PRIMA CHE SCENDA LA NOTTE

ULTIMI ECHI DALLE ROVINE DELLA CHIESA DI SAN GIOVANNI IN SILVAMATRICE

Alatri (FR), Palazzo Conti Gentili  7 giugno 2008

Buonasera a tutti,

è un onore ed una emozione trovarmi qui, in questa splendida antichissima città, in questo Palazzo, a questo Convegno. E presentare una relazione dopo l’interessante e coinvolgente conferenza del prof. Priore Venceslai, e prima di quella della dottoressa Leo, che immagino altrettanto notevole.

Quando mi venne chiesto di partecipare a questa giornata, ed accettai con entusiasmo ed, ammettiamolo, un pizzico di timore reverenziale, visto che mi sarei trovato fianco a fianco di eminenti studiosi, illustri docenti, ricercatori, avevo in mente di trattare un argomento completamente diverso da quello che, invece, tratterò questa sera.

A farmi cambiare idea è stato un fatto di cronaca, al quale hanno dato rilievo gli organi di informazione. E’ una storia triste, quella che mi accingo ad esporre. Triste come tutte le vicende che riguardano monumenti, siti archeologici o paesaggistici, opere d’arte, del nostro Paese, l’Italia, che sono scomparse o stanno per svanire nel nulla, a causa, soprattutto, dell’incapacità di noi uomini, di avere rispetto e di salvaguardare il nostro Passato, la nostra Cultura, la nostra stessa Identità.

Lo scorso aprile, ignoti trafugatori hanno perpetrato l’ennesimo oltraggio dei confronti delle rovine della chiesa di San Giovanni in Silvamatrice nelle campagne di Villa S. Stefano, nella vallata del fiume Amaseno. Sono stati asportati a picconate numerosi elementi lapidei e reperti archeologici, risalenti a diversi momenti della secolare esistenza della chiesa.

Sarà mia cura descriverli a mano a mano che li incontreremo nel corso di questo resoconto, che vuole essere, più di ogni altra cosa, un doveroso omaggio al sito di San Giovanni in Silvamatrice, oltre che un dovere morale nei confronti di quelle vestigia e di quei nostri predecessori che le hanno costruite. Prima che su di esse scenda definitivamente la notte dell’oblio e della totale dissoluzione del suo ricordo.

Un monumento, quello di San Giovanni in Silvamatrice, che i più non avranno mai sentito nemmeno nominare, pur trattandosi della più antica testimonianza della fede cristiana nella vallata. Lasciato andare in abbandono dai suoi proprietari, attorno al secondo decennio del XX secolo, e dal quel momento diventato molto spesso vittima della vanga e del piccone dei tombaroli. Hanno scavato di più loro che gli archeologi. Anzi, non risulta che siano mai stati fatti dei saggi di scavo dalla Soprintendenza o da altri organi deputati. Non sapremo mai che cosa abbiamo perso per sempre. Di alcuni reperti ci rimangono vecchie fotografie in bianco e nero. Ultime memorie di manufatti di epoche passate, che mostravano le speranze, i sentimenti di fede, di genti da cui, bene o male, in qualche modo discendiamo.

In principio ci fu un sito che, probabilmente per le peculiarità morfologiche, venne ritenuto sacro. Vi intuivano la presenza di entità, di spiriti. Un genius loci certamente vi abitava. La Natura, la Grande Madre, in tutta la sua possanza, faceva sentire la propria voce. Attraverso fenditure del terreno, pozzi, abissi, rimbombava in superficie il formidabile fiume carsico che ancora oggi scorre sotto i ruderi, per poi sfociare, più a valle, in grandi vasconi in pietra. Attualmente abbeveratoi per il bestiame, ma "… usate nel passato per la lustrazione di uomini ed animali" (1).

Sino alla fine degli anni ’70, si poteva vedere una "grande pietra sacrificale con una scanalatura longitudinale per lo scorrimento del sangue degli animali sacrificati alle divinità. Tale pietra fu dai costruttori della chiesa inserita nelle mura ed oggi è caduta a causa del crollo di alcuni muri interni" (2). La pietra è scomparsa, inghiottita nella nera voragine del traffico di reperti. Ci resta una fotografia scattata nel 1977 dal fotografo Enzo Iorio e visibile sul sito internet www.villasantostefano.com.

