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       17  ANGELI CADUTI
       
       
      Il Curtiss P40 numero 93 di Dealy ormai al limite delle sue possibilità 
      non avrebbe mai sprofondato le sue ruote sulla morbida sabbia della pista 
      di emergenza di Anzio, figuriamoci raggiungere Pignataro ormai 
      lontanissimo. 
      Il suo destino si sarebbe invece consumato in un battito di ali sorvolando 
      un piccolo paese arroccato su una montagna che una stretta stradina univa 
      ad un ampia valle, Pisterzo ……  
      Un terreno adatto all' atterraggio, ecco cosa desiderava più di ogni altra 
      cosa James in quel momento ma l'altitudine e il fumo sulla faccia gli 
      mostrarono solo pietraie e uliveti e forse, isolate poco più in là, alcune 
      casupole. 
      Un istante dopo però l’aeroplano scelse per lui e così dopo aver sfilato 
      il cavo che lo collegava alla radio libero delle cinghie di sicurezza a 
      malincuore si lanciò nel vuoto. L' abbandono di quello che ormai era un 
      relitto non fu tra i più felici, Dealy infatti urtò l’antenna dietro la 
      cabina e come se non bastasse il suo ginocchio sinistro andò a colpire la 
      sezione di coda. 
      Così conciato intorno ai 2000 piedi tirò la leva rossa e il paracadute 
      finalmente si aprì. Il respiro del vento lo sospinse verso i due casolari 
      in pietra che aveva intravisto poco prima. Ondeggiando nella corrente in 
      lontananza gli apparve il paese di Maenza poi, quando la calotta ruotò, la 
      fiera Roccasecca dei Volsci. 
      Un boato ai suoi piedi richiamò la sua attenzione, era il numero 93 che si 
      era schiantato al suolo incendiandosi tra la strada e gli uliveti. 
      Dalla sua posizione, pericolosamente privilegiata, notò anche con 
      preoccupazione che a circa otto chilometri a nord est un auto e due 
      motociclette stavano muovendosi verso di lui. Atterrò su una sola gamba, 
      la destra. 
      Il suo naso cozzò ripetutamente contro i sassi fino a quando la vela, 
      intrappolata da un enorme rovo, finalmente si arrese. La famiglia che 
      abitava uno dei due casolari fu la prima ad assisterlo dopo il disgraziato 
      impatto che gli aveva fatto perdere per pochi minuti anche conoscenza. Un 
      ragazzetto lo ridestò :“ Pilota americano! Pilota americano!!?” Dealy 
      confuso rispose “ Yes, oui, si “, armeggiando freneticamente con le 
      cinghie il giovane lo liberò dal paracadute, gli tolse la cuffia e 
      sorreggendolo lo condusse veloce verso un covone. Nascosti nel fieno li 
      raggiunse un vecchio che senza perdere tempo appoggiò la propria mantella 
      sulle spalle del pilota. 
      Dietro la casupola si udirono stridere i pneumatici di una autovettura 
      accompagnati dalle grida degli uomini e delle donne che accorsi sul campo 
      erano spariti dietro gli ulivi insieme al paracadute. 
      Nascosti rimasero solo una bambina di cinque anni e un acciaccato, 
      frustrato ex pilota da combattimento. Difficile a credere ma la bambina 
      prese per mano James e con estrema tranquillità lo condusse in una delle 
      due case. 
      Saliti per una fragile scala giunsero dentro una stanza dove la piccola a 
      gesti gli fece capire di infilarsi sotto il letto. Stretto tra un pitale e 
      uno scaldino in rame il pilota rimase immobile mentre i piedini scalzi 
      della bambina sparivano dietro la porta. Fuori echeggiarono alcuni colpi 
      di fucile, poi il silenzio. 
      Dopo alcuni minuti giunse di nuovo il ragazzo che a fatica condusse di 
      nuovo Dealy verso un giallo campo di grano. Il ginocchio malmesso 
      dell’americano li costrinse a camminare abbracciati ancora per trecento 
      metri. Si fermarono solo quando in lontananza, sinistri, ripresero gli 
      spari, Dealy allora scomparve di nuovo dentro un covone. 
      Dopo un’ora che parve un giorno tornarono il ragazzo e il vecchio di 
      prima, James provò a parlargli usando il latino imparato alla High School 
      di Florence in Alabama ma il linguaggio internazionale dei gesti ebbe 
      maggiore successo. Il pilota mostrò la piastrina di riconoscimento, la sua 
      Escape Map e soprattutto l’Escape Money, la notevole somma di 5000 lire 
      che con gratitudine diede in parte ai due italiani sperando così di 
      garantirsi un po' di futuro che in quel momento sembrava solo nero. 
      I suoi salvatori sorpresi dal compenso inaspettato gli fecero capire di 
      rimanere ancora nel grano e di non muoversi per nessun motivo. Il pilota 
      iniziò ad aspettare pazientemente, anche dopo un'ora quando chiunque si 
      sarebbe convinto di aver perso soldi e libertà. 
      Nell' attesa la sua mente tornò agli ultimi due mesi passati quasi sempre 
      in combattimento. 
      In quarantacinque giorni aveva completato quasi quarantatre missioni e 
      ridendo al cielo pensò ai fratelli Jack e Bob che in ottantasei missioni 
      nel 314° Gruppo non avevano mai visto un solo aereo nemico. 
      Intanto il dolore alla gamba era divenuto insopportabile quanto quello al 
      naso trafitto dalle spine raccolte durante il suo trascinamento. 
      Più tardi avrebbe saputo che anche numerosi frammenti da venti millimetri 
      erano ospiti delle sue carni. Ma la preoccupazione maggiore era per quella 
