16  CROCIATI FALCHI E DIAVOLESSE

IL 324° GRUPPO CACCIA
Il 23 dicembre 1942 il 324° Gruppo Caccia giunse con i suoi P40 ad Amyria in Egitto a bordo della nave “H.M.S. Deneva”, iniziando così la sua lunga avventura africana. Dopo cinque mesi di intensi combattimenti, il 2 giugno 1943, lo squadrone trasferito all' aeroporto di El Haouaria sarà tra quelli prescelti per dare appoggio alle forze impegnate ad invadere la Sicilia nell'ambito dell’ operazione Husky. La liberazione dell’isola, il 27 ottobre 1943 porterà la squadriglia a muoversi per Napoli, mentre il mese successivo dalla sua nuova base di Cercola decollerà quasi quotidianamente per affiancare lo sforzo degli uomini della fanteria sulla linea “Gustav”. Il 10 maggio 1944 il 324° avanza ancora, giungendo a Pignataro dove rimarrà fino al 7 giugno.
In questo aeroporto le missioni aeree del gruppo si faranno piu frequenti dopo l'intensificarsi dei combattimenti di terra a sud di Frosinone. I Curtiss P40 inizieranno le loro azioni alle ore 0650 per terminarle il pomeriggio alle 1600 per un totale di sei missioni al giorno mentre ogni pilota ne avrebbe completate almeno ottanta prima del suo ritorno a casa. Durante la campagna d’Italia gli squadroni del 324° vennero ricordati in ben due citazioni presidenziali per le azioni del 12 maggio 1944 su Montecassino e del giorno seguente su Castellonorato. Il gruppo aereo era formato da tre squadroni, il 314° denominato “i Falchi”, il 315° “i Crociati” e il 316 ° “le Diavolesse” .
Al termine del conflitto l’unità avrà abbattuto sessantasette aerei nemici oltre ai quarantacinque danneggiati. In tutte le sue missioni sui cieli di Ciociaria la squadriglia utilizzo l'aereo Curtiss P40 che con i 1300 cavalli del motore Packard/Rolls-Royce v 1650-1 Merlin raggiungeva la velocità massima di km/h 595. Il suo armamento comprendeva sei mitragliatrici da 12,7 millimetri oltre a due bombe da 318 kg. I piloti del 324° definivano il loro aeroplano " pigro" soprattutto quando per la sua pesantezza faticava a prendere quota, ne criticavano anche la cloque considerata "maledettamente nervosa" , nulla a che vedere con quella del successivo agile P51.
Tuttavia questo velivolo il suo dovere lo fece e sempre nel migliore dei modi.

Il dodici aprile 1944 una squadriglia del 316° sorvolerà per la prima volta la valle dell’Amaseno e in prossimità di Villa Santo Stefano l'attenzione del suo caposquadriglia sarà attirata dalle numerose croci verniciate sui tetti delle Case Nuove. I simboli convenzionali indicavano l'indiscutibile presenza di un ospedale militare, l' Hauptverbandenplatz della Novantesima Divisione.
A fine missione nel suo rapporto saranno riportate le testuali parole “ Building with red crosses well marked on the roofs”, edificio con croci rosse ben segnalate sui tetti. La presenza dell’unità sanitaria a Villa Santo Stefano divenne di fondamentale importanza per la salvaguardia del paese e di chi lo abitava infatti i piloti americani nel rispetto delle regole che imponevano di non colpire i centri della croce rossa non operarono mai azioni ostili nei confronti del paese.
Si limitarono a volte solo per gioco a sorvolarlo a bassissima quota per poi scomparire veloci dietro i monti. Una di queste occasioni vide protagonista Vincenzo Malizia mentre era in compagnia della fidanzata Maria.
La ragazza stava conversando amichevolmente con delle amiche,quando in lontananza comincio ad udirsi il rumore cupo di un P40.
Memore dei bombardamenti di Ceccano il giovane reduce cercò immediato riparo dietro un cespuglio mentre accanto a lui le ragazze per nulla intimorite continuarono a conversare indisturbate.
