6 IL CASO
BATTISTINI - LEONI
Gli incontri tra Alfonso e Anna erano divenuti sempre più frequenti e il
loro stare insieme illuminava di speranza il buio di quelle fredde
giornate di autunno.
In una delle loro passeggiate, che nessuno dei due poteva immaginare
essere l’ultima, la ragazza però sempre aperta e gioviale si era mostrata
stranamente schiva, diversa dalla giovane romana che aveva fatto quasi
innamorare Alfonso. Poi all’ improvviso interrompendo il prolungato
silenzio iniziò addirittura a piangere. Tra i singhiozzi Anna si liberò
finalmente del peso che teneva nel cuore e confido’ al giovane reduce
l’avvenuto arresto del padre Umberto e dell’amico Angelo da parte delle
autorità tedesche di Roma.
Asciugandosi il viso aggiunse poi che i due erano già stati trasferiti nel
Carcere di Castelfranco Emilia in provincia di Modena con la pesante
accusa di traffico illecito di armi e attività partigiana, la loro vita
era appesa ad un filo.
Vista la gravità della situazione Alfonso ricondusse la disperata Anna
nella casa dei Cimaroli, che gentilmente ospitavano le due famiglie romane
e dove sempre più incredulo apprese direttamente dalla signora Armida i
particolari sulla cattura del marito. Era accaduto tutto alcuni giorni
prima, quando i due soci in piena notte avevano lasciato la valle
dell’Amaseno per raggiungere la capitale.
In via Taranto dalla loro rimessa avrebbero dovuto trasportare delle armi
destinate ai ribelli romani. Ma la sorte avversa volle che proprio quella
mattina i due romani, nonostante il permesso di circolazione, approvato
dal Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa della provincia di
Frosinone, fossero fermati per un controllo da una pattuglia tedesca.
Forse fu proprio quell’ausweis ad insospettire il responsabile del posto
di blocco che ordinò ai suoi uomini un’accurata ispezione su quel camion
che dalla provincia percorreva quasi all’alba le strade della capitale.
Alla fine il pericoloso carico stipato dentro alcune casse anonime saltò
fuori e i due autisti ammanettati finirono nel carcere romano di Regina
Coeli.
Al termine di un durissimo interrogatorio avrebbero raggiunto infine in
treno Castelfranco Emilia accompagnati dalla pesante accusa di
collaborazionismo. Gli strazianti gemiti di Armida e Emilia accompagnarono
la fine del racconto.
Sconvolto quasi quanto loro Alfonso dopo aver rassicurato le due donne
corse veloce verso casa e senza pensarci due volte da un baule prese lo
zaino con dentro la divisa della Wehrmacht ricevuta a Vienna dagli stessi
tedeschi.
Così senza avvisare nessuno partì per la capitale, il suo folle piano di
liberare i due romani era appena iniziato.
I giorni seguenti solamente la madre, il fratello Antonio e naturalmente
Anna notarono preoccupati la sua assenza mentre in paese la notizia
dell’arresto dei due profughi romani era ormai sulla bocca di tutti anche
se ad allarmarsene fu solo il tenente Weiss . L’ufficiale era preoccupato
soprattutto per il lasciapassare trovato nei documenti dei due arrestati
firmato proprio da lui.
Questo lo spinse ad indagare personalmente sui precedenti spostamenti dei
due prigionieri tra il paese e la capitale per comprendere se esistesse un
eventuale legame tra loro e le organizzazioni clandestine romane.
Per saperne di più le mogli del Battistini e di Leoni vennero convocate al
primo piano di casa Palombo dove vennero interrogate a lungo.
Ma Armida e Emilia lontane da mesi dalla capitale e da ogni possibile
realtà eversiva non poterono fornire nessuna utile informazione.
Anzi, preoccupate più per la sorte dei consorti che per la loro
implorarono per tutto il colloquio l’ufficiale tedesco perché intercedesse
per i due reclusi che rischiavano la vita per un unico sfortunato
trasferimento di armi.
La situazione precipitò quando alcune settimane dopo l’ufficiale tedesco
convocato a Frosinone venne informato della clamorosa fuga dei due
reclusi.
Il suo rientro in paese fu immediato così come il coinvolgimento di
Alfonso in tutta quella vicenda. Venivano così confermate anche le
indiscrezioni che erano trapelate in paese riguardo la sua assenza
sospetta e soprattutto la sua amicizia con la figlia di uno dei due
reclusi. La somiglianza inoltre con il soldato tedesco fintosi finnico che
aveva liberato in maniera rocambolesca i due romani calzava perfettamente
con la figura dell’interprete mancato.
L'evasione dei due autisti era comunque potuta avvenire grazie anche alla
Resistenza romana che aveva fornito al finto tedesco alcuni documenti
contraffatti tra cui l’atto di scarcerazione immediata, nonostante la
definitiva condanna a morte ordinata dal tribunale di Bologna.
Ancora più infuriato Weiss allora concentrò le sue indagini proprio sulla
famiglia di Alfonso con l’intento di strappare utili informazioni per la
cattura dei tre fuggitivi nascosti secondo alcuni voci nella capitale.