      gamba che fuori combattimento non lo avrebbe portato da nessuna parte. 
      All’ imbrunire, quando tutte le speranze erano ormai andate, tornò il suo 
      giovane amico accompagnato questa volta dal padre. Luigi de Angelis, così 
      si chiamava il ragazzo, gli presentò Rocco che in uno stentato ma 
      comprensibile inglese, appreso anni addietro in Pennsylvania, tentò di 
      rincuorarlo. 
      Felice di poter comunicare con qualcuno Dealy si ritrovò nella casa dei 
      suoi salvatori dove i segni della perquisizione tedesca erano ancora 
      evidenti. 
      Liberato il pavimento dai frantumi il pilota venne adagiato delicatamente 
      su una coperta e Rocco, con una pezza intrisa di vino rosso, iniziò a 
      disinfettare le sue ferite. Con freddezza poi utilizzando una lama rovente 
      gli estrasse dalla schiena una dozzina di schegge. Dopo averlo fasciato 
      un’anziana donna si preoccupò della sua gamba deponendo sul ginocchio un 
      impiastro di semi di grano bollito.  
      Per precauzione dovette togliersi la tuta di volo e gli stivali sostituiti 
      da un paio di pantaloni di una consunta divisa militare italiana, una 
      maglia bucata e delle ciocie che James maledì da quel momento in poi per 
      le dolorosissime vesciche che gli avrebbero procurato. Come se non 
      bastasse fu costretto ad indossare anche un cappottaccio peloso 
      costringendo allo sfratto un esercito di pulci. 
      Umiliato da quelle vesti variopinte apprezzò solo il fiasco di vino che 
      Rocco sorridendo gli porse.  
      Nel suo inglese elementare il contadino lo informò che i tedeschi erano 
      purtroppo ancora sulle sue tracce e temendo per la sua incolumità sarebbe 
      stato meglio recarsi al più presto presso alcuni parenti fidati che non 
      avrebbero esitato ad ospitarlo. Nel nuovo rifugio James esausto dagli 
      eventi della giornata rinunciò alla cena e scusatosi con i Dominici 
      sprofondò nel sonno avvolto dalla paglia che la sera prima aveva 
      accarezzato l’asino. Rimase presso la buona famiglia cinque giorni e sei 
      notti anche se, per il delirio sopraggiunto alla febbre, gli sembrarono 
      mesi.  
      Nella casupola in pietra non c’era molto da mangiare ma per farlo 
      ristabilire i Dominici riuscirono a scovargli quasi ogni mattina almeno un 
      uovo fresco. 
      Per cautela il pilota convalescente non fu fatto avvicinare da nessun 
      altro all'infuori dei soli membri della famiglia che, a turno durante il 
      lavoro nei campi, si alternavano nell’accudirlo. I giorni seguenti con il 
      migliorare del suo stato la dieta mutò e James prese a sfamarsi sempre 
      grazie alle rinunce dei Dominici con un po’ di pane, olive e formaggio di 
      bufala. 
      Il quarto giorno vennero a trovarlo Luigi e Rocco de Angelis, la visita 
      gradita fu accompagnata da un fiasco di vino e alcune sigarette rozzamente 
      arrotolate a mano. Ma non ci fu sorpresa più grande quando da un 
      fazzoletto nascosto sotto il cappello Rocco estrasse quasi tutte le sue 
      banconote. 
      Tra il puzzo di quelle strambe sigarette e qualche bicchiere di rosso 
      prima di congedarsi Rocco, visibilmente imbarazzato,volle scusarsi con 
      James per un fatto avvenuto alcuni giorni. Alcuni bambini frugando nel suo 
      paracadute rimasto nascosto dentro una cassa avevano rubato una bustina di 
      zucchero trovata nel Dinghy piegato sotto l’imbracatura. Quasi sudando per 
      la vergogna il brav’uomo spiegò anche che dopo averlo assaggiato le bocche 
      dei piccoli erano divenute paurosamente verdi. Solo a quel punto Dealy 
      comprese e non potendo frenarsi iniziò a ridere immaginando quei poveretti 
      che a loro insaputa avevano ingerito la polvere fluorescente che in caso 
      di ammaraggio si versava in mare per essere avvistati!!. Il pomeriggio del 
      sesto giorno l’ospite clandestino ricevette un’ altra visita, si trattava 
      di un sospettoso giovane italiano appartenente alla resistenza 
      accompagnato sorprendentemente da un suo commilitone, il Sottotenente 
      Douglas Plowden di Sumter, South Carolina, abbattuto mesi prima con il suo 
      A36 alla cinquantunesima missione. Doug come tutti lo chiamavano indossava 
      abiti civili ma più che un americano in borghese l’ altezza e i caratteri 
      marcati lo facevano sembrare una spia tedesca. I due aviatori parlarono 
      della situazione del fronte e dopo le indicazioni del connazionale James 
      comprese finalmente la sua esatta posizione. La conversazione si 
      interruppe ed anche bruscamente quando Plowden venne a sapere che parte 
      dei soldi del commilitone erano stati dati agli “Ities”, gli italiani. 
      Doug spiegò disperandosi che la latitanza sarebbe stata ancora lunga e 
      quelle banconote essenziali per barattare la loro libertà. 
      A quel punto per stemperare gli animi il giovane partigiano si intromise e 
      offrendo la mano a James si presentò “ Salve sono Virgilio Reali, faccio 
      parte di un gruppo di partigiani che opera sulle montagne, pensiamo che, 
      per la sua sicurezza signor Dealy, debba venire con noi “. 
      Ma il profumo di pomodoro fresco misto al basilico che inondò l’aria fece 
      cadere qualsiasi conversazione. Disposta su una larga tavola li attendeva 