Solamente dopo il passaggio dell'aereo le giovani si rivolsero a Vincenzo incoraggiandolo “ Dai alzati non è successo niente qui siamo a Villa … ”.
Tutte le missioni del 324° furono coordinate dal colonnello Leonard C. Lydon, comandante del gruppo, che perirà in combattimento nel 1945 sui cieli di Germania. Prima di ogni decollo l'ufficiale superiore non si stancava mai di raccomandare ai suoi piloti due procedure secondo lui essenziali.
La prima era denominata “Scattered” , consisteva nel liberarsi per precauzione delle bombe non utilizzate prima di ogni atterraggio, per cui prima di raggiungere la base tutti gli ordigni inesplosi venivano liberati in mare senza un obiettivo particolare. L’altra raccomandazione riguardava invece il comportamento da adottare in caso di fuoco nemico o problemi al motore.
In entrambi i casi il pilota in evidente difficoltà doveva essere assistito immediatamente da un compagno che, ala contro ala, lo avrebbe affiancato fino all’atterraggio. Se invece il pilota fosse stato costretto a paracadutarsi in territorio nemico, l’aereo di supporto oltre a riportare sulla mappa il punto approssimativo dell' atterraggio in caso di pericolo aveva anche l’obbligo di proteggerlo utilizzando se necessario le mitragliatrici. Nelle sue missioni il 324° impegnava in genere otto aerei divisi equamente tra i suoi tre gruppi e così avvenne anche quel fatidico 13 maggio 1944 quando già dalle sue prime luci iniziò ad andare tutto per il verso sbagliato.
A cominciare dall’incidente occorso al Capitano Selmer che cadendo malamente dalla jeep che lo stava conducendo al campo di volo si era procurato la frattura del braccio destro. L’infortunio causò l’utilizzo della sua riserva, Arthur Kusch del 315°, così all'insaputa di noi mortali il destino stava iniziando inesorabilmente a tramare la sua tela. Negli hangar di Pignataro, intanto, nell'attesa di ricevere le mappe di sopravvivenza della zona da sorvolare e il caricatore della Colt 45, i piloti destinati alla missione di quel sabato infuocato si concentravano sulle traiettorie di avvicinamento che il caposquadriglia, il maggiore Edward A. Sanders jr, stava tracciando sulla lavagna. Per quella azione, la numero 302 verranno utilizzati otto P40 divisi in numero pari tra il 315 e il 316.
L’ora del decollo fu stabilita per le ore 1200 con un impegno tattico dei caccia compreso tra le 1230 e le 1400, il loro target sarebbe stato l’area a est di Ferentino mentre l’ obiettivo secondario l’immancabile Cassino.
Il giorno precedente il controspionaggio britannico aveva promosso un’accurata indagine su un sospetto movimento di aerei tedeschi FW 109 che dall’aeroporto di Piacenza, dopo una sosta in Umbria, si stavano avvicinando minacciosamente sulla “Gustav”. Gli inglesi erano particolarmente preoccupati in quanto la presenza della Luftwaffe in centro Italia,sia per mezzi che per uomini, era inconsuetamente rara. In serata il livello di guardia aumentò per cui fu deciso infine di inviare un aereospia della Raf che celato dalle ombre della notte avrebbe fotografato inosservato le sigle degli aerei nemici per determinarne il numero e il tipo.
I dati riportati confermarono la presenza in zona del III / JG 53 Gruppen comandato personalmente dal suo comandante, il Maggiore Franz Gotz , asso dell’aviazione tedesca. Vista la gravità della situazione furono allertate tutte le squadriglie alleate impegnate nelle missioni del giorno seguente.
La comunicazione giunse anche al Trecentoventiquattresimo che raccomandò una attenzione particolare a tutti i suoi piloti. Alle ore 1200 le pesanti eliche dei P40 iniziarono a girare mosse dagli agili motori Rolls Royce.
I meccanici, ognuno per aereo, sfidandosi tra loro, li facevano rombare sulla pista fino all’inverosimile. In quel frastuono infernale gli armieri sotto le enormi ali urlando tentavano inutilmente di spiegare ai piloti il funzionamento delle mitragliatrici che avevano caricato secondo le loro indicazioni.
