20/01/2008

LA CONSULTA DI RIVISITAZIONE DEI TOPONIMI CIOCIARI
per la tutela dei dialetti come valore identitario e culturale

di Cristina Amoroso *
Tre sono i motivi che hanno spinto l’ INARS CIOCIARIA a istituire nel 2001 la Consulta di Rivisitazione dei Toponimi Ciociari (CRTC), un organismo informale che nel corso di alcuni anni ha visto riunirsi nella sede istituzionale agli Altipiani di Arcinazzo, in diversi workshop, studiosi, esperti e persone interessate all’ identificazione ed interpretazione linguistiche di etnici e toponimi dell’ Italia antica.
I nomi dei luoghi, come afferma la presidente, prof.ssa Cristina Amoroso, rappresentano un patrimonio culturale di notevole valore per la storia locale e, in quanto conservano spesso intatte forme di antica origine, sono autentici "reperti archeologici". Un ricchissimo patrimonio che andrà irrimediabilmente perduto per il concorso di tanti fattori: l’accorpamento di comuni viciniori, l’ espansione edilizia, la cultura di massa, ma soprattutto per la progressiva scomparsa dei "depositari delle tradizioni orali".
Oltre al rischio di scomparsa di molti toponimi il secondo motivo sta nella grande ricchezza e varietà dei dialetti ciociari, presi in esame in pubblicazioni locali: grammatiche, dizionari, interessanti studi di antroponimi …rimangono però isolati, patrimonio delle singole comunità, in secondo piano senza inserirsi in una visione globale della Regione Storica Ciociaria che tuteli i linguaggi regionali reputandoli un valore identitario e culturale.
L’ ultimo motivo nasce dalla considerazione che di molti toponimi l’ etimologia rimane oscura in quanto si vuole collegarne l’ origine all’ indoeuropeo o alla lingua latina perpetrando e divulgando errori che non danno ragione all’antichità delle popolazioni italiche del territorio ciociaro: Equi, Ernici, Volsci, Sanniti, Aurunci … preesistenti a Roma e "sicuramente dotati di una lingua propria che ancora vive nei toponimi".


* Presidente INARS CIOCIARIA e URSE


23/01/2008

TOPONIMI D’ORO DELLA CIOCIARIA STORICA
della Consulta di Rivisitazione dei Toponimi ciociari


"E le parole sono più tenaci delle pietre.
Dobbiamo auscultare il loro segreto
come in una conchiglia l’eco di oceani abissali.
Sono voci di popoli spenti,
ma che come astri spenti continuano
tuttora a mandare il loro messaggio di luce"

( Giovanni Semerano)