      infatti, straordinaria in quei giorni, una fumante pasta fatta in casa. 
      Affratellati da quel ben di Dio seduti per terra c’erano i Dominici, i De 
      Angelis, Virgilio e i due piloti che come “ospiti internazionali “ ebbero 
      riservate le posate buone, due cucchiai in legno. A fine pasto, aspirando 
      l’ ultima delle sigarette del compagno, Doug confidò ai presenti che da 
      fonti partigiane aveva appreso di due aerei tedeschi e tre americani 
      caduti in combattimento la settimana prima.  
      Annuendo James confermò l’accaduto ma solo per quello che riguardava gli 
      americani, dei “Jerries”, i tedeschi, non ne sapeva nulla. 
      Visto l’interesse per l’argomento anche se i presenti avrebbero capito 
      poco Dealy tornò al suo tredici maggio ”….. Era la mia quarantatresima 
      missione, l’obiettivo un treno che da Roma avrebbe raggiunto Frosinone con 
      truppe fresche per Cassino. Decollai dall’aeroporto di Pignataro insieme a 
      quattro piloti del 315° e altrettanti del 316°, comandava la squadriglia 
      il maggiore Sanders del 315°, l’altro ufficiale Leader era invece il 
      Tenente Schiewe del 316°.  
      Oltre a me in posizione Leader c’erano anche Kusch, King caposquadriglia 
      del 316° e in posizione “King’s wing” Matthew O’ Brien alla seconda o 
      terza uscita piu un'altra recluta che non avevo mai visto. Il mio P40 
      numero 79 battezzato “The lovely Lois” in onore di mia moglie era in 
      manutenzione per cui fui costretto a prendere il numero 93 del Tenente 
      Sven “Jerky” Jernstrom .  
      Come sai Doug ogni pilota lascia per abitudine o scaramanzia il proprio 
      paracadute nell’abitacolo per cui ebbi il piacere di indossare quello di 
      “Jerky” che era più alto di me almeno due volte. A metà missione, dopo 
      aver sorvolato inutilmente una vasta area in cerca del treno, il Maggiore 
      Sanders ordinò di bombardare come alternativa la stazione di Ferentino per 
      poi dirigersi sull'immancabile Cassino. 
      Ma a circa novanta chilometri nord est da Anzio fummo travolti da dieci ME 
      109 con ben visibile sulle fusoliere un asso di picche seguiti a distanza 
      da circa venti FW 190 con un cospicuo carico di bombe. 
      Dopo la sorpresa iniziale Sanders ordinò il contrattacco centrando un ME 
      109 alla sua sinistra mentre Kusch che volava sull’altro lato veniva 
      colpito prima che la manovra fosse completata. Al secondo passaggio fatto 
      tutto a manetta vidi O’Brien di fronte a me in difficoltà inseguito da due 
      caccia tedeschi, al terzo passaggio invece impotente constatai solo la sua 
      fine. Cercavo di mantenere i contatti con il resto della squadriglia 
      mentre King a ore tre faceva strage di tedeschi. Mi allontanai solo per 
      una manovra dissuasiva contro un ME 109 che se ben eseguita si 
      preannunciava come la mia seconda vittoria. 
      Ad ore sei nel completarla fui quasi travolto da due ME 109 che già in 
      fiamme contavano di nascondersi tra i banchi di nuvole. Tornai a 
      concentrarmi sul mio ME 109 che avevo finalmente a prua, senza pietà 
      iniziai a sparare senza sapere che ben presto avremmo condiviso lo stesso 
      destino. 
      Infatti all’improvviso fui investito da una pioggia di proiettili 
      provenienti dalla mia destra.  
      Era uno degli aerei che avevo visto sfilare poco prima che al suo secondo 
      passaggio nonostante le fiamme aveva avuto il tempo di crivellare il 
      vecchio 93. Si ha coscienza di essere colpiti, e Douglas lo può 
      confermare, quando il mondo inizia a girare e il fumo del motore invade la 
      cabina soffocandoti insieme al puzzo di plastica bruciata. In queste 
      condizioni, avvisato il caposquadriglia, puntai a sud est, volando basso 
      tra le nuvole, cercando di evitare le “Golf balls” da venti millimetri 
      della Flak nemica. La situazione peggiorò quando il motore fece capire da 
      alcuni sinistri brontolii che ne avrebbe avuto ancora per poco. Rassegnato 
      uscii dalle nubi, mi guardai intorno e senza pensarci due volte mi lanciai 
      con un paracadute molto più grande del mio……. “ .  
      La fine del racconto anche se poco lieta venne seguita dall’ applauso 
      spontaneo dei bambini che avevano imitato, durante tutta la narrazione,le 
      manovre del P40 simulate da Dealy con il movimento delle mani. 
      Il giorno seguente James sarebbe stato accompagnato dal suo connazionale 
      in montagna dove era più prudente stare e dove gli assicurò Virgilio 
      avrebbe ricevuto cure mediche adeguate. Rocco da canto suo, e non era 
      poco, gli promise il suo asino. Al mattino del settimo giorno come 
      promesso Doug si presentò puntuale per condurlo verso la libertà. 
      Prima di andare Dealy volle però ringraziare Luigi, il suo piccolo amico, 
      a cui affidò una lettera per Lois, la moglie, pregandolo di darla a 
      qualche americano quando fosse passato da quelle parti.  
      Tra la brina che lentamente lasciava spazio ai primi raggi di sole iniziò 
      lenta l’ascesa dei due americani che proseguì ininterrotta per circa sei 
      ore. Al termine della giornata i due fuggitivi vennero ospitati 
      dall’ennesima famiglia ciociara, esausti avrebbero trascorso la notte 
