “Tedesco della Pennsylvania”. Senza grosse difficoltà gli esausti nemici 
      gli fornirono importanti informazioni sulla presenza delle rimanenti unità 
      tedesche a difesa della bassa valle dell’Amaseno. Il 25 maggio le 
      compagnie E, F e G sempre del Secondo Battaglione dell’Ottantottesima 
      Divisione americana a Roccasecca dei Volsci catturarono 198 tedeschi 
      uccidendone 72, Alfonso Felici era tra loro. 
      Ma in quei luoghi i prigionieri non erano solo tedeschi. Il giovane 
      Ufficiale Gerhard Muhm della Prima Compagnia del Primo Battaglione del 
      Quindicesimo Reggimento della 29a Divisione con un pugno di uomini era 
      riuscito a catturare su Monte delle Fate alcuni ufficiali osservatori 
      americani e dopo essersi defilato nonostante le truppe alleate già 
      presenti ad Amaseno, attraversò silenziosamente di notte la Macchia per 
      ricongiungersi con il resto della sua unità a Prossedi. 
      La guerra stava iniziando a mostrare il suo volto peggiore, quello della 
      morte e della distruzione e lontana appariva la gioiosa parentesi di pace 
      del 6 aprile quando nella Collegiata del Santuario di Giuliano di Roma il 
      Vescovo Leonetti, di ritorno ancora una volta in quel angolo remoto della 
      sua Diocesi, radunò venti parroci per la benedizione degli oli santi. 
      A Pisterzo Don Luigi con quell’olio il 9 aprile volle celebrare la Santa 
      Pasqua,lo fece nella chiesa di San Michele Arcangelo dove inginocchiato 
      davanti a lui c’era ossequioso il gruppo partigiano al completo che 
      ricevette commosso l’ostia consacrata. Dopo la benedizione Don Luigi volle 
      aggiungere alla lietezza della cerimonia anche una buona bottiglia di vino 
      frizzante che i patrioti apprezzarono nella bottega del padre Giuseppe. 
      Nel frattempo a Villa Santo Stefano qualcuno aveva avuto l’insana idea di 
      rubare un’ auto tedesca provocando cosi l’irritazione dei tedeschi, sempre 
      più inquieti con il lento ma costante peggiorare delle sorti della 
      battaglia. Ma più che le ricerche subito attivate dai panzergrenadier a 
      costringere il ladro a riconsegnare l’automezzo nei pressi della Pezza fu 
      la reazione congiunta dei suoi compaesani che temendo sgradite 
      rappresaglie contro di loro erano pronti a denunciarlo immediatamente. 
      La tensione nell’ultimo avamposto tedesco era evidente, appena pochi 
      giorni prima in una manovra fatta quasi quotidianamente un semicingolato 
      tedesco era rovinato sul portone di casa Reatini fracassandolo, dopo 
      essere scivolato sul selciato di via Gentile per un cambio di marcia 
      errato. 
      Tra le difese già predisposte dai tedeschi fuori del paese c’erano alcune 
      buche armate con mortai che a breve distanza le une dalle altre si 
      susseguivano alla destra del Ponte delle Mole. Mentre i tedeschi erano 
      intenti a completarle, quasi di fronte a loro,sull’altro lato della strada 
      celati dall’ombra dalla Macchia alcuni operosi giovani a colpi di zappa 
      stavano tranciando grossi porzioni di pregiato alluminio da rivendere al 
      mercato nero, in uno di questi brandelli c’era scritto “ Audeo” il motto 
      del 324° Fighter Group, il rottame o ciò che ne rimaneva era il P40 di 
      Matthew O’ Brien.  
      Il resto della popolazione invece, a causa dell’ allontanamento 
      dell’ospedale militare, aveva imparato a temere le incursioni aeree 
      alleate che ora sempre più frequenti erano annunciate dalla sirena del 
      Municipio.  
      Per precauzione si dormiva vestiti pronti a nascondersi nei vicini 
      anfratti di Vallerea o nelle cisterne scavate alle pendici del Siserno. 
      Guglielmina e la nonna Flavia erano sempre le ultime ad arrivare ai 
      rifugi, il passo stanco della nonna ritardava la loro fuga e quando 
      riuscivano finalmente ad allontanarsi da casa l’allarme aereo era cessato 
      e i loro compaesani già sulla via del ritorno. L’ultima settimana di 
      maggio le strade intorno al paese erano piene di soldati tedeschi in 
      ritirata, camminavano lungo le siepi costeggiando la Provinciale evitando 
      di alzare la polvere, facilmente visibile dall’alto. Erano stanchi, 
      sporchi e sudati in quelle logore uniformi ancora invernali, visibilmente 
      demotivati combattevano ormai solo per il compagno che avevano al fianco o 
