LA TESTA DI MASTRILLI

BRIGANTE

 

di Gioacchino Giammaria

 

La repressione del brigantaggio nei secoli passati si realizza con strumenti crudeli, come efferati sono i delitti dei malviventi. Scannare una persona, per gente che è abituata ad ammazzare periodicamente agnelli, è una pratica che i briganti realizzavano senza tanti turbamenti; mazzolare, impiccare o fucilare e poi squartare il cadavere sono atti previsti dalla giustizia dell'epoca, o, come si dice, con una definizione aristotelica, della giustizia punitiva. I briganti catturati, se feriti e morti o se uccisi dalla "giustizia punitiva" poi vengono mazzolati e squartati: le membra disiecta sono racchiuse in gabbie di ferro ed esposte sopra le porte del paese murato. Stanno lì per molto tempo, a memoria del malfattore e a monito degli scellerati, affinché non percorrino la medesima strada.

Come sappiamo bene, il monito spesso è ignorato (malgrado la feroce messa in scena!).

Il brigante terracinese Giuseppe Mastrilli è passato all'epopea anche perché è stato cantato nella canzone epica popolare ed il nome corre ancora di bocca in bocca. Magari gli fa concorrenza, quanto a fama, il sonninese Antonio Gasbarrone.

C'è un episodio che idealmente collega i due e che qui ricordiamo brevemente.

Nell'autunno 1822 a Terracina, siamo in pieno brigantaggio detto post napoleonico il cui ultimo capo protagonista è appunto il Gasbarrone, si deve demolire la Porta Napoletana "per migliorare la salubrità dell'Aria di questa città". Su questa porta campeggia una gabbia di ferro con dentro il macabro trofeo della testa del brigante Giuseppe Mastrilli, e, sostiene il governatore di Terracina: "Fin dall'Anno 1750 entro una Cabbia di ferro fù inalzata … la Testa [del] famoso Malfattore … Giuseppe Mastrilli, che ai tanti Omicidj commessi, riunì uno spirito così insubordinato alle Leggi ...". E vicino è eretta una lapide che ricorda il nome del delinquente e "l'Anno della seguita giustizia".

Il governatore pontificio della città marina, Paolo Consoni, in un primo momento vuole mantenere

: "Un monumento così esemplare alla vendetta pubblica per la conservazione dell'Ordine Civile" e chiede alla Segreteria di Stato in Vaticano che: "venisse passata all'altra Porta, che conduce alla via di Roma, perche in tal guisa conosceranno ancora gli Assassini di nostra vicinanza, che l'infamia della loro memoria viene conservata dalla severità delle Leggi alla perpetuità dei Tempi".

Ma, come riconosce lo stesso governatore, la testa del Mastrilli è poco accetta alla popolazione ed ai maggiorenti i quali vedono il reperto dell'antica giustizia settecentesca come un obbrobrio che ha fatto rammaricare i terracinesi per settanta anni. E, per questo, a metà ottobre, comincia a circolare per Terracina una petizione diretta al Segretario di Stato card. Consalvi, affinché si elimini la testa e la poco apprezzata memoria. E' il gonfaloniere (il sindaco del tempo) Paolo Fiorenza a scrivere in questi termini a Consalvi il 19 ottobre allegando alla sua richiesta la petizione popolare.

Dopo questa presa di posizione la proposta del governatore Consoni di spostarla a Porta Romana diventa conflittuale e si può aprire uno scenario preoccupanti perché, come appunto afferma il governatore, tutto allarmato: "per non aumentare le odiosità, che sono tanto facili a contrarre i Primarj di questo Luogo, quando non vengono secondati nei Loro desideri". Lo spettro evocato fa pensare ad uno scenario di intrighi, pettegolezzi, odi feroci e inimicizie radicali. Tutto vero perché le chiuse comunità del primo Ottocento vivono di riflesso gli accadimenti e tutto diventa personale. Del resto la lotta politica è un conflitto tra famiglie e fra persone.

Onde evitare tutto ciò, il governatore chiede che quanto aveva proposto, lo spostamento a Porta Romana della testa e della lapide, non venga rivelato, anche se l'adesione all'idea del Consoni da parte della Segreteria di Stato era stata espressa con le seguenti parole, rivelatrici della mentalità punitiva ma anche di un certo entusiasmo: "lo spettacolo [della testa e la lapide] risvegli l'idea della punizione estrema delle Leggi, e trattenga l'inclinazione di Coloro, che volessero intraprendere la carriera del suddetto Mastrilli. Si riconosce alla vostra proposta [quella avanzata dal governatore Paolo Consoni] uno scopo assai provido ed un prudenziale espediente per prevenire i delitti di Malvivenza, e perciò sarà vostra cura di adottare i debiti, ed opportuni mezzi, affinche quell'esemplare monumento di giustizia punitiva venga elevato in altro publico luogo, e resti esposto alla publica vista, come per il passato".

Malgrado questi giudizi perentori, la Segreteria di Stato fa marcia indietro al momento in cui il gonfaloniere presenta la supplica popolare. Motivazioni? Nessuna giustificazione ci dà l' Eminentissimo Principe Segretario di Stato, ma non è difficile scorgere che motivi di "ordine pubblico" in anni drammatici come questi della Restaurazione (a Terracina si era consumato da non molto la tragedia del sequestro di un gruppo di collegiali, con morti e feriti; nella stessa città il gruppo dei carbonari era molto forte e radicato in ogni dove) guidino l'azione del Consalvi il quale preferisce evitare fratture con i "primari" locali, anche perché sa che fra i maggiorenti si annidano molti nemici della Chiesa e dello Stato Pontificio. E, pur continuando a credere che l'esposizione della testa di briganti uccisi sia un deterrente, concede ai terracinesi di non vedere più l'obbrobrio della testa del Mastrilli. Facendo continuare però ad esporre teste e parti del corpo dei briganti che in quegli anni infestavano l'attuale Lazio meridionale e, certamente, anche a S. Stefano hanno eretto tali macabri trofei.

 

Le fonti si trovano in Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, 1822, r. 154, fsc. 7. La trascrizione dei documenti è letterale.

 

 
 
 

08.02.13

www.villasantostefano.com

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