Che la Ciociaria storica comprendente le attuali province di Frosinone, Latina, parte della provincia di Roma e Caserta sia stata la terra dove si è sviluppata una antichissima civiltà precedente alla nascita di Roma, è un dato ormai accertato.
Che la Ciociaria storica abbia subìto nel tempo aggressioni militari e colonizzazioni culturali è una realtà che fa ancora fatica a penetrare nella coscienza collettiva e individuale, che non ricorda le parole di Milan Kundera: "Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E il mondo attorno a lui lo dimentica ancora più in fretta."
Tentiamo, per quel che ci consentono le nostre risorse, di partecipare all’opera sinergica di quanti, in questo periodo di estrema colonizzazione culturale in nome di una presunta globalizzazione, compiono sforzi perché la propria identità culturale non sia dimenticata, con la consapevolezza che le radici della memoria storica continuano a parlarci anche nelle parole, ad esempio nei toponimi.
Toponimo significa nome di un luogo, un nome che questo luogo ha avuto in un determinato momento storico e che esprime un forte legame con il territorio perché fornisce informazioni preziose, quasi uniche e non comunemente individuabili nei documenti, veri reperti archeologici di grande valore per ogni ricostruzione storica. Pezzi del passato rischiano di rimanere nel buio soffocati da una toponomastica nuova spesso imposta da situazioni nuove, come ad esempio i nomi di tante strade "storiche" dedicate ai Savoia o agli artefici del Risorgimento italiano, che hanno cancellato le antiche denominazioni legate all’esistenza di un bosco, una pianta, una famiglia, un’attività o anche un fatto locale.
Così la scomparsa di Via delle Cinque vittime a Supino ha annullato la memoria di un episodio di rivolta locale contro gli invasori dell’esercito napoleonico, come pure il cambiamento di nome della località Sica usti in Giglio di Veroli ha cancellato il ricordo dei marchiati a fuoco, i forzati dello Stato pontificio; mentre in borghi medioevali come Vico nel Lazio le varie Via Cavour o Via Vittorio Emanuele hanno spazzato via la toponomastica locale infliggendo grave danno alla memoria storica che non ricorda più il Vicolo delle Belle o delle Botti. Agiscono bene quei comuni che, senza mutare il nome dei vari personaggi storici che nel tempo hanno avuto una strada a loro intitolata, ne hanno aggiunto l’antico nome locale: così a Trevi nel Lazio la comunità o il turista può leggere, sotto l’attuale intitolazione, "già Vicolo Dritto" o "già Via Campo dei Fiori" o "già Rione Colli".
E che dire dei nomi delle città ciociare? La loro interpretazione etimologica rimane oscura nella maggior parte dei casi, in quanto si vuole collegarne l’origine all’ indoeuropeo o alla lingua latina, perpetrando e divulgando errori che non giustificano l’antichità delle popolazioni italiche del territorio ciociaro: Equi, Ernici, Volsci, Sanniti, Aurunci … preesistenti a Roma e "sicuramente dotati di una lingua propria che ancora vive nei toponimi". Sono questi i toponimi d’oro della Ciociaria perché risalgono alla protostoria di questa terra che rappresenta nei nomi dei luoghi una vera ragnatela storica tessuta nel tempo fino ai nostri giorni.


25/01/2008


A dimostrazione del fatto che manca una raccolta della toponomastica locale che non ricalchi pedissequamente opere precedenti interessate a dimostrare che "tutto nasce da Roma", togliendo ogni dignità alle antichissime città pre-romane della Ciociaria, si fornisce l’interpretazione del toponimo del capoluogo di provincia, FROSINONE ,troppe volte "bistrattato" dagli stessi Ciociari per il suo "brutto" suono, come diceva il ciociaro Landolfi, nome che nasconde però un’antichissima origine.
L’ antica Frusino, originariamente città dei Volsci, in territorio degli Ernici, è posta in cima ad un colle che declina rapidamente ad ovest verso il fiume Cosa, affluente del Sacco, cinta a nord e a sud e delimitata dai torrenti Cenicia e Rio, tributari del Cosa.
Tre sono le interpretazioni comunemente date al toponimo: la comunità prende nome dal Monte su cui fu edificata, di cui non si spiega però l’ etimologia; gli Etruschi di passaggio diedero il nome di FRUSINO, riconducibile all’ etrusco PRUSETNA, latinizzato in PRUSINIUS; il nome deriva dal greco PHAEROT, o da FRUSSO-FRUGO, con l’ idea di ARMENTI o di CITTA’ BRUCIATA.

Noi proponiamo, avvalorati dagli studi del grande linguista-filologo Giovanni Semerano, come etimologia di Frosinone, il significato di "TERRA IRRORATA DAI FIUMI" toponimo di antichissima derivazione pre-romana, in particolare sumerico-accadica da buru (acqua, specchio d’ acqua) e sanu – sinitu (irrorare, bagnare). Spiegazione questa non solo giustificabile a livello linguistico ma anche legata ai miti e alle leggende virgiliane sul ritorno dei Dardani di Enea in Ciociaria, sugli Arcadi di Evandro, sugli Etruschi di Tarconte, tutti di stirpe pelasgica, che hanno lasciato le loro orme nei toponimi ciociari.