      accovacciati nell’erba alta del loro uliveto. All’alba dell’ottavo giorno 
      salendo ancora di quota raggiunsero finalmente il gruppo di partigiani. 
      Il primo a presentarsi fu il loro capo, un inglese più o meno della loro 
      età, seguirono tre sudafricani, evasi dopo essere stati fatti prigionieri 
      in Africa settentrionale, infine due disertori, un tedesco, fuggito da 
      Roccasecca dei Volsci, che per il gruppo si era improvvisato barbiere e un 
      fuggitivo russo. 
      A corto di armi i patrioti chiesero ai due piloti se potessero aiutarli in 
      qualche modo ma gli americani quasi sorridendo mostrarono l’unico metallo 
      in loro possesso, un piccolo temperino e le piastrine di riconoscimento 
      cucite oltretutto sotto l’orlo delle mutande. Il pezzo di Dealy, la Colt 
      45, era andata persa nel brusco atterraggio e forse era stato meglio così, 
      se fosse caduto in mano nemica con quell’arma sarebbe stato immediatamente 
      fucilato. 
      Il giorno seguente giunse al bivacco, approntato vicino ad alcune grotte, 
      un dottore amico dei partigiani pronto a prestare soccorso a Dealy. 
      Dopo avergli sfasciato le bendature notò con disappunto che il ginocchio 
      era ancora gonfio e il suo colore viola non augurava nulla di buono. 
      Chiamato Doug in disparte il medico lo informò a malincuore che purtroppo 
      era necessaria un amputazione, ma, capite le intenzioni dell’italiano, 
      Dealy si rifasciò la gamba e contrariato prego il commilitone di congedare 
      il dottore. 
      Dopo ancora un giorno di cammino in groppa al suo fidato asino James 
      raggiunse il rifugio dei partigiani chiamato da tutti “il Calvario”, ad 
      attenderlo Virgilio e il resto del gruppo. Per festeggiare il loro arrivo 
      fu cucinata una capra accompagnata da una damigiana di buon vino rosso, 
      alla sera, quasi sbronzi, i due piloti furono accompagnati da una brava 
      famiglia e dopo nove giorni James ebbe inaspettato il suo primo letto. 
      Quella notte però fece molto freddo e la moglie del pastore che li aveva 
      accolti, svegliata dai tremori di Dealy, sostituì generosamente la sua 
      maglia di cotone con un maglione di lana e le fasce che gli avvolgevano i 
      piedi con un paio di calzettoni scuri. Il pomeriggio del decimo giorno, 
      nel piccolo borgo sul dorso dei monti, giunse la notizia che tutti 
      aspettavano: gli americani stavano arrivando ! . Il primo ad arrampicarsi 
      fin lassù fu un enorme sergente seguito da un giovane caporale infine 
      addirittura un Generale, Ernest N. Harmon della Quinta Armata. Vedendo 
      Dealy zoppicare gli disse di non preoccuparsi, un dottore, nonostante la 
      quota, presto li avrebbe raggiunti. Molti di quei soldati erano del 
      Tennesse, dell’Oklaoma e soprattutto Texani, la sera Dealy fu ricoverato. 
      Nella tenda medica venne a trovarlo il sergente che per primo aveva 
      incontrato e un capitano, Frank Rogers.  
      L’ufficiale di Knoxville nel Tennesee in forza all‘Intelligence pregò 
      Dealy di riferirgli ogni informazione in suo possesso sulla presenza 
      tedesca in quella zona. I due piloti ricevettero dai connazionali sapone, 
      caffè e sigarette che divisero volentieri con i loro ultimi ospitali amici 
      italiani.  
      Il giorno seguente, a cavallo di due muli scortati da un caporale armato 
      di mitra, i due esausti aviatori furono accompagnati alla loro ultima 
      destinazione, il comando della Quinta Armata. 
      Nel suo atterraggio forzato oltre il fiume Amaseno Matthew “OB” O’Brien a 
      differenza di Dealy era riuscito invece a conservare la sua Colt, il 
      pugnale USM3 Imperial e anche alcuni effetti personali che gli rimasero 
      anche quando per prudenza dovette disfarsi della sua tuta da volo e 
      indossare come Dealy bizzari abiti civili. Rimase irremovibile solo sulle 
      calzature che volle tenere a tutti i costi per le condizioni critiche 
      della sua caviglia. 
      I primi giorni della sua latitanza rimase nascosto a casa di Za Cesira, 
      accudito e protetto da quasi solo donne. Za Maria, Augusta Iorio e anche 
      la coraggiosa Luciola, la moglie di Aroldo, che grazie all’intervento di 
      Don Amasio presso Lorek aveva potuto quasi subito riabbracciare il suo 
      piccolo Giuseppe. 
      Le commari si mostrarono più incuriosite che spaventate dall’inatteso 
      angelo che gli era piovuto in testa dal cielo. I giorni seguenti invece 
      Matthew entrò a far parte di una bandaccia di mammocci che oltre a lui 
      rimanevano gli indiscussi padroni della casa che gli adulti lasciavano 
      all’alba per i lavori dei campi. 
      La notte invece per precauzione era costretto a dormire in una 
      “cantroccia” sulla cima del Monticello che in seguito sarebbe divenuta il 
      rifugio di un altro fuggitivo, Benito Lucidi. “OB” O’Brien conosceva 
      qualche parola di Italiano ed altre le stava imparando dai suoi piccoli 
      amici. A loro mostrò la foto della fidanzata gelosamente conservata nel 
      portafoglio, il suo nome era Alice.  
      Mentre i bambini la osservavano incuriositi Matthew la accarezzava con il 
      pollice frenando l’ emozione che però scoppiava in pianto quando solo al 
      Monticello ammirava il cielo stellato. La sera la famiglia si riuniva 
