Da Campo S. Croce a Campo Lupino

Storia di una località contesa

di Carlo Cristofanilli

Carlo CristofanilliIl 23 novembre del 2008 assieme agli amici Carlo Loffredi, Ernesto Petrilli, Marco Felici ed Enzo Iorio sono andato in escursione sul Siserno, passando per la strada di Castro dei Volsci, fino ad arrivare a Campo Lupino. Era la prima volta che mi portavo verso quella zona che subito mi è parsa particolarmente interessante sia dal punto di vista prettamente geologico sia per alcuni aspetti concernenti l’archeologia.

Dopo aver a lungo girovagato fra anfratti e pietraie, rilevando alcune consistenze utili ad una futura ricerca archeologica, siamo arrivati ad una zona pianeggiante che un tempo doveva essere una grande cesa, attualmente interessata da un antico rimboschimento. La vista di un lungo tubo di gomma, che portava l’acqua a caduta ad una vasca da bagno, riutilizzata per abbeverare le bestie, ci ha guidato fino all’origine dell’acqua. Il tubo era infilato dentro un pozzo. Osservando bene la costruzione di tale manufatto ed in particolare la fattura e la messa in opera dei conci di calcare locale, ho pensato che potesse risalire al basso medioevo, ho spiegato la mia ipotesi agli amici proponendo loro una nuova visita su tutta la zona.

Prima di ripartire è arrivato un pastore al quale ho domandato se quel pozzo avesse un particolare nome, mi ha risposto che aveva sempre sentito che si chiamasse Pozzo di Campo Lupino.

Grande è stata la mia gioia, quando mi sono imbattuto, durante le mie consuete ricerche, che settimanalmente svolgo nell’Archivio Colonna, in documenti inediti che riguardavano la zona montagnosa ai confini tra Castro dei Volsci e Villa S. Stefano.

Si tratta di un voluminoso incarto riguardante la lunga lite che il clero della terra di S. Stefano ha dovuto sostenere contro la terra di Castro, per il possesso del pozzo e terreni adiacenti.

Pozzo di Santa Croce

La documentazione storica confermava la mia ipotesi. Ma andiamo con ordine. Il 22 novembre del 1436, Don Fabrizio Colonna donava, per particolari meriti, al santostefanese Giovanni Antonio Mariano Reatini, alcuni beni esistenti in S. Stefano consistenti in una vigna incolta e un orto e sulla montagna un pozzo con terra intorno, sul luogo chiamato di S. Croce. Il Reatini poi con suo testamento lasciava, la terza parte dei suoi beni " iure legati" al capitolo della chiesa di S. Stefano. In seguito Anna, figlia di Marco Reatini, nel 1648 venderà la restante eredità al medesimo clero.

Santa Croce o Campo Lupino

Nel 1649 i sacerdoti di S. Maria affitteranno il pozzo e le terre circostanti, per tre anni, al signor Giovanni Bruno. Nel 1652 subentreranno come affittuari Giacomo, Girolamo e Pietro della terra di Castro. Finito il contratto d’ affitto dei tre fratelli nel 1655, la Comunità di Castro, su querela di Placido Rosati e Rocco Nerone del medesimo luogo, entrò in lite, tramite la Camera Apostolica, contro il capitolo e clero di S. Stefano, per il possesso del pozzo, causa che vinsero quelli di S. Stefano ed i due querelanti furono condannati all’esilio dal procuratore Ariosto, che con sentenza definitiva stabiliva che il pozzo si trovava dentro i confini del territorio di S. Stefano ed era proprietà dei preti di S. Maria.

Cippo confinario fra Villa Santo Stefano e Castro dei Volsci

La comunità di Castro fece appello alla sentenza ottenendo, dall’Uditore della Camera Apostolica, Cavallerino, un decreto di poter accedere all’acqua del pozzo. I Santostefanesi ricorsero al Pontefice. Nel 1659 la S. Sede emanò un monitorio di scomunica contro tutti coloro che avrebbero turbato il regolare possesso del pozzo da parte dei preti di S. Maria. Nonostante la scomunica i castresi continuarono a rubare l’acqua e a devastare le coltivazioni circostanti, mentre la lite giudiziaria prese nuovo vigore.

Nel 1707 il vescovo di Anagni, giudice delegato dalla Camera Apostolica, si portò sulla montagna, assieme al canonico anagnino Giovan Battista Tacconio, come perito, per prendere le misure e fare una mappa del pozzo.

Arriviamo così al 1712 quando la causa fu portata davanti al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Passarono ancora quattro anni. Nel marzo del 1717, dalla cancelleria episcopale di Veroli veniva emanato il seguente documento:

" Per ordine della Santità di Nostro Signore Papa Clemente XI ad istanza del Reverendo Capitolo Preti e Beneficiati di S. Stefano, Diocesi di Ferentino, si fanno l’infrascritte monitioni di scomunica come per Brevetto spedito dalla Santa Sede negli Atti della Cancelleria di detta città di Veroli al quale Principiante contro chi sapesse, havesse inteso dire et occupasse beni tanto mobili, come stabili, semoventi et altro come oro, argento, rame, monetato e non monetato, ferro, piombo e metallo d’ogni altra sorte, suppellettili e biancherie, come pure panni di qualunque sorte, tanto di lana, come di seta spettante, e pertinente e che in qualunque modo e maniera spettante al R. Capitolo e Reverendi Signori Preti e Beneficiati della Chiesa Collegiata della Terra di S. Stefano debba rivelarlo sotto pena di scomunica. E particolarmente che sapesse, havesse notizia o scienza che alcune persone ritenesse, occupasse, e celasse scritture tanto publiche come private, fedi et attestationi parimenti publiche o private et altre scritture simili che concernessero e toccassero particolarmente li confini e termini della Possessione col pozzo spettante a detto Reverendo Clero, e Preti e Beneficiati di Santo Stefano posta in contrada Sisirno et altre sorte di scritture in qualunque modo e maniera facessero a proposito et pro di detta possessione che contiene a se il Pozzo debba rivelarlo come sopra sotto pena di scomunica".

Una nuova scomunica dunque. Il 2 novembre del 1747 un decreto definitivo, emanato dall’Uditore pontificio, Clemente Argenvillieres, dava, ancora una volta, ragione alle pretese dei Santostefanesi e imponeva a quelli di Castro di desistere.

Per concludere questa storia, che meriterebbe uno studio a parte, aggiungeremo che anche in tempi più vicini a noi i pastori di Castro, ignorando editti e scomuniche, continueranno nei loro pascoli abusivi sulla zona, ormai detta di Campo Lupino, tanto che il Comune di Villa S. Stefano fu costretto ad iniziare una nuova causa davanti al pretore di Ceccano.

Il 20 novembre del 1899 il sindaco di Villa S. Stefano invia al principe Don Marcantonio Colonna una richiesta per avere informazioni storiche d’archivio sui luoghi contestati. Il 21 dicembre del medesimo anno, il prof. Giusppe Tomassetti, archivista di Casa Colonna, in risposta, tra le altre cose scrive: " Il nome topografico Campo Lupino, di una parte della montagna di Siserno, indicato nella lettera stessa del Comune, non si trova in questo fascicolo, nel quale invece si trova il nome di Pozzo o Fonte della Croce, come quello della proprietà contestata". Il toponimo quindi di Campo Lupino è acquisizione moderna.

Foto di Campo Lupino o Santa Croce
 
 

up. 24.12.2009

www.villasantostefano.com

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