A cura della Consulta di Rivisitazione dei Toponimi ciociari dell’INARS CIOCIARIA


27/01/2008

Gli studiosi di linguistica storica hanno da sempre attribuito un particolare valore ai dati idronimici, in quanto i corsi d’acqua segnano spesso i confini e sono perciò affermazioni di diritto, che perdurano anche nei casi di inondazione, i cui effetti rovinosi fin dall’antichità erano risanati in parte con opere di canalizzazione che ripristinavano i limiti di diritto cancellati dalle acque da cui erano stati travolti.
Così spesso gli idronimi conservano i segni di questi particolari. Il Nilo ad esempio porta nel nome il suo carattere precipuo di fiume che periodicamente esce dagli argini e invade i territori: se lo si interpreta correttamente, infatti, l’idronimo Nilo si chiarisce con la base corrispondente ad antico babilonese NILUM = INONDAZIONE. Ugualmente il Po, Padus, corrisponde a base accadica PATTU = CANALE che fa riferimento appunto alle opere di canalizzazione.
Alcuni fiumi o laghi conservano nel nome, se interpretato con origine sumerico-accadica, l’dea di DIGA-ARGINE, come il Clitunno, o di ACQUA IMPALUDATA, come il Tevere, l’Arno, il Trasimeno, il Senio. In altri casi gli idronimi fanno riferimento all’altura da cui hanno origine, come il Volturno, che significa "fiume che scende dai monti". Se gli antichi, spinti da condizioni di vita assai dure, potevano rivolgersi solo alla Natura per i loro bisogni e davano il nome alle acque, considerate divinità nel rispetto del loro carattere, l’uomo moderno ha spezzato il legame con la natura, dedito ormai ad elaborare ciò che gli serve al di là e al di sopra dell’ambiente naturale. Spariscono fossi, fossati, sorgenti, si inquinano i corsi dei fiumi, si cambiano nomi ricchi di storia che i nostri antenati ci hanno tramandato anche solo oralmente. Così in Ciociaria nessuno ricorda più un corso d’acqua, l’Arnara, che ha dato il nome alla Comunità: al suo posto passa una strada, il fiume è sparito. Eppure portava nel nome un’antichissima origine, come l’Arno toscano, o l’Arnon palestinese, l’origine accadica di ARANU = CASSA, stante ad indicare "un fiume dal letto incavato".
Se l’Arnara, troppo incavato nel suo letto per sopravvivere, non conserva più il suo posto nella memoria storica dei fiumi locali, altri corsi d’acqua censiti in Ciociaria - oltre quaranta - fanno di questa regione storica una terra ancora ricca di acque, nonostante le captazioni forzate. Fiumi, fossi, rii, torrenti, dall’Amaseno all’Aniene, dal Cosa al Fibreno ed ancora il Garigliano, il Liri, il Melfa, il Sacco, il Mollarino, il Peccia e il Rapido … a citarne i più importanti.
Prendiamo le mosse da un fiume storico della Ciociaria che è stato il vero fiume di Roma, prima del Tevere, come sta ad indicare il suo nome di Teverone, usato popolarmente fino ad un cinquantennio fa. E’ l’Aniene, l’antico Anio, il cui idronimo è accostato dalla leggenda ad Anio, re della Tuscia che vi rimase sommerso nel tentativo di perseguitare Cetego rapitore della figlia. Il significato del nome ben si adatta al fiume, che per la piovosità del bacino e la natura carsica del territorio gode di varie sorgenti perenni, alcune assai abbondanti e provenienti anche da molto lontano: Capo Aniene o la Sorgente di Riglioso, posta sul versante meridionale del Monte Tarino, la sorgente più copiosa presso le Grotte del Pertuso che generano il ramo dell’Aniene propriamente detto, mentre l’altro ramo, quello del Simbrivio nasce da una serie di sorgenti che scaturiscono dai monti Autore, Tarinello e Arsalone. Un paesaggio aspro accoglie il fiume che a valle di Trevi scorre in una valle incassata ricevendo altri tributi idrici come quello della Sorgente dell’Inferniglio e più a valle, nei pressi di Agosta, quello delle famosissime sorgenti dell’Acqua Marcia, captate fin dall’antichità come il precedente acquedotto dell’Anio Vetus, per portare a Roma l’acqua che Plinio considerava la migliore di tutte, "clarissima aquarum omnium", dono degli dei all’Urbe. Un fiume così ricco di acque da far gola agli antichi Romani che si accanirono contro queste popolazioni ancora oggi defraudate del loro bene più prezioso: la lunga storia della captazione dagli acquedotti romani è passata a risorsa per la produzione industriale locale e poi per la produzione di energia elettrica, oltre che per generare quegli splendidi prodotti che sono a Tivoli Villa d’Este e Villa Gregoriana.
Per chi oggi segue il corso del fiume, depauperato delle sue acque, non può certo immaginarne la copiosità del passato, quando dava luogo periodicamente a numerose inondazioni, da quella ricordata da Plinio il Giovane a quelle registrate dalle cronache locali nel 1688 e 1689 e ancora nel 1826. Sono state e sono ancora le numerose sorgenti dell’Aniene a dare ricchezza al fiume come anche l’idronimo indica. Lo storico fiume, affluente di sinistra del Tevere, ha le basi in comune con il fiume toscano Anio e con un famoso fiume spagnolo, il Guadiana, chiamato in latino Anas e in arabo Uadi-ana: l’idronimo corrisponde al semitico AIN, all’assiro ENU e all’accadico INU, e sta a significare la forza di SORGENTE.