Infatti alternando i proiettili ordinari con i traccianti o gli esplosivi ogni pilota "personalizzava" le sue calibro cinquanta in base alla missione da affrontare. Inoltre per scaramanzia le fedeli Browning erano battezzate con curiosi nomignoli. Ad esempio quelle dell’asso “JT” Johnson montate sul suo aereo “Habemus corpus II” erano denominate Steam, Dry e Clean quelle di destra e Srew, Stew ed infine Tatoo quelle di sinistra.
A mezzogiorno la giornata si aprì, divenendo presto luminosa e anche parecchio calda come lo sarebbe stato tutto quel maggio 1944.
Raggiunta la lunga striscia di asfalto il cappellano Richard Power iniziò a benedire la partenza degli equipaggi mentre Dusty il cane, mascotte del gruppo, abbaiava felice ad ogni decollo.
Quando la pista divenne solo un ricordo i P40 si ritrovarono in formazione alla quota stabilita pronti per l’avvicinamento all’obiettivo.
Armando invece in basso, molto più in basso stava bevendo un po’ d’acqua dalla bottiglia che legata ad una fune aveva lasciato penzolare all’ombra del pozzo. Erano già alcune ore che di buona lena era intento a lavorare su una porzione di terreno dello zio Felice consapevole che quel giorno il caldo sarebbe divenuto opprimente. Qualche chilometro più in alto il Maggiore Ed Sanders ai comandi del suo Curtiss numero 40 aveva intanto ordinato ai suoi uomini il silenzio radio, la squadriglia era in caccia.
Matthew O’ Brien aveva dormito poco, quella del giorno dopo sarebbe stata la sua seconda missione e la notizia di un asso tedesco e dei suoi piloti in zona di operazioni lo avevano parecchio turbato, al punto che passò tutta la notte ad osservare il palo centrale della sua tenda.
Come ognuno dei suoi colleghi teneva aperta la carlinga dell’aereo approfittando dell’aria frizzante delle alte quote, unica necessaria precauzione la cinghia del sedile ben allacciata. Gli stessi pensieri dell’inquieto pivello angosciavano anche Arthur Kusch assegnato a quella missione inaspettatamente.
In posizione quattro nella sezione “Leader”, defilato dietro di loro, alla sua quarantatresima missione, c’era James Dealy con il P40 numero 79.
Il veterano anche se molto più tranquillo dei suoi due compagni non smetteva mai però di scrutare l’orizzonte avendo imparato con l'esperienza che le cattive sorprese arrivano sempre quando meno te le aspetti.
Dopo pochi minuti la squadriglia giunse in prossimità dello scalo ferroviario di Ferentino e il Maggiore Sanders seguendo la procedura riattivò la radio ordinando la manovra per lo sgancio delle bombe.
Il suo ordine raggiunse gracchiando le cuffie dei piloti “Duck left !! Duck left!!! “ Tutti a sinistra !! Tutti a sinistra !!” all’unisono tutti risposero “ Go !!’’ “Affermativo!!”.
Picchiando i P40 perfettamente allineati lanciarono le loro bombe per poi allontanarsi veloci dopo aver ripreso quota. Dietro di loro l’ufficiale osservatore dopo aver verificato il buon esito della missione, sempre via radio, diede il sospirato ordine di rientro. Fu allora che sfrecciando verso sud est gli aerei uno dopo l’altro, compiuto il loro dovere, iniziarono la manovra che li avrebbe riportati a Pignataro.
Ma alle ore 13.30 improvvisamente senza aver avuto neppure il tempo di completare il loro riallineamento, da ore otto, gli aerei alleati vennero investiti dal fuoco di dieci aerei tedeschi ME 109.
I caccia stavano offrendo copertura a venti bombardieri FW109 che, molto più lenti, avanzavano da nord est celati quasi completamente dalla luce del sole.
Il Maggiore Gotz come un fulmine picchiò per primo sul gruppo colpendo a morte l’aereo più indifeso, quello di Kusch. Il resto dei caccia fece tutto meno che esitare e seguendo la scia dei traccianti del loro comandante infierì sulle prime sagome che ebbero a tiro ed anche per Dealy e O'Brien ci fu poco da fare.