Antonio Felici era rientrato da poco in paese usufruendo del congedo
straordinario ottenuto grazie al sacrificio dei suoi tre fratelli
impegnati da mesi sui fronti d'Europa. Grande camminatore,sempre in
compagnia di un buon romanzo, amava perdersi nelle amene campagne
santostefanesi alla continua ricerca di lontani passati, ragione per cui
spiare il fratello di Alfonso, come era intenzione di Weiss, non era cosa
affatto facile. Infatti praticamente da subito il soldato mancato notò le
assidue attenzioni dei tedeschi nei suoi confronti e insospettito ne volle
informare la madre. Filotea, per nulla meravigliata, gli rivelò che da
qualche tempo anche lei aveva notato qualcosa di strano.
La casa di Don Amasio, dove lei lavorava era infatti frequentata più del
solito dai tedeschi “… ma vu vedè che chiss sto’ prepie pe Alfonz…”.
La presenza di militari in vicolo San Pietro non era una novità anzi era
divenuta quasi un abitudine soprattutto la sera quando alcuni di loro si
soffermavano a parlare con Don Amasio occupando i due scanni posti vicino
al grande camino oppure la domenica quando quelli cattolici di origine
bavarese assistevano alla Messa. Queste frequentazioni comunque permisero
durante tutta l’occupazione a Don Amasio di operare, quando possibile,
sempre e unicamente a favore dei suoi fedeli. Ma effettivamente
recentemente la presenza degli ospiti del prelato era divenuta più
assidua, soprattutto per Weiss che sperava in qualche utile indizio rubato
alle innocenti confidenze tra l’anziana madre e l’amica Mariangela.
Ma i giorni scorrevano veloci e tutti i tentativi per scoprire qualcosa si
stavano rivelando inutili per cui temendo il giudizio negativo dei suoi
superiori la condotta di Weiss divenne più diretta. In pieno giorno alla
vista dei loro compaesani Filotea e Antonio furono trascinati con la forza
fino al Comando tedesco dove, divisi l’uno dall’altra, furono sottoposti
ad un durissimo interrogatorio.
Per spingerla a parlare all’ anziana donna fu mostrata addirittura una
pistola e solo grazie al generoso intervento di Luigi Bonomo, accorso al
Comando, l’interrogatorio fu presto interrotto e la richiesta di rilascio
per i due accettata nonostante l’iniziale opposizione di Weiss .
Intanto in tutto il paese i controlli si erano intensificati ed a farne le
spese fu Armando de Filippi costretto a nascondersi in montagna.
Per lungo tempo fu ricercato dai tedeschi che involontariamente per sua
stessa ammissione erano venuti a conoscenza della recente visita allo zio
Angelo latitante a Roma insieme ad Umberto e allo stesso Alfonso.
Durante la Messa, alcuni giorni dopo, un breve messaggio pronunciato
sottovoce all’orecchio di Filotea da Ersilia Palombo riportò la serenità
nel cuore della donna tormentato da tempo per il destino incerto di quel
figlio così amato.
La brava Ersilia aveva informato l'amica del ritorno di Alfonso che voleva
incontrarla segretamente quello stesso giorno alla Madonna dello Spirito
Santo. Così, cercando di non destare sospetti, Filotea e Antonio poco
prima della fine della funzione, senza farsi notare, si allontanarono
dalla chiesa e dirigendosi verso la Portella sicuri di non essere seguiti
si incamminarono spediti verso il santuario campestre. Alfonso trepidante
li stava aspettando nascosto tra gli arbusti, appena li vide ebbe un tuffo
al cuore e accertato che erano soli pronunciò con un filo di voce i loro
nomi dal “tummurone” che sovrastava la chiesetta.
Spaventati Antonio e Filotea si voltarono verso quel groviglio di rami da
dove svelto balzò fuori Alfonso. Furono abbracci e rimproveri, baci e
lacrime, Antonio severo lo richiamò per il suo gesto folle oltretutto per
una che poi gli confidò se ne era già tornata a Roma. La mamma invece più
amorevole piangendo lo supplicò di non recarsi per nessun motivo in paese
dove era ricercato dai tedeschi.
I tre capirono che quello era il momento dell’addio.
Antonio pentendosi della eccessiva durezza abbracciò il fratello mentre la
mamma lo baciò sulla fronte. Alfonso che non voleva più imbracciare un
fucile si ritrovava fuggiasco in una terra a lui cara ma occupata da un
nemico famelico che stava seguendo come un lupo le sue tracce.
Si allontanò agli occhi dei suoi cari e impercettibile si confuse con gli
alti alberi di Stretta Cupa.
Il 4 marzo 2006 Roberta Costa, figlia di Maria Antonia Battistini, sorella
di Anna, contatterà la redazione del sito di Villa Santo Stefano dal Sud
Africa dopo aver letto il resoconto del salvataggio del nonno Umberto da
parte di Alfonso, confermando ogni particolare della vicenda.
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