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       8  L’AEREO INGLESE 
       
      L’aria quella sera sebbene fossimo in dicembre era particolarmente mite. 
      Giuseppe Lauretti ne ebbe la conferma appena iniziò a mungere le sue amate 
      capre e vide che il caldo latte una volta raggiunto il secchio non si 
      contorceva in curiose evoluzioni come quando la temperatura era più 
      rigida. 
      Dopo aver raccolto con sapienza il frutto candido del suo lavoro il saggio 
      pastore leccandosi le dita spense la lucerna e al buio con delicatezza 
      appoggiò lo steccato quasi a non disturbare il sonno del suo gregge. 
      Ma prima del giusto riposo si concesse un’ultima meritata sigaretta, con 
      cura avvolse il prezioso tabacco nella cartina ricavata da un volantino 
      alleato lanciato notti prima in montagna e sfumacciando ammirò il cielo 
      stellato orgoglioso della magnifica vista che si godeva dal Macchione. 
      Della qualità della serata d'accordo con le impressioni di Giuseppe furono 
      anche i tecnici del Servizio Meteorologico della Raf di Foggia che 
      decisero senza ombra di dubbio che quella sarebbe stata la notte ideale 
      per un’ incursione aerea. 
      La notizia della nuova missione giunse ad Edmends, Convay e Stead mentre 
      al termine della cena stavano sorseggiando una calda tazza di caffè.  
      Anche se nati in tre diverse nazioni più che la lingua comune era la loro 
      incomparabile amicizia a farli dialogare a quell'ora così piacevolmente.
       