La presenza della "pietra sacrificale" e dei grandi blocchi di tufo, posti lungo il lato sinistro della chiesa, e le due mezze colonnine in marmo, sembrano attestare la presenza di un antichissimo edificio di culto. Queste ultime si trovavano presso l’altare maggiore e, seppure a distanza di mezzo secolo, hanno seguito il suo medesimo destino. L’altare venne trafugato negli anni ’60, le colonnine sono tra i reperti rubati a fine aprile. Attorno al tempio, nell’attuale contrada San Giovanni, sorse un pagus. Come testimoniano i numerosi reperti riportati alla luce quasi sempre dall’aratro del contadino. La monografia del G.A.V. (Gruppo Archeologico Volsco) del 1975 parla di "... numerosi resti di ceramica, di pietre lavorate, di basoli e di resti di tombe"(3).

D’altronde, ad un tiro di schioppo abbiamo i resti della "Villa rustica romana" di Colle Fornale. E Privernum, laggiù, lungo il corso dell’Amasenus pater, nella Piana della Madonna di Mezzagosto, non è poi così distante.

Anche in queste contrade, l’avvento del Cristianesimo, non prima del IV o addirittura V secolo d.C., non cancellò le antiche credenze: vi si soprappose, materialmente. Ecco che, sull’arcaico tempio, venne eretta la chiesa paleocristiana. Alla quale, presumibilmente, risalivano i due archetti con decorazioni a spirale, che si trovavano murati sul lato destro della chiesa, anch’essi trafugati poche settimane fa.

Le grandi vasche in pietra vennero riconsacrate "come fonte battesimale per i catecumeni anche con il rito dell’immersione ancora in uso nella Chiesa latina in quei tempi. Che come luogo di battesimi il santuario venisse intitolato a San Giovanni Battista sembra perfettamente logico" (4).

Le invasioni barbariche, ma soprattutto le scorrerie dei saraceni del IX secolo d.C., decretarono la fine del villaggio e della chiesa di San Giovanni. Gli abitanti si ritirarono più a monte e sopra uno sperone di tufo fondarono l’attuale Villa Santo Stefano, mentre la chiesa paleocristiana, che vantava il titolo di "Matrix", chiesa-madre, venne inghiottita dalla boscaglia.

"…da questo momento la chiesa di San Giovanni fu chiamata "San Giovanni in Silvamatrice"" (5).

Verso al fine del XII secolo, forse grazie all’apporto di maestranze provenienti dalla vicina Fossanova, quei ruderi ripresero vita. Venne innalzata una nuova chiesa in stile romanico a navata unica e priva di abside.

Vi si accedeva attraverso il cosiddetto Portale Maggiore sormontato da una lunetta, forse un tempo affrescata. Il grande architrave monolitico si presenta spezzato. Ma non "a causa di una granata avuta durante l’ultimo conflitto bellico…"(6). Come asserito dalla monografia del ’75, ma smentito da Arthur Iorio; "…contrariamente a quanto si legge nel testo, l’architrave del portale grande non venne colpito da una granata durante la guerra, ma è crollato in seguito, come è visibile da foto nel 1950" (7).

La presenza di numerose croci "amalfitane", ovvero a "coda di rondine", ancora visibili sugli stipiti del Portale Maggiore e sui conci in peperino della facciata, hanno fatto ipotizzare che la chiesa di San Giovanni sia appartenuta all’ "Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme" o "Cavalieri Giovanniti" poi "Cavalieri di Rodi" e poi "di Malta". "Sorto in Terrasanta, qualche anno prima di quello dei Templari, secondo la tradizione ad opera di Fra’ Gerardo da Sasso, ma, più probabilmente, grazie ad alcuni mercanti amalfitani. Una loro confraternita assistenziale è attestata a Gerusalemme già nel 1070. La "Regola" venne approvata nel 1123 da Papa Callisto" (8).