A cura della Consulta di Rivisitazione dei toponimi ciociari


29/01/2008

DA FERE A FERENTINO A FIRENZE

 Una comune origine legata all’abbondanza delle acque

Il moltiplicarsi delle ricerche toponomastiche è indice per un verso del bisogno di cogliere il segreto ancora inviolato di nomi che hanno sfidato millenni restando quasi identici, per l’altro è esponente di difficoltà e di soluzioni inadeguate, in attesa di nuove impostazioni sul piano storico-linguistico, disposte a fruire di una realtà documentata che faccia giustizia delle arbitrarie ricostruzioni indoeuropee.
E’ il caso anche di Ferentino, antichissima città preromana, per il cui toponimo rimasto inalterato per secoli sono state proposte finora diverse lezioni: i più legano il nome alla fertilità (vedi il latino ferre = produrre), altri ad un mitico fondatore non ben identificato: Ferentio, Falerno … altri ancora all’ espressione caldea Beran dior di significato non molto chiaro.
Può sembrare originale proporre la stessa origine etimologica al toponimo di varie comunità distanti tra loro nel tempo e nello spazio: la Ferentino ciociara e la Firenze dantesca, l’ umbra Ferentillo, centro in provincia di Terni in Valnerina, la Ferento antica città dell’Etruria sulla Cassia, o l’antica Ferentum, oggi Forenza in provincia di Potenza.
Tutte queste comunità hanno un nobile parente nella città della Tessaglia di Fère, residenza del leggendario re Admeto, uno degli Argonauti che prese parte alla caccia del Cinghiale Caledonio, famoso per la sua ospitalità così ben rappresentato nel famoso Sarcofago di C. Iunius Euphodus e Metilla Acte, proveniente da Ostia Antica, oggi ai Musei Vaticani.
Queste località, e certamente altre cadute nel dimenticatoio o sottoposte a cambio del nome, sono accomunate dall’abbondanza d’acqua che le circonda e quindi dalla conseguente grande fertilità del terreno. Così le numerose sorgenti con le Terme di Pompeo a Ferentino, l’Arno, l’Africo, il Mugnone e il Terzolle che circondano Firenze, il fiume Nera e i suoi affluenti che avvolgono Ferentillo, il Bradano di Forenza nel Vulture e ancora il lago Boebesis e il porto di Pegasa di Fère in Tessaglia, da cui partì la spedizione degli Argonauti non sono indici di una grande abbondanza di acqua? E certamente fu l’acqua l’elemento primario da valutare per la fondazione di una città come Ferentino che grandi opere e grande tecnica avrebbero nel tempo fortificato a difesa delle genti e delle greggi e, come dimostrano i tanti nomi terminanti in –inum (sorgente), è dall’acqua che nascono tanti toponimi antichi: così Ferentino, città degli Ernici, ricca di sorgenti termali, circondata da più corsi d’acqua, deve il nome ad una base corrispondente ad accadico berittu , bertu-ini e sta ad indicare "terra circondata dall’ acqua sorgente", come Firenze, il cui toponimo non deriva da Fiorenza, ma dalla stessa base sumerico-accadica della città ciociara e delle altre dai noi elencate, indicante appunto il legame con l’acqua.
D’altra parte è ben attestato in Italia centrale il culto della dea Feronia, divinità preromana comune ai Sabini, agli Umbri, agli Etruschi, ai Piceni, ai Volsci, ai Vestini …Servio assicura che le erano sacre le fonti (Feronia mater nympha Campaniae), simbolo dell’eterna primavera, protettrice delle messi e della fertilità, il cui nome è originariamente un attributo di divinità delle acque fecondatrici.
Ma non solo il nome di queste comunità risale ad epoca protostorica, anche il simbolo delle stesse rappresentato oggi nello stemma civico, il cosiddetto "Giglio fiorentino", doveva risalire a tempi precedenti la romanizzazione. Se è vero che il giglio compare solo nell’Alto Medioevo in araldica, è indubbio che rappresenti un simbolo molto più antico, Plinio lo ricorda come geroglifico di fertilità e abbondanza in quanto presenta nella radice cinquanta germogli (quinquegenos bulbos), un fiore che, legato alla Grande Madre e alla civiltà matriarcale, nella fase successiva patriarcale si trasforma facilmente in fallo. Non è un caso che Ferentino, Firenze e Ferentillo abbiano mantenuto nello stemma civico il giglio, a ricordo della loro essenza di città ricche di acque e produttrici di fertilità. Così afferma Angelo De Gubernatis nella sua mitologia delle piante "Ritengo che la città di Firenze, e che il Re di Francia, allorché scelsero come emblema il giglio, pensarono alla moltiplicazione dei loro popoli e alla successione ininterrotta della razza".