      La sirena che annunciava il breitling prima di ogni azione interruppe la 
      consueta freddura di Convay e a malincuore Edmends, spenta la sigaretta 
      appena accesa, invitò gli altri due componenti dell’equipaggio del Boston 
      MK III a seguirlo, anche quella notte si sarebbe volato. Il comandante di 
      squadriglia nella baracca operazioni iniziò a illustrare alle squadre 
      l’imminente azione, l'obiettivo primario sarebbe stato lo snodo 
      ferroviario di Orte mentre l’area di Cassino si sarebbe aggiunta come 
      secondo target. 
      La breve esposizione tattica si concluse con la raccomandazione agli 
      equipaggi di segnalare, al loro ritorno, qualsiasi attività contraerea 
      nemica. Dopo aver ritirato i paracadute e le mappe aeree i tre amici si 
      prepararono al decollo e augurandosi buona fortuna si arrampicarono sulle 
      esigue scalette pronti ad occupare la propria posizione all’interno 
      dell’aereo già pronto in pista. Solo allora Edmends dopo essersi ancorato 
      al gelido sedile del suo A20, attivando l’interfono, iniziò ad elencare ai 
      colleghi le procedure per il decollo. 
      In quello stesso momento Don Alvaro a Giuliano di Roma aveva appena finito 
      la sue preghiere e avvolgendosi nelle coperte tentò di addormentarsi 
      nonostante la consueta amarezza che a quell’ora lo prendeva ripensando 
      all’odiosa occupazione tedesca del suo Santuario. Ma buon per lui chiuse 
      presto gli occhi e iniziò a sognare mentre dall’aeroporto di Celone 
      decollavano venti Boston della Royal Air Force. Raggiunta la quota 
      prestabilita, i tremila piedi, le formazioni si ordinarono in due gruppi e 
      illuminati dalla luna iniziarono a seguire le coordinate di volo che i 
      capi squadriglia avevano comunicato via radio a tutti gli equipaggi.  
      Per raggiungere in sicurezza l’obiettivo la squadriglia sali' ancora di 
      quota, lentamente le nuvole avvolsero i cacciabombardieri e il rombo dei 
      loro potenti motori Wright divenne quasi impercettibile. 
      Poco prima della loro destinazione finale, le comunicazioni radio vennero 
      sospese e planando silenziosamente uno dopo l’altro gli aerei iniziarono a 
      sganciare su Orte gli ordigni innescati che tra il fragore delle 
      esplosioni devastarono i binari della stazione. Al termine dell'azione i 
      cacciabombardieri progressivamente ripresero velocità e puntando verso sud 
      sempre in silenzio radio si diressero al loro secondo target, ultimo 
      ostacolo al rientro alla base.  
      In pochi minuti i Boston furono sopra Cassino e imitando la manovra 
      precedente liberarono i restanti ordigni. Stead il gallese aveva 
      programmato con precisione l'innesco delle bombe e grazie alla virata di 
      Edmends era riuscìto per un breve momento a vedere dall' oblò la 
      perfezione del suo lavoro. 
      Lo raggiunsero i complimenti di Convay che allungandosi dal suo angusto 
      abitacolo aveva avvistato alle loro spalle il purpureo bagliore delle 
      esplosioni in quel cielo nero pece. Completata la missione mantenendo 
      rotta costante gli equipaggi iniziarono la manovra di rientro verso 
      Foggia. 
      Ma quella che fino allora era stata una tranquilla incursione notturna si 
      trasformò in un inferno non appena le formazioni sorvolarono Frosinone 
      dove grazie ad immensi riflettori le artiglierie tedesche avevano iniziato 
      a darsi da fare.  
      Il cielo trafitto dalle esplosioni iniziò a rosseggiare rendendo così 
      nitide le sagome dei Boston fino ad allora invisibili nel buio della 
      notte. 
      Immediatamente fu ripresa l’attività radio e i capi squadriglia ordinarono 
      agli equipaggi di allontanarsi il più velocemente possibile da 
      quell’orrore.  
      Edmends, ricevuto l’ordine, rivolse la prua del suo velivolo verso l’alto 
      ignorando che proprio in quel momento ai suoi piedi una postazione Flak 
      attirata dal brontolio dei motori sottopressione del Boston aveva iniziato 
      a far fuoco. Immediatamente la carlinga dell’aereo fu invasa da una 
      pioggia di frammenti esplosivi, le scariche da ottantotto millimetri 
      avevano devastato la fusoliera e le fiamme che ormai la avvolgevano 
      illuminarono quell’oceano di oscurità.  
      Il bombardiere colpito a morte aveva riportato seri danni soprattutto ai 
      motori, al sistema idraulico e alla radio. Di colpo Stead iniziò a non 
      sentire più dalla cuffia la voce de i suoi compagni che immaginò feriti o 
      addirittura morti. 
      L ‘aereo non rispondeva più e nonostante Edmends si sforzasse di 
      ripristinarne i comandi, la cloque e i sistemi di manovra danneggiati dal 
      fuoco nemico sembravano irrimediabilmente andati. Come se non bastasse in 
      lontananza minacciosa prese forma la cima di un monte che imprevisto era 
      comparso dinnanzi a loro. 
      L’ aereo iniziò paurosamente ad incrinare il proprio asse e lo sguardo di 
      Edmends, l’australiano, venne rapito dalle rocce bianche poste sulla nuda 
      sommità dell’ostacolo. Poi, come in un sogno, il suo sguardo si illuminò 
      della terra rossa di Australia, le magnifiche onde del suo mare, la madre, 
      la sua prima bicicletta, gli occhi di Dorothy poi inebriante insieme al 
      profumo dei cespugli di mirto l'odore della morte e quelle pietre bianche, 
      bianche, sempre più bianche poi.... più niente. 
      Lauretti si svegliò di soprassalto pensando subito al terremoto, seminudo 
      si preoccupò per prima cosa di trarre in salvo le sue capre ma la vivace 
      brezza del mattino gli fece capire che nulla di quanto aveva immaginato 
      stava avvenendo. Ogni dubbio fu fugato quando in lontananza dopo la cresta 
      di Punta la Lenza iniziò ad allungarsi una lunga lingua di fuoco.  
      Come era svanito il sogno di Edmends anche quello di Don Alvaro si 
      interruppe svegliandosi di soprassalto quando il cupo boato investì anche 
      Giuliano di Roma. Poggiandosi alla ringhiera della sua finestra si allungò 
      fino a che gli fu possibile ma non riusciva vedere nulla al di là del 
      cortile sottostante dove i tedeschi informati di un aereo inglese 
      probabilmente abbattuto avevano iniziato i preparativi per una 
      perlustrazione alle prime luci del giorno.  
      Giuseppe invece con il cuore in gola in vantaggio rispetto a tutti si 
      avvicinò correndo a Vallevona inciampando sulle pietre ancora invisibili 
      nella quasi oscurità dell’alba, superato il crinale il suo viso fu 
      accarezzato dal calore dei numerosi focolai che si estendevano per tutto 
      il brullo vallone. 
      L’aereo o meglio quello che ne rimaneva era distribuito per circa duecento 
      metri ridotto in leggeri frammenti di alluminio non più grandi di un 
      foglio di giornale circondati da resti di cavi elettrici, bulloni e 
      miriadi di invisibili frammenti di vetro. Tra l’acre odore di kerosene e 
      bakelite bruciata, Lauretti cercò immediatamente resti di vita umana ma 
      nonostante il suo accanimento constatò che purtroppo dell’equipaggio 
      rimanevano solo dei miseri brandelli distribuiti anch’essi tra i rottami, 
      rimase seduto non sapendo quanto immobile su una pietra riflettendo sul 
      triste destino di quei piloti. Appena sorto il sole gli altri abitanti del 
      Macchione si diressero sul luogo del disastro dove pur commiserando la 
      fine dei poveri avieri iniziarono per necessità a prendere tutto ciò che 
      poteva essere utile in quei giorni di totali privazioni. 
      Anche a Villa Santo Stefano la guarnigione locale si apprestò a salire sul 
      Siserno, lo fece quando il sole era già alto grazie ad alcuni civili che 
      condussero gli uomini della Göring sul luogo del disastro. 
      Dopo una lenta e difficile ascesa il sottufficiale tedesco e la sua scorta 
      poterono verificare quello che Lauretti aveva già constatato, nessun segno 
      di vita. Inoltre per le condizioni del relitto le disposizioni in caso di 
      abbattimento di un aereo alleato non vennero eseguite in quanto sia la 
      radio che le mitragliatrici che dovevano essere assolutamente negate ai 
      civili risultavano completamente distrutte. Intanto in paese più che la 
      notizia di un aereo alleato caduto giunse in tutte le case quella 
      dell’enorme numero di preziosi frammenti da poter riciclare, cosi un fiume 
      di persone come tante operose formiche si portarono a Vallevona dove 
      asportarono la maggior parte di rottami rimasti sul terreno sassoso.  
      Weiss, aggiornato sulla situazione, iniziò a stilare il rapporto per i 
      suoi superiori completandolo con le ultime informazioni raccolte dai suoi 
      uomini che avevano rovistato inutilmente tra le parti del relitto in cerca 
      di mappe o documenti utili. Nel frattempo, in canonica Don Amasio 
      immediatamente informato della tragedia si preoccupò della sorte di quei 
      poveri resti e della loro giusta sepoltura così portandosi la tonaca da un 
      lato per avvantaggiarsi a passo veloce si diresse da Weiss. L’ufficiale 
      accogliendo le ragioni del prelato autorizzò la raccolta delle salme e la 
      loro sepoltura nel cimitero comunale, gli mostrò anche sulla carta il 
      luogo del disastro così come era stato annotato dal sergente recatosi sul 
      posto. Con il permesso a muoversi in mano il parroco cercò tra i suoi 
      parrocchiani qualche anima pia pronta insieme a lui a portare a termine la 
      dolorosissima opera. Accorsero numerose donne che pregando in silenzio 
      intrapresero l'ascesa, gli uomini che avevano guidato i tedeschi invece 
      insieme a tre asini anticipavano il gruppo. Il Capitano Millotti e la sua 
      fidanzata Leonilde assistettero al rientro dei primi paesani al Macchione.
       