      per il loro superiore se stimato. Alcuni di questi erano i superstiti del 
      Reggimento 1053 che insieme al Kampfgruppe Ewert avrebbero tentato la 
      difesa finale del paese.  
      Uno di loro dalla mole gigantesca presso i Tre Moschetti impose l'alt ad 
      Alfonso Zuffranieri in sella alla sua amata bicicletta, il giovane mugnaio 
      si stava recando al mulino dello Zio Paolino Sarandrea a Roccagorga e già 
      indaffarato dal suo lavoro quello era l'ultimo degli incontri che avrebbe 
      voluto fare. La pretesa del tedesco era fin troppo chiara ma la due ruote 
      a cui ambiva era troppo preziosa per il ragazzo che ogni due giorni doveva 
      affrontare quel tratto di strada per sostituire il fratello della madre 
      partito per il fronte. Si arrivò ad un accordo, la bicicletta veniva 
      requisita ma Alfonso seduto sulla canna avrebbe usufruito di un passaggio. 
      Così sull'esile ciclo il gigante e il bambino lentamente affrontarono la 
      dura salita che li aspettava subito dopo il bivio per Pisterzo, testimone 
      dello strano baratto Maria Toppetta. 
      La preoccupata donna smise di temere per la libertà di Alfonso quando 
      sorpassata dallo strano tandem lungo la provinciale fu tranquillizzata dal 
      gesto rassicurante di uno tra i più veloci ciclisti di Villa Santo 
      Stefano.Infatti solo dopo pochi metri il tedesco esausto accettò di 
      sostituirsi al ragazzo mai pensando che uno scatto improvviso degno di 
      Fausto Coppi lo avrebbe lasciato a terra a mangiare un quintale di polvere 
      con il trillo festoso del campanello di Alfonso che dal Ponte di Prossedi 
      copriva le sue maledizioni. 
      Sebbene disinteressati ed in piena ritirata gli esausti uomini della 
      Wehrmacht si sentirono in dovere di avvisare la popolazione sugli 
      imminenti pericoli a cui sarebbero andati incontro. Alcuni granatieri in 
      piazza tentarono di far capire ai civili di spostarsi a Frosinone 
      ripetendo ossessivamente “ No farm ! no farm! , citta’ ! citta !’” altri 
      invece imitavano in maniera esplicita con le mani l’atto sessuale che 
      tradussero in un fantasioso francese “comsì comsà ” .  
      Altri ancora al Colle ammonirono i civili presenti urlandogli “Domani noi 
      andare via, donne e bambini dentro, donne e bambini dentro !!! “ mentre a 
      Giuliano di Roma invece i soldati tedeschi furono più diretti nel 
      descrivere i loro prossimi nemici mostrando minacciosi agli abitanti il 
      fondo nero di una padella.  
      Il 25 maggio uno dietro l’altro furono fatte brillare dai genieri della 
      Novantaquattresima Divisione le cariche poste sotto i ponti intorno al 
      paese, il primo a saltare fu Ponte Calabrese ad Amaseno seguito dopo poche 
      ore da quello delle Mole. Ormai le difese erano state stabilite e i gruppi 
      di resistenza ben schierati, dalla linea del fronte nessuno sarebbe 
      passato oltre, nessuno sarebbe arretrato.  
      La squadra di guastatori che aveva fatto crollare i due ponti si era 
      appostata nei pressi del ponte della Madonna di Prossedi, dove sarebbe 
      rimasta per tutta la notte in attesa del passaggio degli ultimi rari mezzi 
      corazzati che avrebbero transitato su quello che era il ponte più solido. 
      Giunti al tramonto requisirono dalla casa del signor Mariotti che abitava 
      nei pressi del ponte un paio di saccocce di mais che versarono all’interno 
      dei loro elmetti dopo averli privati dell'interno.  
      Poi pazientemente con il manico delle baionette iniziarono a frantumare i 
      chicchi color arancio fino all’alba.  
      Il giorno dopo la soffice farina fu trasformata in saporita polenta. 
      Finito di mangiare con calma i tedeschi azionarono il detonatore collegato 
      alle cariche esplosive applicate alla base del ponte spezzandolo 
      irrimediabilmente in due. Raccolte le loro cose salutarono il signor 
      Mariotti, ma prima di congedarsi gli consegnarono una lampada a petrolio 
      in bakelite, se voleva gli dissero, la notte avrebbe potuto avvisare i 
      viandanti del ponte crollato.  
      Da allora quello sarebbe divenuto il suo nuovo lavoro che continuò anche 
      successivamente con il Governo Militare Alleato. Rimaneva ora una sola via 
      di fuga, Ponte Grande, ma quello sarebbe servito a loro, ai tedeschi, fino 
      all’ultimo minuto, fino all’ultimo uomo. 
       