La rapida azione avversaria aveva sorpreso i tre piloti tagliandoli fuori dalla squadra.
Arthur Kusch, la prima delle vittime, non aveva avuto nessuna possibilità di reagire, la pesante ombra del FW 109 di Gotz si era abbattuta su di lui rapidissima travolgendolo senza scampo.
Il suo P40 investito da una pioggia di proiettili aveva iniziato a lasciare una opaca scia di fumo mentre l’olio bruciato e il rosso del sangue avevano tinto il vetro della carlinga. Il pilota era rimasto ferito gravemente e i giri del suo motore avevano iniziato pericolosamente a perdere progressivamente regolarità.
Dealy invece ad ore undici tentava di sfuggire alla caccia dei due ME 109 che imperterriti continuavano a rimanergli alle calcagna.
La scarica di mitraglia che attraversò completamente il suo piano di coda gli fece dimenticare una volta per tutte il suo ritorno alla base.
A ore sei anche “OB” O’ Brian pensava la stessa cosa soprattutto dopo aver tentato di proteggersi inutilmente dentro un cumulo di nuvole dal caccia tedesco che lo colpirà a morte. Solo dopo aver vinto il panico iniziale la squadriglia americana iniziò a mostrare i denti. Il Tenente Schiewe si portò sul primo caccia tedesco che riuscì a puntare abbattendolo senza pietà, il pilota incolume si sarebbe lanciato successivamente nella zona di Carpineto.
Il Maggiore Sanders invece ad ore dieci crivellò un altro ME109, i suoi pezzi volarono via impazziti. Proprio in quel momento il Tenente Olsen, come riportato dal suo rapporto, vide per l’ ultima volta il P40 di Arthur Kusch annaspare seguito da una scia di fumo nero verso ore quattro. Poco distante da lui come per vendicarlo il Tenente King abbatteva un altro ME109, il suo pilota si paracaduterà nel vuoto. Incontenibile King mitraglierà anche un altro ME 109 facendo volare lontano parte della sua cabina, al ritorno a Pignataro nel suo rapporto reclamerà un ME109 distrutto e uno danneggiato.
Pochi minuti dopo gli assalitori color grigio ardesia con il loro simbolo, l' asso di picche, così come erano venuti, andarono via puntando famelici i loro musi verso il litorale Laziale.
L’esito dello scontro sarà così riassunto dal caposquadriglia : “…..Tenente Schiewe del 315 un ME109 distrutto, Tenente King del 316 un ME 109 distrutto e uno danneggiato, Maggiore Sanders del 315 un ME 109 probabilmente distrutto, i Tenenti Kusch del 315, O’Brien e Dealy del 316 dispersi in azione …..”.
In quel miglio di cielo dopo quel massacro la squadriglia, sebbene confusa, cerco di ricomporsi.
La consuetudine voleva che gli aerei colpiti fossero scortati da un P40 fin dove era possibile, ma quel giorno, visto il numero di aerei colpiti, tutta la squadriglia fu costretta a rientrare alla base.
Intanto abbandonata prima dei loro compagni la terrificante area di combattimento procedendo a fatica i tre aerei danneggiati avevano iniziato la manovra di avvicinamento alla base. Avrebbero utilizzato il migliore dei corridoi di evacuazione o “Escape Route “ che gli avrebbe in teoria permesso di tornare più rapidamente a casa. Le distanze aeree, rispetto a quelle terrestri, sono notevolmente ridotte per cui dai cieli di Ferentino fino alla valle dell’ Amaseno il percorso fu brevissimo e il caso volle che, forse unica volta in quel conflitto, tre aerei agonizzanti caddero quasi uno vicino all’altro.
Dealy fu il primo a farlo lanciandosi oltretutto con un paracadute due misure più grande di lui sopra Pisterzo. O’ Brien invece avrebbe fatto sprofondare il suo P 40 F dentro la Macchia di Villa Santo Stefano per atterrare dopo aver ondeggiato nell’azzurro cielo di maggio tra i piselli della famiglia Pisa.