      Ognuno aveva con se una parte dell’aeroplano, erano frammenti composti da 
      metalli pregiati come l’ alluminio o il rame, tutti facilmente 
      riutilizzabili in seguito come oggetti di uso comune. In alcuni meccanismi 
      divenuti subito giochi nelle mani dei fantasiosi bambini era impreso il 
      simbolo di una corona accompagnato dalle lettere "A.M." , Air Ministery. 
      Ben presto dell’ aereo, oltre al nero fumo, non restò più nulla al di là 
      di quello che avrebbero raccolto con pietà cristiana Don Amasio e le 
      volenterose donne di Villa Santo Stefano.  
      Con riguardo ciò che rimaneva dei corpi, ricomposto e avvolto in candidi 
      lenzuoli, fu riposto nelle gerle sostenute dagli asini, in silenzio quello 
      che era divenuto un corteo funebre iniziò la discesa in paese. 
      Per lungo tempo nella memoria della gente del paese rimase impresso uno 
      dei ritrovamenti piu macabri, una giovane mano dalla pelle molto chiara. 
      Ciò fece supporre erroneamente che un membro del cacciabombardiere fosse 
      una donna. Cosa del tutto improbabile visto il regolamento di volo della 
      Raf che autorizzava le donne al solo trasferimento di aerei da caccia 
      dalle fabbriche di costruzione fino alle basi dei vari squadroni senza 
      farle mai partecipare ad azioni di guerra al di fuori del distretto aereo 
      nazionale.  
      In serata Don Amasio e il suo gruppo raggiunsero il cimitero, il corteo 
      era seguito da una lieve scia di sangue che colava dai fianchi dei 
      pazienti animali.  
      Dopo la benedizione del parroco alla presenza di alcuni soldati tedeschi i 
      resti dei tre aviatori vennero deposti in una cassa di legno e lasciati 
      riposare definitivamente nel silenzio della terra che li avrebbe custoditi 
      fino all’estate del 1944. Il giorno dopo Antonio Felici si reco’ a trovare 
      l’amico Giuseppe Lauretti. Dopo aver conversato in latino come spesso gli 
      capitava di fare il dotto pastore confidò al poeta futurista, così lo 
      aveva definito in una sua lode, l’intento di comporre un sonetto su quella 
      tragica vicenda. 
      Nel commiato estrasse con enfasi dalla tasca un cristallo a forma di 
      prisma posto su un supporto di ferro numerato, sicuramente un componente 
      del sistema ottico dell’aeroplano, e donandolo ad Antonio disse “ Tieni 
      questo è il cuore della macchina volante ”. 
       