A cura della Consulta di Rivisitazione dei toponimi ciociari


02/02/2008

Come è ormai accertato, nonostante le sparute testimonianze, tra i primi abitanti del Lazio troviamo molte genti che occuparono gran parte del centro e dei luoghi meridionali dell’Italia e specialmente lungo la catena degli Appennini: una grande famiglia discesa tutta da una medesima stirpe, e designata con il nome di Opici, Osci, Ausoni, Aurunci, provenienti – secondo la nostra ipotesi – dal medio oriente, come sembrano confermare i toponimi e le mura pelasgiche oggetto della nostra ricerca nella Ciociaria storica. Anche l’ archeologia preistorica ne attesta la presenza con la scoperta delle impronte di Roccamonfina, conosciute dagli abitanti del luogo come "impronte del diavolo" ma che, in realtà, sono le impronte fossilizzate su ceneri vulcaniche lasciate da tre uomini Aurunci discesi più di migliaia di anni fa lungo il monte per tentare di salvarsi dall’eruzione vulcanica.
Ma è soprattutto la linguistica a fornirci luce su questa popolazione. Già G.Devoto molti anni fa, a proposito del toponimo dei Monti Ausoni ed Aurunci, ne riconosce l’ origine anteriore alle cosiddette migrazioni degli indoeuropei. Quanto all’ INARS CIOCIARIA, la nostra Consulta di Rivisitazione dei Toponimi Ciociari si avvale delle recenti ricerche linguistiche relative alla decifrazione del sumerico accadico che, secondo lo studioso Giovanni Semerano, scomparso nel 2006, rappresenta la lingua madre alle origini della cultura europea, contro "La favola dell’indoeuropeo", titolo del suo ultimo libro, che nella premessa recita " Se i così detti potenti della Terra avessero consuetudine di frequentare il grande tempio della Storia, il mondo sarebbe meno intriso di sangue, meno bagnato di lacrime". Infatti un vincolo di fraternità culturale lega da cinquemila anni l’ Europa alla Mesopotamia, l’ attuale Iraq, dove fiorirono le "inarrivabili" civiltà di Sumer, Akkad, di Babilonia e l’ elemento di congiunzione tra Oriente e Occidente è Sargon I, il fondatore della dinastia di Akkad, nel III millennio a.C.
Tornando alla Ciociaria storica, spesso nell’interpretazione dei toponimi se ne danno orride o fantasiose lezioni, legate alla mera accettazione dell’ indoeuropeo oppure ad una passiva ripetitività di quanto letto. Non ci stanchiamo di ripetere che questa terra era abitata prima di Roma da genti civili, che costruirono le grandi mura e che diedero i nomi ai monti, ai fiumi ai loro villaggi fortificati. I toponimi "fortunatamente" non si cancellano facilmente e, anche se mutano aspetto, conservano nella radice la luce, come una pietra lavica, a dimostrazione dell’ esistenza di una corrente culturale dal Lazio fino alla Calabria anteriore non solo alla nascita di Roma, ma anche alla colonizzazione greca in Campania.
