Permettete che mi presenti: mi chiamo Domenico Lucarini, soprannominato "pucitto o pucicchio", sono figlio del fu Francesco e sono nato a S. Stefano in Campagna, diocesi di Ferentino, nel 1777 o forse, nel 1778. Qualcuno mi ha definito "il più fiero, crudele e barbaro tra i briganti della Delegazione di Frosinone" e posso assicurarvi che sono proprio così, anzi, forse peggio!

Sono diventato brigante nel luglio 1815 dopo aver pestato a sangue Giovanbattista Ceccafumo e la sua fidanzata Caterina Carocci che si rifiutava di soddisfare le mie voglie.

Il 4 agosto dello stesso anno, verso le 2 di notte (circa le ore 22:00), insieme con i miei compagni Lorenzo Viella e Luigi Palombo, anche essi di S. Stefano, sono entrato nel paese perché Lorenzo, volendo darsi alla malvivenza, aveva deciso di commettere un delitto. Mentre ci trattenevamo nella piazza del Mercato io e Viella cominciammo a discutere animatamente e quel porco vigliacco mi scaricò contro l’archibugio, per sua sfortuna senza ferirmi, allora io feci lo stesso contro di lui colpendolo in pieno. Prima di scappare via, però, costrinsi il Palombo a dare una coltellata al cuore al morente, per renderlo mio complice nel delitto.

Dopo questo fatto mi diedi a vagare "in conventicola armata" con altri malviventi commettendo rapine, concussioni e stupri.

Sempre armato rientrai, nottetempo, varie volte in S. Stefano costringendo molti vigliacchi cittadini a rifornirci di viveri e a darci somme di denaro minacciandoli di morte in caso di rifiuto. Una volta tenni legato un uomo ad un albero per tutta la notte perché si era rifiutato di consegnarmi un fazzoletto.

La sera del 10 ottobre 1816, mentre ci trovavamo a bere vicino alla "Porta", accanto alla Torre dell’Olmo, fummo attaccati da "una squadra di birri". Luigi Palombo fu il primo a sparare, ma fu immediatamente abbattuto, mentre l’altro "mio socio di delitti" Francesco Antonio Tranelli venne catturato. Fortunosamente io riuscii a scappare e qualche tempo dopo, convinto dai miei familiari, soprattutto da mia moglie Celeste, mi costituii a Frosinone e il Tribunale della Commissione Militare, in data 19 luglio 1817, mi condannò a sette anni di galera.

 

La Torre dell'Olmo in una fotografia di Pompeo Leo dei primi anni del 1900

 

Il 18 dicembre di quello stesso anno fui incarcerato nel Forte Sant’Angelo a Roma e poi trasferito nella fortezza di Civita Castellana, da dove fui rilasciato il 9 maggio 1822 rimanendo trattenuto nelle Carceri Nuove in attesa del foglio di via per S. Stefano.

L’attesa della libertà, però, si fa lunga: la "Comunità di S. Stefano" non mi vuole. Il Capitolo di Santa Maria scrive che la popolazione tutta è rimasta terrorizzata alla notizia del mio ritorno, in quanto ben conosce questo "oppressore di vergini, violatore di talami, depredatore, incendiario e spiantatore delle famiglie" e, quindi, implora le autorità che ad un simil mostro "pezzente per natura e vizioso per corruzione dei suoi pravi costumi" non sia più consentito far ritorno in paese.

Il 13 maggio 1822 io, Pocicchio, "bestemmiatore …" vengo tradotto nel carcere di Frosinone e poi inviato per due anni al confino a Piperno con divieto assoluto di rimettere piede nel territorio di S. Stefano, pena la condanna a due anni di lavori pubblici.

Trascorro più di un anno a Piperno, ma poi non resisto e così mi avvicino al confine di S. Stefano per rivedere "la mia sventurata famiglia", ma vengo sorpreso, condotto a Frosinone "senza avere mai campo di poter fare conoscere le mie ragioni ad alcuna autorità come tutti li altri carcerati", per fortuna, vengo sì rimproverato aspramente, ma infine perdonato grazie anche ad alcune lettere di referenze di cittadini pipernesi per i quali ho lavorato. Scrive di me il Canonico Reali di Piperno, mio ultimo datore di lavoro "Certifico la pura verità che dai 23 ottobre 1822 a tutto li 11 novembre 1823 che stette al mio servizio in qualità di garzone, Domenico Lucarini di S. Stefano, io non ho mai avuto motivo alcuno di lagnarmi di fatti suoi per aver egli in tutto il detto tempo dato sempre saggio di sua buona condotta…". Anche il Canonico Antonio Alonzo spende parole di apprezzamento nei miei confronti "Certifico che Domenico Lucarini della Terra di S. Stefano essendo stato al mio servizio per più mesi, l’ho trovato ubbidiente ed attento al proprio impiego e con tali portamenti capivo benissimo che aveva intenzione di procacciare il pane per sé e per la famiglia…".

A queste dichiarazioni si aggiunge quella del Gonfaloniere di S. Stefano, Domenico Bonomo, che in data 14 aprile 1823, attesta "Domenico Lucarini dall’epoca che è tornato dal Forte di Civita Castellana non ha commesso alcun delitto in questa mia Comunita".

Sono veramente diventato un cittadino probo ed onesto o sono invece, un abilissimo simulatore e dissimulatore che è riuscito a darla da bere a tutti?

E così, con un "precetto di buon vivere" faccio ritorno a Piperno, ma, trovandomi a servizio del Signor Ludovico Tacconi come guardiano di un suo Casino di campagna, sito in colle Sacconi, lontano dal centro abitato e dai "birri", riprendo a delinquere. Il 1 aprile 1825 vengo però catturato e accusato di più reati, innanzitutto di "adesione e proclività alla malvivenza", poi di "violenta cognizione carnale più volte eseguita nella persona della maritata Rosa, moglie del pastore verolano Bernardino Ceci", quindi di "essersi servito della medesima non solo esso rapitore, ma ancora di averla fatta conoscere carnalmente da due persone incognite che riteneva nel Casino", inoltre di "essere stato causa di aborto della suddetta Rosa rapita", ma anche di "aver continuamente insultati e minacciati tutti i pastori verolani che pascolavano il loro bestiame nelle vicinanze del Casino suddetto", e infine di "aver vagato di giorno e di notte armato di fucile senza alcuna licenza".

Per tutto ciò vengo giudicato dalla Commissione Speciale per la Repressione del Brigantaggio di Roma che rimette gli atti al Tribunale Ordinario di Frosinone. Per mia fortuna il Tribunale non riesce a trovare tutte le prove di tali reati, ma a causa dei miei pessimi precedenti, il 29 ottobre del 1826 invece di essere rimesso in libertà, vengo posto a disposizione della Polizia e poi, nel marzo del 1827, associato alle Carceri Nuove di Roma, in attesa di essere esiliato a Camerino, dove mi raggiungerà mia moglie Celeste.

Ma questa è un’altra storia di cui parleremo ancora…

 

 


27.3.2012

www.villasantostefano.com

PrimaPagina  |  ArchivioFoto | DizionarioDialettale | VillaNews