      dividendo con il giovane pilota il poco che aveva. Dopo il frugale pasto i 
      suoi piccoli salvatori attendevano frementi un ultimo gioco. Il pilota si 
      era impegnato ad insegnargli il funzionamento dell’orologio che gli era 
      rimasto al polso. Una sera, al fresco del tramonto, una di quelle sante 
      donne cucendogli i piastrini di riconoscimento dentro l’orlo dei sgualciti 
      pantaloni scoprì da una medaglietta della Madonna che il giovane era 
      cattolico. Da quel momento in poi le generose commari durante i loro 
      interminabili rosari lo affideranno alla Madre di Cristo. I tedeschi nel 
      frattempo non avevano assolutamente allentato la vigilanza e spesso, a 
      sorpresa, tornavano ai Porcini con la speranza di sorprendere il pilota. 
      Arnoldo Tranelli venne ancora malmenato e i suoi vicini minacciati di 
      fucilazione. Il premio di 300 lire per chi avesse segnalato al più vicino 
      comando tedesco la posizione esatta di aerei caduti o piloti alleati era 
      allettante ma la gente di Villa Santo Stefano, fedele a suoi valori non si 
      prestò mai alla delazione, tantomeno al tradimento. Ma il rischio per la 
      contrada rimaneva alto. Il primo proclama tedesco dopo l’otto settembre 
      era stato categorico : “…. Chi omette di comunicare la presenza di 
      prigionieri angloamericani verrà punito con pene severissime e chi gli 
      offrirà nascondiglio, viveri,indumenti borghesi o aiuto sarà condannato 
      dai tribunali di guerra con le medesime pene …” . 
      Nel peggiore dei casi la condanna sarebbe stata eseguita direttamente sul 
      posto. come il 12 aprile 1944 quando a Coreno Ausonio una pattuglia 
      tedesca uccise due uomini rei di aver ospitato un pilota americano nel 
      proprio casolare. 
      Per contrastare le ispezioni tedesche furono formate dai giovani del luogo 
      delle staffette che a turno piantonavano le entrate al Quarallo e ai 
      Porcini. 
      Lo stratagemma permise di salvare il pilota, che in pratica tutti ormai 
      aveva adottato. Ma dopo l’ennesima irruzione in casa di Za Cesira fu 
      deciso di trasferire Matthew altrove e una notte di maggio, rischiarato 
      dalla luna, un gruppo di coraggiosi condusse il pilota al Caùto.  
      Il suo nuovo rifugio era oltre il Monticello nella casa di Antonio 
      Zomparelli, dove il ricercato sarebbe rimasto al sicuro fino all’arrivo 
      degli alleati. Come era accaduto ai Porcini anche qui Matthew venne 
      accolto da tutta la famiglia. 
      Za Filomena gli fece perfino degli impacchi caldi con i semi di lino che 
      portarono notevoli giovamenti, dopo la scarpinata della notte prima, alla 
      sua caviglia malandata. Nuovi curiosi ragazzini lo seguivano continuamente 
      divenendo presto suoi compagni di gioco, si staccava da loro solo al 
      passaggio degli aerei alleati quando studiando rotta e nazionalità tentava 
      di capire i progressi dell’avanzata americana. Altre volte invece rimaneva 
      in silenzio tutto il giorno quando riusciva a riconoscere dalla sigla di 
      coda qualche membro della sua squadriglia che a bassa quota sorvolava le 
      loro teste. La notte invece la foto di Alice continuava a rimanere il suo 
      unico sollievo. 
      Quando arrivarono i francesi o meglio i marocchini, O’Brien non fidandosi 
      completamente di loro attese pazientemente ancora qualche ora sperando 
      nell’arrivo di qualche suo connazionale.  
      Così conciato preferiva non correre inutili rischi. Nel suo italiano 
      elementare ringraziò la famiglia che lo aveva ospitato e soprattutto non 
      lo aveva tradito poi proseguendo in inglese, che qualcuno forse 
      tradusse,volle informarli che si sarebbe consegnato al Comando americano 
      di zona, nessuno lo vide più. L’ultimo saluto fu per i suoi piccoli amici, 
      Margherita Paggiossi lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava per i 
      Porcini costeggiando la strada che conduceva ad Amaseno, la più 
      frequentata dai mezzi alleati. Appena vide la sagoma familiare di uno 
      Sherman Matthew iniziò ad agitare le braccia sperando di essere notato in 
      quel mare di polvere. 
      Il tank si fermò e dopo aver urlato grado e matricola “OB” mostrò al 
      capocarro il suo piastrino di riconoscimento personale. La sera del 28 
      maggio Matthew O’ Brien rientrò sano e salvo alla sua unità nella base di 
      Pignataro. 
      Il giornale di squadra così descriverà l’evento “…. Il Sottotenente O’Brien 
      dopo aver trascorso quindici giorni nel lato sbagliato della linea dei 
      bombardamenti si ricongiunge al suo Squadrone …… ”, Il 24 maggio era stato 
      anticipato da James Dealy. l’asso del 324° “ JT “ Johnson così appunterà 
      l’episodio nel suo diario “…. Il Tenente Dealy dopo essere stato protetto 
      nelle colline dagli italiani per undici giorni, torna al suo Squadrone 
      oggi. E’ difficilmente riconoscibile così conciato nel suo bizzarro 
      abbigliamento, ma quello che entusiasma tutti è il vederlo di ritorno ed 
      in buono stato …… ” di quei coloriti indumenti James Dealy conserverà le 
      amate odiate ciocie che riporterà negli Stati Uniti a ricordo della sua 
      latitanza nella valle dell’Amaseno.  
       