Così l’ incredibile antichità del toponimo Ausoni-Aurunci attinente a queste nostre contrade sud laziali si trova in linea con le recenti ricerche linguistiche, poiché nel nome è presente la base accadica "apsi-enu"che sta ad indicare l’ abbondanza di acqua, di sorgenti:"Popolo delle acque"quindi e Monti ricchi di sorgenti. Senza scendere nei particolari filologici e in difficili grafie fonetiche anche altri toponimi –nella nostra lettura – mostrano un legame con l’acqua, così Suessa , "stanziamento città sull’acqua"; Formia "stagno/acqua", Venafro "fiume delle paludi", Nola, ricordata da Ecateo come città degli Ausoni poi divenuta sannitica indica nel nome "terraferma non impaludata", così pure Nocera fa riferimento nel toponimo al fiume, mentre i Laurentani, in tempo storico vicini degli Ausoni, indicano nel nome "intorno allo specchio d’acqua".
Per altri toponimi della stessa area la derivazione sumerico-accadica appare ugualmente evidente. Se il toponimo di Pastena ha suggerito un’origine latina, che lo fa derivare dal verbo "pastinare", con il significato di "scassare per piantare", noi ne anticipiamo il nome nella sua origine ausonia, successivamente volsca e ipotizziamo il significato di "comunità legata alle asce, alle scuri" da una base accadica "pastum" che indica l’ ascia o da una base pasadu significante l’incidere.
L’ antichissima origine di Pico è documentata dal suo toponimo che si fa derivare da Pico figlio di Saturno, o da picus (picchio), uccello sacro a Marte o da picco, per la sua conformazione geologica. Partendo da un passo di Varrone che parla di Pilumnus e Picumnus, come divinità italiche custodi dei riti coniugali, divinità accostate a Picus, figlio di Saturno, ne troviamo una base accadica che richiama l’ autorità, nel significato di "signore" capo", quindi "città capo".
Per Falvaterra, l’etimologia comunemente fornita risulta dedotta da "Fabra", ovvero luogo abitato in massima parte dai fabbri e dal fiume Trerus (antico nome del Sacco), toponimo composto di due parole:"Fabra-Teria".Noi proponiamo per il toponimo il significato di "Regione degli abili nel bronzo", da base accadica indicante il significato originario di faber e atra = spazio, regione.
Per finire due piccole curiosità, che convalidano il nostro percorso di ricerca, la prima legata al nome antico di Terracina ANXUR, che nel nome richiama la massima divinità assira; cui è dedicato il tempio di Terracina; la seconda riguarda l’ antica città aurunca di Minturno, la cui origine si fa risalire al toponimo Menathur nel significato di Terra di fuoco, oppure al nome del dio cretese Minothauros, il cui culto minoico del toro, animale sacro, si riannoda al culto fenicio di Baal, ma il nome del "mostro" del Labirinto è legato ai miti del ritorno, come quello dell’ eroe Teseo; infatti la voce Minotauro significa in realtà numero dei cicli, da basi accadiche minu (numero) e taru (ciclo, ritorno). Quindi Minturno significa "la Terra del ritorno", tesi avvalorata dalla tradizione mitica legata ad Enea, secondo la quale Enea ritorna nella terra dei Padri.