Il destino peggiore fu riservato al povero Kusch che perirà schiantandosi con il suo aereo tra Patrica e Ceccano. Intanto al Quarallo quello che fino ad momento prima era stato un pacifico sabato di primavera con il silenzio rotto solo dal canto delle cicale iniziò a mutare e purtroppo tragicamente quando i sinistri rumori dei motori dei caccia iniziarono ad udirsi dietro Giuliano di Roma.
Armando stava pranzando all’ombra di un melo quando asciugandosi gli occhi dal sudore con un lembo della camicia,vide, appena in tempo, sfrecciare sopra di lui l’aereo di Dealy che seguendo la via degli Spagnoli si dirigeva verso Pisterzo.
L’aereo scomparve dietro i monti lasciando nell’aria uno sgradevole odore di olio bruciato, l’inferno era appena iniziato. Subito dopo un altro P40, impazzito più del primo puntò quasi capovolto la vicina macchia, una delle sue ali simile alla pinna di uno squalo affondò nel verde mare di alberi.
Il fragore degli arbusti schiantati dal peso dell’aviogetto rimarrà per lungo tempo nella memoria degli increduli presenti.
Lo sguardo di Armando andava da un punto all’ altro dell’orizzonte occupato da quelli che sembravano cento aerei alleati poi sempre più distintamente iniziò a delinearsi nel cielo, a poca distanza da lui, una sagoma che procedeva molto più lenta dei due aeroplani appena scomparsi.
Il giovane, coprendosi il volto dal riverbero del sole, vide allora un candido paracadute che volteggiando si stava avvicinando a quella contrada.
Il pilota, appeso a quel coso, gli sfilò di fronte mentre tirando le funi a sè cercava di spingere la calotta del paracadute oltre le creste degli alberi del boschetto che costeggiava il Monticello. Fu proprio allora che O’Brien, inaspettatamente, forse per darsi forza o perlomeno spezzare parte della tensione che aveva accumulato fino a quel momento, prese a salutare il contadino.
All’inizio Armando non comprese bene quel gesto, ma poi … sì !!
Il pilota stava agitando il braccio, quello era proprio un saluto ed era rivolto a lui!!
Correndogli dietro Armando ricambiò il gesto mentre Matthew atterrava bruscamente nell’orto di Luigi e Angela Pisa.
Il pilota scomparve sotto l’immensa vela che, persa portanza, lo ricoprì delicatamente.
Appena libero anche se zoppicando mosse via quasi come una lepre verso la bassa macchia vicino la casa di Zia Cesira. Anche i tedeschi alle Mole assistettero a quello straordinario evento e contattato il Comando in paese si prepararono ad arrestare gli intrusi.
Nel frattempo il Quarallo e i Porcini si erano riempiti di persone, ognuno dava la sua spiegazione dei fatti cercando una ragione per non impazzire per quello che stava accadendo. Alzando un denso polverone a velocità sostenuta comparve dagli “Var gli Pepe” un autocarro tedesco carico di soldati, sopraggiunti appena un momento dopo che Felice Reatini, aiutato dal fratello Romano, provvidenzialmente aveva nascosto il paracadute di O’ Brien.
La vela aveva ripreso vigore iniziando a rotolare sui prati del Quarallo fino a quando trattenuto dai rami di un albero di pero si era finalmente arresa.
Solo allora Felice comprese il pericolo che quella cosa nel suo terreno poteva causare e per proteggere i suoi familiari, svelto la spinse nel fondo del pozzo.
La delicata tela in seguito avrebbe fornito graziosi capi in seta per tutte le giovani della contrada. Intanto i granatieri della Novantesima Divisione, minacciosi, scesero dal loro autocarro LKW , era la prima volta che i paesani li vedevano cosi determinati, ma era anche la prima volta che i tedeschi vedevano da quelle parti cosi tanti nemici. Un ufficiale riferendosi ad O’ Brien prese ad urlare in tedesco “flutt! Flutt!!”, era sua intenzione catturare il pilota a tutti i costi.
Per rendere più incisiva la sua azione ordinò ai suoi uomini di radunare vicino ad una quercia, spingendoli con il calcio dei fucili, tutti i civili costringendoli così a parlare. Ma la reazione dei santostefanesi,o per paura o per quello strano coraggio che spesso nasce spontaneo in queste circostanze, fu unanime, irremovibile: nessuno confessò.