      Le missioni del 324° Gruppo Caccia sulla valle dell’ Amaseno: 
       
      12 aprile 1944, missione 804 , ore 8.10 a.m. 
      Osservato ospedale in posizione G 425- 240 , corrispondente a Villa Santo 
      Stefano, “…. croci ben marcate con cerchi bianchi sui tetti dei palazzi 
      …”, dodici i P40 impegnati, quattro per ognuno dei squadroni del 324°. 
       
      3 maggio 1944, missione 907 : target Amaseno Valley. 
       
      6 maggio 1944, missione 932 : bivacchi tedeschi individuati nella zona 
      corrispondente dalle coordinate tracciate alle Mole. 
       
      7 maggio 1944, missione 938 : postazione Flak individuata in posizione G 
      43- 27 , le Mole. 
       
      14 maggio 1944, missione 997: perlustrazione sulle “ Lepino Mountains” ( 
      così riportato ) 
       
      Nel maggio del 1944, il 324° gruppo viene assegnato a supporto delle 
      azioni di terra del Corpo di Spedizione Francese. Per regolare le attività 
      tra i due alleati venne predisposta una frase segreta, i P40 americani via 
      radio avrebbero comunicato:“ Lafayette, we are here” e i francesi per 
      conto loro avrebbero risposto : “ Right on the nose, mercy”. 
       
       
      14 maggio 1944, missione 997 : perlustrazione dei Monti Lepini. 
       
      16 maggio 1944, missione 1013 : target Castro dei Volsci. 
       
      17 maggio 1944, missione 1026 : target Terracina, Priverno, Frosinone. 
      durante questa azione sotto un bombardamento periranno sei persone a 
      Pisterzo. 
       
      17 maggio 1944, missione 1025 : target Vallecorsa. 
       
      17 maggio 1944, missione 1029 : colpiti dieci autocarri a sud est di 
      Amaseno, lo stesso giorno l’azione proseguirà con le missioni numero 1031 
      delle ore 15.00 a.m. dove dodici P40 del 315 in tre passaggi differenti 
      lanceranno dieci bombe colpendo tre autocarri tedeschi. Uno esploderà 
      mentre gli altri due rimarranno distrutti,seguiranno inoltre intensi 
      bombardamenti alle Mole. Don Alvaro annoterà sul suo diario l’episodio 
      riportando anche di un mitragliamento a più riprese “…..dalla via che da 
      Villa Santo Stefano porta ad Amaseno …” . Quel giorno ci fu anche il 
      passaggio di una colonna di carri armati tedeschi in ritirata, sicuramente 
      della 26a Panzer seguito dallo sgancio di bombe sul mulino di Prossedi 
      dove si trovava un officina tedesca per le riparazioni degli automezzi, 
      tra le macerie saranno estratti i corpi senza vita di quattro tedeschi.
       