A cura della Consulta di rivisitazione dei Toponimi ciociari


03/02/2008

La città nata da un raggio di sole

Nel nome di ALATRI si incontrano Oriente e Occidente, Cielo e Terra

Di Cristina Amoroso *

Un’antica leggenda narra che Alatri, l’antica Aletrium, abbia avuto i natali da un raggio di sole; una storia mitica che sembra trovare un fondo di concretezza il giorno del solstizio d’estate, il 21 giugno, quando tanti amanti della città ernica si recano sull’acropoli per assistere all’alba allo spuntare del primo raggio del sole che si allunga tra le mura ciclopiche. Il turista che si reca a visitare questo superbo patrimonio monumentale, guardato a vista da un leone, non può che rimanere esterrefatto, come Gregorovius, e chiedersi quando e da chi sono stati tagliati e incastonati quegli enormi macigni poligonali tanto pesanti da far pensare che non siano opera di uomini ma di giganti portatori di una tecnica tanto complessa e raffinata da sfidare le ingiurie della natura, degli uomini e del tempo.
Un mistero, sostengono in molti, come Pierluigi Proia che recentemente ha intervistato il fisico Giulio Magli, autore del libro uscito nel 2007 "I segreti delle antiche città megalitiche", suggestivamente sottointitolato "Il tempo dei Ciclopi in Italia e nel Mediterraneo" che forse riaprirà il dibattito scientifico su queste stupende costruzioni che hanno avuto il torto di non appartenere alle tre grandi civiltà su cui si sono concentrati nel Novecento gli studi accademici, quella etrusca, quella della Magna Grecia e di Roma.
Noi non abbiamo le conoscenze e le competenze proprie degli appassionati dell’archeoastronomia, che recentemente con tecniche rivoluzionarie è riuscita a confermare la datazione di Micene al XIII secolo a.C. o a stabilire una datazione molto più antica di quella comunemente sostenuta per altre opere monumentali simili. Con l’auspicio che queste nuove tecniche possano essere applicate anche alle oltre cinquanta comunità della Ciociaria Storica che posseggono mura ciclopiche, offriamo il nostro contributo mediante la linguistica storica, che, grazie alle scoperte archeologiche di antiche città mesopotamiche e alla decifrazione di migliaia e migliaia di tavolette rinvenute negli archivi dell’ enorme reggia di Mari e di Ebla scritte in cuneiforme in una lingua simile all’accadico, ha aperto nuovi orizzonti all’interpretazione della toponomastica europea in generale, e ciociara in particolare.
Per l’interpretazione toponomastica della città saturnia di Alatri sono state fornite nel tempo quattro ipotesi. La prima risalente al Nibby vi riscontra una base ebraica che richiama il concetto di "angusto" dalle caratteristiche del luogo: un "angusto colle" chiuso tra i monti. La seconda, espressa dal Tarzuini, lega il toponimo all’espressione siriano-fenicia di "dio braccio" o "braccio del dio". La terza collegherebbe il nome alla radice Baalath, termine che indicava la divinità fenicia Baal. La quarta, espressa dallo studioso G. Capone, interpreta il toponimo, similmente a quello di Velletri e Volterra, come "Terra appartenente agli Hetei profughi" ossia "Terra dei Pelasgi".
Sono proprio gli scavi del Medio Oriente, l’attuale Siria e Iraq, a fornirci una chiave di lettura del toponimo. Come ha ben visto Mons. Giuseppe Capone nel suo bel volume del 2002, "ALATRI - Il nome antico di una città più antica" è esistita un’altra Alatri, quella mesopotamica, ben tremilasettecento anni fa, come testimoniano le tavolette di argilla ritrovate negli archivi del palazzo di Mari. Siamo nella terra dei Sumeri, il popolo che iniziò la più antica civiltà dei tempi storici. E l’origine del toponimo dell’Alatri mesopotamica e dell’Alatri ciociara non può che essere spiegata con basi sumerico-accadiche: la città ernica, posta sopra una pendice nel punto più elevato, significò "ALTURA DEL LUOGO", cioè oppidum, deriva da basi corrispondenti ad arcadico ALU, ELU (alto, la parte alta) e ASRU, ugaritico ATR (luogo). Lo stesso significato originario di Velletri e Volterra.
Continueremo il viaggio da Alatri, l’Altura del luogo, ad altri toponimi legati all’antica religione stellare- solare dei nostri antenati pelasgi che all’alba della storia dalla Terra mesopotamica giunsero a Creta, a Tirinto e a Micene in Grecia ed anche … in Ciociaria.


* Presidente INARS CIOCIARIA


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La Ciociaria in PrimaPagina

up. 8 ottobre 2008

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