Impotenti di fronte l’invalicabile muro di silenzio i tedeschi arrischiarono allora un gesto estremo strappando dalle braccia di Luciola, la moglie di Aroldo Tranelli il piccolo Giovanni di appena un mese. L’azione, ignobile, non portò a nessun risultato, anzi i due genitori, pur disperandosi nel vedere il loro piccolo allontanarsi tra le braccia di un tedesco, risoluti si opposero ad ogni delazione.
Esterrefatti i civili furono frettolosamente allontanati dal luogo dell’atterraggio mentre i tedeschi andati in perlustrazione tornavano delusi per la vana ricerca. Prima di andarsene i granatieri, però, lasciarono a presidio della zona due sentinelle, lo spettacolo era finito. Lo capì anche Matthew O’Brien che nascosto tra i cespugli stava sudando copiosamente sia per la paura che per il caldo afoso. Nonostante il corso di sopravvivenza in caso di abbattimento in territorio nemico, superato anche brillantemente, il suo umore non era tra i migliori e la situazione che stava vivendo non certo facile. Ironicamente considerò che, sebbene in avaria, poco prima osservava quella valle con il vento in faccia mentre ora accovacciato dentro una spinosissima macchia era martoriato da una moltitudine di fastidiosissime mosche.
Non parliamo della caviglia il cui dolore iniziava a farsi lancinante. Assolutamente convinto che almeno un tedesco fosse rimasto in zona decise per il momento di rimanere dove era.
Senza far rumore, si piegò da un lato. Estrasse con molta difficoltà dai pantaloni un foglietto di carta e con un mozzicone di matita trascrisse la data, l'ora e le coordinate approssimative del suo ultimo punto carta.
La stessa difficoltà fu necessaria per riporre tutto accuratamente in una tasca laterale dove inaspettatamente trovò una barretta di cioccolato già iniziata, la sua cena. La procedura in casi del genere proibiva al pilota almeno inizialmente di prendere contatto con i civili Italiani, quelli che loro,gli americani, chiamavano gli “Ities” per cui anche la mattina del giorno dopo Matthew continuò a rimanere nascosto alla base del Monticello. Era riuscito con un po’ di fortuna a trovare qualche sorso di acqua anche se sporca in quelle fessure della pietra che sovente si trovano nelle megalitiche rocce che giacciono ai piedi dei Porcini, ma era la fame che con prepotenza incominciava a farsi sentire.
Fu solo dopo alcuni giorni che sottraendosi alla vista dei granatieri che non si erano spostati di un palmo da quell’area Armando incoraggiato da quel saluto fraterno e non avendo dimenticato di come si vive nascosto da tutto e da tutti, iniziò seguito da alcune donne, che pensava potessero rassicurarlo, a cercare O’Brien. Infilandosi in quell’ intricato dedalo di cespugli spinosi Armando cauto prese a sussurrare “ Pilota americano ….pilota americano ….. “. Matthew nel frattempo si era portato verso la parte alta del Monticello e tra gli alberi nascosto osservava l’intraprendente italiano che sottovoce pronunciava qualcosa di incomprensibile e dietro più spaventate di lui attaccate le une alle altre alcune commari. Ma furono i mammocci scalzi e mocciolosi, seduti all'inizio della radura, a convincere il pilota della buona fede di quegli strani “Ities”.
Silenziosamente scese verso di loro e avvicinandosi ad Armando gli disse in un incerto italiano “ … Pilotta amaricano … ”, poi senza un minimo di etichetta trangugiò avidamente il fresco latte strappato dalle mani delle sorridenti donne. Armando a gesti gli fece capire di seguirlo e così zoppicando Matthew lasciò la macchia e si affidò a quella brava gente.

L’azione aerea del 13 maggio 1944 si svolse in tre distinte fasi.
La prima iniziò intorno alle ore 13.30 sopra Ferentino quando otto aerei P40 del 324° Fighter Group si scontrarono con una formazione di circa dieci BF 109 color grigio ardesia e venti FW 190 contrassegnati dal simbolo di un’ asso di picche, erano gli aerei del III / Jadge Schwader 53 e dello Stab / JG 4 .