       
      Armando Toppetta ricorderà bene questo 17 maggio quando una colonna 
      tedesca venne violentemente attaccata vicino Ponte Calabrese da aerei 
      americani a bassissima quota. I feriti che si erano rifugiati tra l’erba 
      alta ai lati della strada verranno accolti dagli ospedali militari di 
      Amaseno e Villa Santo Stefano.  
       
      20 maggio 1944, missione 1056 : il Tenente Fisher mitraglia alcuni mezzi 
      sulla strada che unisce Giuliano di Roma con Villa Santo Stefano. 
      Successivamente colpito precipita con il suo P40 F alle spalle di Amaseno, 
      lo stesso giorno Don Alvaro riferira’ di un camion carico di benzina 
      mitragliato alla Madonna delle Grazie. 
       
      20 maggio 1944, missione 1057: sei autocarri sono bombardati a G 42 -22 
      alle ore 13.00 a.m. da otto P40 del 314 che attaccano la strada Ceccano, 
      Amaseno Pastena. Il Tenente Harrington mitraglia e bombarda sei autocarri 
      che dalle Mole si muovono in direzione di Villa Santo Stefano, uno riesce 
      a tornare indietro mentre due colpiti rimangono in fiamme sulla strada. 
      Poco dopo al secondo passaggio durante la missione 1058 del 316 dei 
      quattro camion tedeschi superstiti due vengono distrutti e due 
      danneggiati. 
       
      20 maggio 1944, missione 1059: alle 15.30 a.m. vengono colpiti due 
      autocarri mentre l’autoambulanza che li precedeva che si stava recando a 
      Villa Santo Stefano viene lasciata incolume. Successivamente alle 14.40 
      a.m. otto P40 del 315 attaccarono truppe tedesche nei pressi di Vallecorsa. 
       
      20 maggio 1944, missione 1060: alle ore 15.20 a.m. otto P40 del 314 
      attaccano un deposito di munizioni ad Amaseno mentre in due successivi 
      passaggi si portano sulla strada che costeggia il fiume. Sotto Pisterzo 
      viene attaccata una colonna tedesca, un camion distrutto rimane avvolto 
      dalle fiamme mentre altri tre celati dai simboli della Croce Rossa saltano 
      in aria per gli esplosivi che in realtà trasportavano.  
       
      21 maggio 1944, missione 1066: alle ore 6.55 a.m. otto P40 del 316 
      attaccano l’angolo nord ovest di Amaseno,viene notato un ospedale con 
      croci rosse, a missione è annullata, è l’Hauptverbandenplatz della 94a 
      Divisione. 
       
      21 maggio 1944, missione 1067: otto P40 del 314 notano che in tutta l’area 
      tra Villa Santo Stefano e Amaseno “… all small town in this area have red 
      crosses on buildings ….” … tutti i piccoli paesi in questa zona hanno 
      croci rosse sui palazzi …” anche questa missione viene annullata. 
       
      21 maggio 1944, missione 1070: dodici P40 del 316 intorno alle 15.30 a.m. 
      attaccano un convoglio di sei camion tra Amaseno e Villa Santo Stefano, 
      alcuni spezzoni esplosivi vengono lanciati in contrada Pozzo di S. Antonio 
      a Giuliano di Roma dove i tedeschi tenevano nascosti i cavalli. 
       
      21 maggio 1944, missione 1076: intensa attività Flak sull’ “Amaseno road” 
      notati quattordici autocarri nemici in movimento. 
       
      23 maggio 1944, missione 1092: viene avvistato un convoglio di ambulanze 
      che da Amaseno si reca a Frosinone. 
       
      26 maggio 1944, missione 1126: viene attaccata una strada secondaria che 
      porta a Ceccano. 
       
      28 maggio 1944, missione 1160: viene segnalato un intenso e accurato fuoco 
      dalla postazione Flak della Palombara a Colle Antonelli. 
       
