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       9  NATALE 1943 
       
      Nel dicembre 1943 giunse al comando tedesco l’Oberst Hans Oehring, 
      comandante del Battaglione di Artiglieria della Divisione, quale occasione 
      migliore per mostrare all’alto ufficiale il lavoro svolto fino ad allora 
      dalla Guarnigione dell’ “Ort Villa Santo Stefano”.  
      La prima disposizione di Weiss infatti risaliva al 22 ottobre 1943, quando 
      impose la registrazione delle targhe di tutti gli autoveicoli presenti in 
      paese, poi il mese successivo dopo aver eseguito le primi requisizioni 
      alle Fontanelle aveva introdotto senza molto successo il Marco di 
      occupazione. 
      In dicembre, invece, ordinò il sequestro delle armi e degli apparecchi 
      radio inasprendo oltremodo le norme sulla disciplina per i cittadini e lo 
      stesso mese, mentre i suoi uomini erano impegnati a requisire tutto il 
      materiale della scuola elementare, comprese le cattedre,obbligava gli 
      automezzi alla schermatura dei fari, altrimenti visibili nella notte dagli 
      aerei alleati. 
      Prima di andarsene il colonnello, visibilmente soddisfatto dei risultati 
      raggiunti, concesse finalmente quello che molti al Comando stavano da 
      troppo attendendo, delle vere esercitazioni di artiglieria.  
      Infatti da quando avevano abbandonato il fronte di Salerno gli artiglieri 
      della Göring non avevano più utilizzato nessuno dei loro pezzi anche se 
      continuavano a dedicargli una manutenzione maniacale. 
      Le manovre furono organizzate rapidamente, sarebbero stati allineati dei 
      cannoni alla Terra, dove oggi sorge il monumento ai Caduti, e da lì, con 
      accuratezza, si sarebbero eseguiti dei tiri di esercitazione diretti alle 
      Mole. 
      Lentamente gli animali da soma, che erano ricoverati in un terreno 
      requisito al Parasacco, ripresero confidenza con il loro usuale carico di 
      acciaio che condussero, in fila indiana, sul promontorio che dominava la 
      valle sottostante. 
      Alle Mole gli artiglieri, invece, evacuarono l’intera area intorno al 
      fiume anche se per precauzione avrebbero utilizzato solo salve a carica 
      ridotta. Del fatto fu avvisato anche Ranfacane a cui fu consigliato per 
      quel giorno di rinunciare alle sue nasse e ai suoi pesci. Dopo rigorosi 
      calcoli, finalmente, i comandanti di squadra ordinarono le prime 
      assordanti scariche mentre gli zappatori a valle iniziarono a trasmettere 
      via radio le correzioni da fare.  
      Le coordinate, riviste a monte, venivano trascritte scrupolosamente da 
      Weiss su una tabella, queste misurazioni in seguito risulteranno 
      estremamente preziose per la retroguardia tedesca che difenderà la linea 
      del fronte durante la ritirata del maggio successivo. Se i tedeschi si 
      dedicavano alle loro traiettorie la comunità religiosa di Villa Santo 
      Stefano si preparava al Santo Natale intensificando le visite alla Madonna 
      dello Spirito Santo. Le processioni, oltre agli abituali canti, erano 
      accompagnate da nuove composizioni create appositamente da Marietta Colini 
      per la particolare occasione come quella che ad esempio diceva: “… Quando 
      sarà quel giorno che finirà la guerra butteremo le armi a terra e ti 
      verremo a ringraziar …” . Una volta arrivati al Santuario, però, la 
      preghiera più accorata era quella rivolta ai giovani soldati dispersi che 
      con le loro foto si erano ritagliato un piccolo spazio nella parete 
      occupata abitualmente dagli antichi ex voto.  
      Nelle scuole intanto le Giovani Italiane seguendo le precise indicazioni 
      della maestra Sperandio tessevano con una lana grezza, filata alla priozza, 
      chiamata diavolina, calze, guanti o scaldarancio da inviare ai soldati 
      santostefanesi al fronte. Concentrate nell’ordito le bambine si 
      concedevano solo qualche pausa intonando in coro canzoncine patriottiche 
      spesso improvvisate : ”Madonna mea nun fà piova che Churchill è ita fora è 
      ita a ccolla i pompodora ….” 
      Ma l’evento straordinario di quella vigilia fu l’arrivo in paese di 
      Monsignor Tommaso Leonetti, il Vescovo di Ferentino, che volle portare una 
      parola di conforto a tutti i paesi della sua Diocesi. L’ecclesiastico 
      arrivò inaspettato a piedi scendendo dalla Lavina, dopo aver percorso, 
      guidato da Padre Lorenzo dei Padri Passionisti, il sentiero che da San 
      Sossio portava al Macchione, dove, tra la sorpresa generale, donò la sua 
      benedizione a quella brava gente e agli sfollati che, generosamente, 
      stavano ospitando. Poi, disceso il versante scosceso, si diresse alla Casa 
      di Cristo dove Don Amasio, non nascondendo una grande emozione, lo 
      ricevette sotto la statua di San Rocco che quell’ anno, eccezionalmente, 
      insieme a San Sebastiano, rimase custodita, nella chiesa di Santa Maria 
      Assunta in Cielo. 
      Quello alle porte sarebbe stato un Natale diverso, unico. 
      I primi ad accorgersene furono i bambini che, abituati negli anni 
      precedenti solamente al presepe e alla calzetta della befana, notarono per 
      primi, con i loro occhietti attenti, quello strano albero sotto la Loggia. 