Nel combattimento aereo tre P40 verranno abbattuti anche se i tedeschi ne avrebbero rivendicato, in seguito, cinque. A sua volta il 324° Fighter Group reclamerà cinque aerei tedeschi abbattuti, un pilota tedesco ucciso e uno ferito. Il gruppo aereo tedesco protagonista dei combattimenti era stato definito sin da subito dal controspionaggio inglese come molto aggressivo.
Il 849° Signal Intelligence Service infatti con il suo distaccamento “D” aveva spiato la formazione nemica sin dal giorno precedente quando un aereo da ricognizione aveva fotografato gli aerei e le loro sigle.
Si trattava di circa venti FW 190 atterrati a Viterbo provenienti dall’ aeroporto numero 720 di Piacenza, le loro ali erano così siglate :
Con colore giallo i numeri 1 2 3 4 5
Con colore bianco le lettere V H K F G L
Con colore nero i numeri 2 3
Con colore nero le lettere L K S O B Z .
Grazie a queste informazioni iniziò subito la ricerca dei nomi dei piloti tedeschi legati a quei velivoli e coinvolti in quella che appariva la prima e forse ultima grande azione aerea della Luftwaffe in centro Italia.
Il comunicato segreto inglese parlava “… dell’ unno che finalmente era uscito dalla sua tana …”. Ma nella stessa giornata poco prima dell’incontro con i P40 americani il III / JG 53 con i suoi venti BF 109 comandati direttamente dal suo Gruppe Kommandeur Maggiore Franz Gotz dopo il decollo da Viterbo aveva avuto, come preludio a quella giornata, un breve ma intenso scontro aereo con gli assi della Raf. Infatti gli aerei tedeschi vennero attaccati a 4500 metri tra le 12.40 e le 13.23 da otto Spitfire che avevano cercato prede tra i FW 190 scortati dai caccia. Tutto l’attacco durò circa quattro minuti compresi tra i due veloci passaggi che i Spitfire fecero prima di allontanarsi virando verso il mare.
Ma quella che sembro una scaramuccia costo invece ai tedeschi del III / JG 53 il FW 190 g8 numero 190068 del Leutnant Gunther Entress che nel combattimento perse la vita e il FW 190 a6 numero 470444 che in fiamme venne abbandonato dal Leutnant Gerhard Gartner che potè salvarsi solo dopo essersi lanciato con il paracadute. La seconda azione avvenne più o meno alla stessa ora,intorno alle ore 13.30, ma stavolta sopra i cieli di Pontecorvo dove il 92° Squadrone Raf “East India” di stanza a Venafro con i suoi Baltimore stava bombardando l’area intorno a Pico. L’attenzione degli inglesi si concentrò sui tedeschi quando ad ore tre apparvero venti FW 190 reduci da un bombardamento vicino Minturno, gli Spitfire VIII di scorta ai bombardieri inglesi puntarono la squadriglia tedesca che per non destare sospetti volava simulando perfettamente una formazione americana, il capo squadriglia “GJ” Cox sullo Spitfire JF 709 , guidò l’attacco danneggiando in due successivi passaggi ben due FW190 di cui uno fu visto schiantarsi in seguito tra le fiamme vicino Esperia. Invece il Tenente australiano Jones, Spitfire JF 589, picchiando sul resto dei tedeschi festeggerà la sua ultima missione con un altro FW190. Durante il combattimento sia il Tenente Victor Boy, JF 716 che il neozelandese “ CD” Young, JF 615, danneggeranno lo stesso aereo portando così a 400 le vittorie dello squadrone Raf Wing 422 .
Il duello aereo terminerà solo quando il Tenente Montgomerie, JF 493, colpirà l’ennesimo FW 190.