       
      Aereo: A20 Douglas Boston Mk III DB – 7B 
      Unità: 114° Squadron Raf , 232° Wing , Desert Air Force, Mediterranean 
      Allied Tactical Air Force. 
      Missione del 19.12.1943 “..... 20 Planes attack bridge and the town of 
      Orte, hit Cassino. Weather : 5/10th at 3,000 feet , visibility hazy........ 
      “ 
       
       
      Equipaggio:  
       
      William Colin Clifford Edmends , matricola 401425 , Flying Officer , 
      Australiano di East Coburg nello stato di Victoria di anni 28 ,figlio di 
      William e Lily Emily Edmends , marito di Dorothy June. 
       
      Michael Patrick Convay, matricola 1263776 , Flying Sergeant w.op. / air 
      gnr, Nord Irlandese di Plumbridge nella contea di Tyrone di anni 30 figlio 
      di Edward e Annie Conway. 
       
      Robert Stead , matricola 137158 , Flying Officer nav./bomber, Inglese di 
      Leeds nello Yorkshire di anni 29 figlio di Robert and Amy Stead , marito 
      di Thora Stead. 
       
      Aeroporto: Celone denominato “Foggia 1”  
      Luogo dell’ abbattimento: località Vallevona (Monte Siserno ) 
      Ora presunta abbattimento : durante la notte del 19.12.1943 
      Reperti significativi trovati nell’area : 
      - Parte del motore Wright R-2600-A5B- “Double Cyclone” 
      - 2 proiettili cal.7,7 siglati RGB IIV 2 1942 della Royal Ordinance 
      Factory Radway Green di Londra per mitragliatrici Browning 
      - Componente elettrico per radio con simbolo Air Ministery / Ref. 
      No.1367/N 
      - Ottica o parte di essa con sigla 142  
       
      Le salme dei Piloti riposano accanto le une alle altre al Cimitero Inglese 
      di Bari. 
       
      William Colin Clifford Edmends oltre che essere reduce della Campagna di 
      Africa come i suoi compagni aveva partecipato anche nel 1941 con il 21° 
      Squadrone Raaf “Malaya” alla campagna contro i giapponesi in Malesia 
      pilotando con il grado di Sergente un CA7 ,il cosiddetto “Bisonte”. 
       
      La sigla del Boston del 114° Squadrone non riportata iniziava sicuramente 
      con le lettere : AL . 
       
      Il 114° Squadrone denominato “Hong Kong” aveva come simbolo una testa di 
      cobra per ricordare l’ India, dove lo squadrone era stato creato nel 
      settembre del 1917 a Lahore, il suo motto era “ Con velocità colpisco”. 
      Giunge nel novembre del 1942 in Algeria per le operazioni aeree in Nord 
      Africa, si distinse particolarmente nell’operazione Torch. 
      Nell’agosto 1943 giunge in Sicilia e nell’aprile dello stesso anno riceve 
      in sostituzione dei vecchi Blenheim V i nuovissimi Boston di produzione 
      americana, partecipa con parecchi raid, quasi tutti notturni, alle 
      principali fasi della Campagna di Italia. 
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