Un’altra croce "amalfitana" scolpita sull’architrave di una porta interna della chiesa, si nota in una fotografia in bianco e nero scattata da Arthur Iorio negli anni ’50. La foto è importante in specie per un altro motivo; è l’unica immagine esistente della cosiddetta "Lapide Boccanappi". Reperto davvero interessante, principalmente dal punto di vista epigrafico ma, sventuratamente, anch’esso scomparso.

Arthur Iorio spiega "che era ancora sull’architrave nel 1960" ed "è stata rimossa ed asportata da ignoti" (9).

Si tratta di un epigrafe con testo in latino, a caratteri medioevali, che attesta la costruzione e donazione, nel 1439, della cappella, in stile gotico, annessa alla chiesa, da parte di un certo Boccanappi e della moglie Iacobella.

"CAPPELAM ISTAM FIERI FECIT PETRUS BOCCANAPPI CUUM IACOBELLA USSORI SUA PRO DEO ET AD HONOREM BEATI IOANNI BATTISTE AC ANIMARUM EORUM ET MORTUORUM EPORUM. QUI REQUIESCANT IN PACE AMEN. SUB ANNO DOMINI MCCCCXXXVIIII S/ECUND/A INDICTIONE NIC/O/LAUS AND/R/E ET NIC/O/LAUS DO/N/A/T/I FE/CE/RUNT O/PERA/. CHRISTE BENEDICATUR AMEN".

"Questa cappella venne fatta costruire da Pietro Boccanappi unitamente alla moglie Iacobella dedicata alla gloria di Dio ed in onore del beato Giovanni Battista per la salute delle anime loro e di quelle dei parenti morti, che riposino in pace. Amen. Nell’Anno del Signore 1439, indizione seconda. Nicola di Andrea e Nicola di Donato fecero l’opera. Che sia benedetto Cristo. Amen" (10).

Quella stessa cappella che la già menzionata monografia, non citando minimamente la "lapide", attribuisce erroneamente a Giacomo I dei Conti di Ceccano, signore di Maenza, facendola risalire ad almeno 77 anni prima.

Il Testamento del Conte, rogato il 24 aprile 1362, cita San Giovanni in Silvamatrice, laddove stabilisce di lasciare "la quarta parte del castello di S. Stefano alla Chiesa", a patto che questa provveda a pagare i restauri che lui stesso aveva commissionato "per le chiese di S. Maria della Stella (lavori per 25 fiorini) e di S. Giovanni in Silvamatrice (lavori per 50 fiorini)".

Secondo lo studio del G.A.V., quanto ordinato dal Conte Giacomo I "più che un restauro fu un vero e proprio ampliamento: la chiesa venne ingrandita creando una nuova navata sul lato destro. Questa navata fu costruita in stile borgognone e la cappella finale della navata ebbe la volta a vela" (11). Lo stesso Arthur Iorio sottolineò il clamoroso sbaglio.

"Un appunto monografico sulla chiesa di S. Giovanni è stato curato per il Gruppo Archeologico Volsco da Carlo Cristofanilli. "La Chiesa di S Giovanni in Silva matrice", Ceccano 1975. E’ da notare che il testo erra quando dice che la cappella gotica venne costruita in seguito al lascito del 1363 fatto dal conte Giacomo di Ceccano" (12).

Il signore di Maenza apparteneva alla nobile schiatta comitale dei "da Ceccano". Che annoverano tra i propri membri, anche un pontefice e che, stando al Gregorovius erano di origine germanica.

"Michelangelo Sindici nella sua opera "Ceccano l’antica Fabrateria" pubblicata nel 1893 non condivide l’ipotesi avanzata dal Gregorovius. Secondo Sindici viveva nel VII secolo Petronio Ceccano, Consolare e Conte di campagna, dal quale Ceccano assunse l’odierna denominazione" (13).

E questo Petronio Ceccano o Petronius Ceccanus, era il padre del Pontefice Onorio I (625-638) "nativo della Campania (…) consacrato papa tre giorni dopo la morte di Bonifacio V, il 27 ottobre del 625" (14).

Seppur tra alterne vicende, i Conti di Ceccano furono, tra il XII ed il XIV secolo, feudatari di Villa Santo Stefano e dell’intera vallata dell’Amaseno, e vantarono lo Jus patronatus su San Giovanni in Silvamatrice. Inoltre, e questo potrebbe essere un ulteriore indizio della presenza Giovannita a Silvamatrice, molti membri dei "da Ceccano" appartennero all’Ordine dei cavalieri di San Giovanni, raggiungendo posizioni importanti e cariche prestigiose.