       
      Caduti tedeschi a Villa Santo Stefano : 
       
      Nome: Giorno della scomparsa : 
       
      Uffz. Wilhelm Hacker 17 5 1944 
       
      Ogfr. Gunter Ade 21 5 1944 
       
      Un soldato ignoto  
       
      Gefr. Gustav Stracke 18 5 1944 
       
      Gefr. Robert Konzak 23 5 1944 
       
      Kraftf. Erich Schwarze 20 5 1944 
       
      Uffz . Heinrich Bode 18 5 1944 
       
      Gefr. Matthias Pottgen 17 5 1944 
       
      Ogefr Friedrich Knoss 21 5 1944 
       
      Ogefr. Wilhelm Hohmeyer 18 5 1944 
       
      Uffz . Friedrich Hierl 19 5 1944 
       
      Gefr. Otto Knipp 22 5 1944 
       
      Un soldato ignoto 
       
      Uffz. Karl Kunze 18 5 1944 
       
      Ltn. Gustav Germann 20 5 1944 
       
      Uffz. Eugen Zell 20 5 1944 
       
      Gefr. Bodo Kohler 16 5 1944 
       
      Ltn. Walter Ernst Georg Hoffmann 19 5 1944 
       
      Questi soldati riposarono nel cimitero di Villa Santo Stefano fino al 1963 
      quando furono traslati definitivamente al cimitero di Caira a Cassino che 
      contiene attualmente 20057 caduti. Tra il 1959 e il 1960 il Volksbund con 
      l’ausilio delle istituzioni italiane meticolosamente riesumò i corpi di 
      tutti i caduti tedeschi presenti nei vari cimiteri e nelle fosse comuni 
      del Lazio, Campania e Abruzzo per realizzare l’imponente sacrario che 
      venne inaugurato il 4 maggio 1965. 
      Nella lista riportata i due soldati ignoti furono sepolti successivamente 
      agli altri, le loro spoglie senza piastrino di riconoscimento vennero 
      trovate una sul Siserno, mentre l’altra in località Le Strette.  
      In occasione della ricorrenza dei defunti e il giorno delle forze armate 
      non mancò mai un fiore per questi soldati, segno di umanità e rispetto da 
      parte della popolazione di Villa Santo Stefano nei loro confronti. Alcune 
      persone generose come Antonio Leo, disinteressatamente, si presero cura di 
      alcune di queste tombe, si trattava di croci di legno verniciate di 
      bianco, su un lamierino di alluminio era inciso il grado e il nome del 
      soldato, erano quasi tutte sormontate da un elmetto, altre ancora avevano 
      dei sassi bianchi a delimitarne il perimetro. Nei primi anni cinquanta un 
      tedesco con una evidente protesi al posto di una gamba visitava almeno una 
      volta l’anno le tombe, soffermandosi a lungo su quella di Heinrich Bode, 
      una volta il reduce volle immortalare Antonio Leo vicino a una di queste 
      croci facendo venire appositamente un fotografo al cimitero. 
      Uno dei caduti tedeschi che riposarono a Villa Santo Stefano fu il 
      caporale Friedrich Knoss della Dodicesima Compagnia del Terzo Battaglione 
      del Reggimento 200 della Novantesima Panzergrenadier Division. 
      Il sottufficiale proveniva dalla Quarta Compagnia dell’Infanterie Ers Btl 
      163, la sua matricola era 1048, il Feldpost 58291d, ferito il 15 maggio 
      1944 nei pressi di Esperia si spense il 21 maggio 1944 a Villa Santo 
      Stefano a trentotto anni come portaordini motociclista. Fredrich era un 
      valente pittore edile proveniente da Erzhauser, un paesino a sud di 
      Francoforte dove abitava a Bruhlstrasse numero 5, mentre nella città sul 
      Reno aveva la sua bottega. Era nato il 14 ottobre del 1906, sposato con 
      Lina aveva due bambine Erika ed Ursula, giunse in Italia nel febbraio 
      1944. Dopo il bombardamento di Francoforte gli fu data una licenza premio 
      per raggiungere la sua famiglia, al suo arrivo Fredrich trovò la casa 
      completamente distrutta dalle bombe alleate per cui nei pochi giorni che 
      aveva a disposizione rimboccandosi le maniche senza sosta ripristinò 
      l’alloggio per i suoi cari, riuscito a portare a termine l’immane lavoro 
      fece ritorno al fronte poche settimane dopo. Il 1 giugno 1944 l’Uffz. 
      Gustav Kuhn del 200° Reggimento comunicherà con una lettera alla famiglia 
      il ferimento del loro congiunto ad Esperia il 16 maggio e la successiva 
      morte a Villa Santo Stefano il 21 maggio. Il 15 agosto 1944 l’Oberleutnant 
      Friedrich Werrer, comandante della Compagnia di Friedrich, scriverà di 
      nuovo alla famiglia del caporale scomparso riportando con precisione i 
      particolari del suo ferimento avvenuto per schegge di granata il 15 
      maggio. Riferirà anche della permanenza all’Hauptverbandplatz di Villa 
      Santo Stefano dal 19 maggio fino al decesso avvenuto il 21 maggio 1944. 
 
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