La terza ed ultima fase si svolse invece molto più tardi in direzione della Toscana quando intorno alle ore 1730 gli aerei tedeschi reduci dei due precedenti combattimenti stavano tentando di raggiungere le loro linee ma, purtroppo per loro, non prima di aver affrontato l’ostilità di un altro squadrone Raf, il 145°. Il primo aereo tedesco venne colpito a nord del lago di Bracciano, era l’aereo del Leutnant Rolf Reihlen dell’ 8/ JG 53 che ferito si lancerà verso Capranica, il suo era il BF 190 g6 numero163169 contrassegnato con il numero nero 9. A questo punto della iniziale formazione tedesca erano rimasti solo nove BF 109 e quattro FW 190, ma il Tenente inglese Sterling del 145° diminuirà ulteriormente il loro numero distruggendo un già crivellato BF 109 mentre stava dirigendosi con il suo gruppo verso Arezzo. Ma l’azione inglese incessante continuerà ancora e il Tenente “Duke” Neville numero 6 in formazione danneggerà seriamente un altro ME 109.
Intorno alle 17.15 verrà colpito anche il Leutnant Horst Wegener del 7/ JG 53, il suo BF 109 G6 verrà trafitto simultaneamente dai colpi di due spitfire,il pilota ferito riuscìra a lanciarsi dall’aereo in fiamme.
Al termine della sanguinosa giornata affamati ancora di vittorie gli inglesi con il Tenente Mac Donald numero 5 in formazione sempre vicino ad Arezzo distruggeranno il BF 109 del Leutnant Josef Effelberger , numero 1663343, sigla 7 nero del 8/ JG 53 spezzandogli di netto la coda.
Ma la vittoria finale del 145 Squadrone sarà quella del Tenente Lorimer numero 2 in formazione che fara’ precipitare l’ultimo ME 109 intorno alle 18.00.
Della decimata squadriglia tedesca chi non riuscì ad atterrare ad Arezzo fu costretto a raggiungere piste alternative come il Leutnant Werner Walk che punterà l’aeroporto di Artena mentre quattro BF 109 in difficoltà preferiranno l’ aeroporto di Orvieto.
Gli eventi descritti sono stati riportati in base ad attente ricerche svolte presso archivi tedeschi e americani ma tenendo soprattutto conto della testimonianza di uno dei protagonisti, il Sottotenente James Dealy. Tuttavia un' ultimo documento giunto dall'agenzia delle ricerche storiche dell' US Air Force di Maxwell in Alabama precisa alcuni passaggi della missione del 13 maggio 1944 del 316° Fighter Squadron. Per l' unità questa sarà l'azione numero 250, vi parteciperanno come sappiamo i Tenenti King, O'Brien e Dealy a loro dobbiamo aggiungere il Sottotenente George Porter fino ad ora sconosciuto. Le sigle dei loro Curtiss P40 saranno: 72,73,91 e 90.
La loro missione inizierà alle 12.30 con decollo da Pignataro e ritorno allo stesso aeroporto un'ora e quaranta minuti dopo, alle ore 14.10.
I quattro caccia sarebbero stati utilizzati per una ricognizione armata tra Valmontone e Ceccano alla ricerca di treni nemici lungo il tratto ferroviario.
Il loro secondo target invece comprendeva le aree di Esperia, S. Oliva e Pico. Alle 13.30 , in piena missione, la formazione aerea sarà aggredita dai caccia tedeschi sopra Ceccano e dal rapporto del Tenente King, oltre alla conferma dell' attacco al 91 di Dealy e al 73 di O'Brien, conosceremo anche un elemento nuovo che riguarderà Porter o meglio un'ala del suo aereo crivellata da un ME 109. Osservando i tre aerei in difficoltà allontanarsi dal combattimento King aggiungerà nelle sue note che Dealy probabilmente a causa della sua radio fuori uso dal quel momento in poi non invierà più messaggi. La funesta missione si concluderà con il destino di Dealy e O'Brian che ben conosciamo invece per Porter sebbene danneggiato ci sarà il ritorno a Pignataro.


Sottotenente Arthur F. Kusch jr
315° Fighter Group
Matricola 0 / 754143
Aereo P40 L matricola 42 / 10595, quello abbattuto era il suo secondo aereo perché il 24 marzo 1944 all’aeroporto di Cercola durante un decollo mal riuscito aveva danneggiato in maniera irreparabile il suo primo P40 .