      Era la prima volta che ne vedevano uno e oltretutto addobbato in quel modo 
      strano. Immediatamente la notizia si trasmise in quel piccolo mondo di 
      anime, Guglielmina fu una delle prime ad accorrere. La seguirono poi tutti 
      gli altri bambini del circondario, insieme rimasero esterrefatti di fronte 
      a quell’albero che i tedeschi avevano tagliato giorni prima potandolo in 
      maniera tale da assomigliare ad a un pino. 
      Poi con cura lo avevano adornato con ritagli di carta a forma di stella, 
      qualche lettera che avevano ricevuto da casa e piccole caramelle, insomma, 
      anche se improvvisato, avrebbe fatto la sua figura quando, circondato da 
      bottiglie di vino, si sarebbero accese le candele tra i suoi rami la notte 
      della vigilia. 
      Nei giorni seguenti di tanto in tanto i bambini che passavano sotto la 
      Loggia ricevevano dai soldati del posto di guardia pezzi di cioccolato, 
      caramelle o pane e marmellata. Era Natale, tutti cercarono di dimenticare 
      il presente e tentarono di essere più vicini gli uni con gli altri. Don 
      Amasio ricevette la visita di Weiss il quale gli preannunciò che il giorno 
      della vigilia il suo comando stava organizzando una solenne cerimonia 
      nella chiesa di Giuliano di Roma, dove erano acquartierati la maggior 
      parte degli uomini del suo battaglione, per cui se il sacerdote voleva 
      avrebbe avuto il piacere di invitarlo. Don Amasio, sorridendo, ringraziò 
      l’ufficiale, ma in tono gioviale gli rispose “Capitano lei hai suoi 
      soldati io invece,grazie a Dio, le mie pecorelle“. Weiss comprese che Don 
      Amasio avrebbe celebrato la messa a Villa Santo Stefano ma prima di 
      andarsene volle donargli lo stesso una copia dattiloscritta del testo in 
      tedesco della canzone “Stille Nacht“. Ne erano state fatte numerose copie 
      da consegnare ai militari ma soprattutto ai civili ignari di quella 
      melodia natalizia. Il 24 dicembre 1943 in tutta Italia il Natale venne 
      festeggiato alle cinque del pomeriggio a causa delle limitazioni imposte 
      dal coprifuoco che iniziava alle diciotto e terminava alle sei della 
      mattina dopo. Il divieto era tassatorio per tutti per cui anche Pio XII fu 
      costretto a celebrare la messa di Natale dai microfoni della Radio 
      Vaticana alle diciassette in punto. Così fece anche Don Amasio, come 
      anticipato a Weiss, riunendo i suoi fedeli presso la chiesa di Santa Maria 
      Assunta in Cielo. Fuori il paese era quasi deserto con la sola eccezione 
      di un piccolo numero di soldati tedeschi rimasti al loro posto di guardia 
      in compagnia del loro albero. Tutto il contingente presente in paese, 
      invece, si recò presso il santuario appena fuori Giuliano di Roma.  
      Nel piazzale della chiesa della Madonna della Speranza fu radunato in 
      silenzioso ordine, tutto il Battaglione composto da circa 150 soldati, 6 
      ufficiali, vari sottufficiali e al completo, o quasi, il contingente di 
      stanza a Villa Santo Stefano. Fu permessa l’ entrata prima alle autorità 
      ecclesiastiche poi alla popolazione civile, compresi i 300 sfollati 
      presenti in paese, ed, infine, agli ufficiali tedeschi ed al resto della 
      truppa di cui la maggior parte fu costretta però a rimanere fuori. La 
      cerimonia, a causa dell’eccezionalità dei partecipanti che mai fino ad ora 
      erano stati così vicini, assunse subito un significato particolare legato 
      al semplice ma spesso dimenticato significato del Natale. 
      Il culmine fu raggiunto quando alla fine della messa soldati e civili 
      insieme iniziarono ad intonare forse uno dei più coloriti “Stille Nacht 
      “della storia. Tra le tenui luci delle candele e i fumi dell’incenso gli 
      sguardi si fissarono tra un sorriso e una lacrima e, come spesso era 
      accaduto in passato, guardando quei bambini spesso scalzi e con i vestiti 
      logori la mente anche del più duro dei panzergrenadier andò ai figli che 
      da anni ormai non vedevano più, lontani in una terra che in quel momento 
      appariva più distante che mai. Quel magico momento svanì in un attimo, 
      così come era nato, tra le note sfumate dell’organo suonato in maniera 
      sublime da un tenente della Göring. Lentamente si rientrò nelle case e nel 
      pieno rispetto del coprifuoco, a luci spente, si aspettò stretti intorno 
      al fuoco la mezzanotte.  
      Fuori nella vallata echeggiarono in lontananza alcuni timidi colpi di 
      Mauser preludio dell’imminente concerto fatto di razzi luminosi, salve di 
      cannone e suono di campane. Za Flavia Reatini scansò lentamente lo zinale 
      nero con cui oscurava come da disposizione la finestra di casa, impaurita 
      da quel finimondo che sembrava annunciare l’inizio di una battaglia. 
      Fu rassicurata dal sorriso o meglio dal naso rosso di una delle sentinelle 
      sedute al tavolino di via San Pietro che con sottobraccio una bottiglia di 
      vino, la salutò militarmente. Il 2 gennaio 1944 gli inglesi ricordarono 
      agli occupanti che le festività erano quasi finite e che la guerra 
      riprendeva il suo corso, furono lanciati due spezzoni che colpirono il 
      Pizzo dell’Orticello e la contrada Quaquarigli provocando una buca di 
      sedici metri quadrati. 
      Il 4 gennaio, anticipando l'Epifania, replicheranno. 
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