       
      Capitano Richard H. Fisher 
      matricola 0-428809 
      315° Fighter Squadron, 324° Fighter Group, aereo P40 F numero : 41/ 19765, 
      originario di Washington è sepolto al cimitero americano di Nettuno.  
      20 maggio 1944, missione 1056 : “ … tra le 10.50 a.m. e le 12.54 a.m. 
      sette P40 del 315 decollano in missione di perlustrazione seguita da una 
      azione contro la linea del fronte nei pressi di Terracina dove vengono 
      lanciate sette bombe. Successivamente sulla rotta numero sei verso Ceccano 
      circa venti camion nemici vengono sorpresi tra i paesi di Prossedi e 
      Maenza, uno di questi che trasportava benzina dopo essere stato colpito 
      esplode,gli altri vengono danneggiati.  
      Vicino Frosinone il caposquadriglia Fisher comunica al Tenente Lander di 
      prendere il comando perché ha subito un guasto alle sue mitragliatrici, 
      alle 11.50 a.m. Fisher riferisce che il malfunzionamento è risolto 
      riprendendo così il comando. Alle 12.00 a.m. gli aerei di nuovo in 
      formazione da combattimento virano a sud di Giuliano di Roma in posizione 
      G 40-26 quando vengono avvistati dieci autocarri sulla strada tra Villa 
      Santo Stefano e Giuliano di Roma.  
      Dopo averli attaccati in picchiata, i P40 uno dietro l’altro sorvolano 
      Villa Santo Stefano ma dal suo aereo alle 12.00 a.m. il Capitano Fisher 
      via radio comunicherà un probabile nuovo guasto. Seguito da una scia 
      bianca con un ampia virata si dirigerà a nord est di Giuliano di Roma per 
      poi scomparire completamente dietro Siserno. alle ore 12.30 a.m. il suo 
      aereo sarà visto schiantarsi oltre Osteria di Castro ….” 
       
       
      Sottotenente Matthew M. jr O’ Brien 
      316° Fighter Squadron, 324° Fighter Group. 
      Matricola : 0-693227 
      Città di provenienza: Buffalo, New York. 
      arruolato il 5 novembre 1942 
      classe 1923, ha frequentato la High School, non coniugato era impiegato 
      nelle 
      Ferrovie. Frequenta la” Preflight Unit “della US Air Force a Miami per 
      quattro mesi, superati gli esami viene ammesso alla “Preflight School” 
      presso l’aeroporto di Maxwell a Montgomery in Alabama. Viene abilitato al 
      volo con l’aereo Ryan PT 23 alla “Primary Training School” ad Harrisfield 
      in Missouri ma ottiene il brevetto di volo o BT13 solo alla “Basic Flying 
      School” di Dothan in Alabama dopo dieci ore di volo su un vecchio P40. 
      Finalmente, completata la sua istruzione al volo e con il grado di 
      Sottotenente, Viene preparato al combattimento alla “Overseas Training 
      School” a St. Petersburg in Florida. Poco dopo da Camp Patrick Henry 
      partirà per l’Europa a bordo di una “Liberty Ship ” e dopo tre settimane 
      sarà in Italia, a Napoli. Il sei maggio 1944 avrà la sua prima missione e 
      il 13 maggio dopo sette giorni verrà purtroppo abbattuto. Il 29 maggio 
      1945 abbiamo sue notizie dai cieli della Florida ai comandi di un P47 d 
      matricola 43-25288, dato confortante che ci conferma il suo ritorno in 
      patria sano e salvo. Rimarrà ancora in servizio nell'Us Air Force con il 
      904° Bomb Unit di stanza presso la base di Kissimmee in Florida. 
       
      Sottotenente James P. Dealy 
      316° Fighter Squadron, 324° Fighter Group. 
      Matricola 0-812058 
      Città di provenienza : Nashville Tennessee. 
      arruolato il 15 settembre 1942, classe 1916 ha frequentato un anno di 
      College per essere poi impiegato come tecnico topografico,prima della 
      partenza per il fronte sposerà Lois. 
      Unico caso nella seconda guerra mondiale avrà quattro fratelli nel Us Air 
      Force, il fratello Jack e Bob vennero assegnati addirittura al 314°. 
      Nel 1942 a Miami al corso pre piloti incontrerà Clark Gable, anche lui 
      promettente cadetto. Nell’ottobre 1943 ottiene grado e brevetto e in nave 
      giunge ad Oran in nord Africa. Poi con un C47 atterra in Sicilia e infine 
      con il suo P40 numero 79 il 9 marzo si unirà a Cercola al suo Squadrone. 
      il 14 marzo avrà la sua prima missione, il 13 maggio invece sarà colpito 
      in combattimento con un attivo di quarantatre uscite in combattimento tra 
      cui quella del 29 marzo 1944 , quando abbatté il suo primo FW190. 
       
      Sottotenente Douglas R. Plowden jr 
      Matricola : 14040687 
      Citta di provenienza : Sumter ,South Carolina 
      arruolato il 31 maggio 1941, classe 1919 si diplomerà al 
      College,occupazione attore, non coniugato. 
      Il 9 dicembre 1943 alla sua cinquantunesima missione sul suo North 
      American A 36 matricola 42-84078 Douglas "Pluto" R. Douglas jr, decollato 
      dall’aeroporto di Pomigliano, viene abbattuto vicino Tivoli in posizione G 
      0115 alle ore 11.27 a.m. l’ Hptm Julius Meimberg del 5./jg53 lo 
      ringrazierà, questa sarà infatti la sua trentatreesima vittoria. Douglas 
      tornerà alla sua unità, il 525° Figther Squadron dell'86° Fighter Group a 
      Marcianise il 24 maggio 1944, due giorni dopo l'abbattimento di William 
      Everitt suo compagno di Squadrone. 
      Riprenderà a volare dall'aeroporto di Pisa nell'inverno del 1944 su un 
      aereo P47 Thunderbolt. 
 
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