"Il più noto è quel Stefano, figlio di Gottifredo e Donna Giovanna de Ceccano. Sul finire del XIV secolo entrò nell'Ordine dei Giovanniti e, successivamente, divenne Priore dei Cavalieri Ospitalieri di Roma. Recenti studi indicano che rimase in carica sino al 1425. Anche Giovanni de Ceccano, imparentato con Stefano, rivestì, proprio in quegli anni, un ruolo importante nell’Ordine. Fu responsabile della Commenda Giovannita di Fano nelle Marche" (15).

Gli assodati rapporti tra i De Ceccano ed i "Giovanniti" datano, ovviamente, a ben prima del periodo tra la fine del XIV ed il XV secolo.

Sono diversi gli elementi che confermano una presenza "giovannita" nella vallata dell’Amaseno. Alcuni sono toponimi. Una località campestre tra Amaseno e Villa Santo Stefano si chiama "Costa San Giovanni". Ricordo di un luogo di culto dedicato a San Giovanni Battista (o all'Evangelista) oppure della presenza di un bene degli Ospitalieri.

Al lato destro della Collegiata di Santa Maria ad Amaseno, esisteva un oratorio intitolato a San Giovanni, rimosso nel 1921.

Sempre nell’antico Castrum Sancti Laurenti, si ha anche notizia di una chiesa di San Giovanni, in rovina già nel XV secolo, e di una "Porta di San Giovanni", secondo alcuni l’attuale Porta Nova.

Inoltre, esiste un Documento conservato nella Biblioteca Vaticana, di cui ne da cenno Giuliano Floridi. Trattasi di un "cabreo", da capibrevum ovvero caput breve; elenco, sommario, inventario, in cui sono riportati alcuni beni della Commenda Giovannita di San Giacomo a Ferentino.

L’inventario (Biblioteca Apostolica Vat., Cod. Vat. Lat. 10372, manoscritto pergamenaceo di pp. 110 tra recto e verso, cm 17 x 23,5) risale al 1333, voluto dal Priore Giovannita di Roma, recita testualmente:

"Status domus Sancti Iacobi de Ferentino assignatus per fratrem Thomassium priorem domus Urbis ex parte fratris Petri de Ozeto prioris dicte domus et in primis assegnati. Quoddam stabulum cuiusdam ecclesiae Sancti Johamnnis de Verulis per florenos X; Item pro quodam Ospitali castri Babuci per florenos XXX; Item unum posse in castro Sancti Laurenti de Valle quod tenet Franciscus de Ceccano.."

In pratica sono elencati i beni dei "Giovanniti" presenti a Veroli, con la Chiesa di San Giovanni, fuori Porta Romana, in località chiamata "Arnara" e l’Ospitale di Bauco (odierna Boville Ernica). Inoltre, e qui il discorso ci riguarda da vicino, compaiono i possedimenti nel Castrum di San Lorenzo in Valle.

Uno degli aspetti più interessanti è la data; 1333. Potrebbero trattarsi di beni già appartenuti ai Cavalieri Templari e successivamente ceduti agli Ospitalieri, dopo la cruenta soppressione del Tempio ad opera del Re di Francia Filippo Il bello e del Pontefice Clemente V.

Il manoscritto Vaticano non specifica quali siano e dove si trovino questi beni, che tra l’altro non compaiono più negli inventari successivi. Si parla, piuttosto genericamente del "Castrum Sancti Laurenti de valle". Come se il compilatore non sapesse con precisione la loro reale natura e dislocazione. Forse, nominando la località più importante, ovvero il Castrum Sancti Laurentii, voleva indicare l’intera vallata, in cui c’erano dei possedimenti non meglio identificati. Quindi, muovendoci sempre con i piedi di piombo, nulla esclude che anche San Giovanni in Silvamatrice, ne facesse parte.

Un altro richiamo, magari indiretto, ai Cavalieri Giovanniti, potrebbe essere un affresco, anch’esso oggi scomparso, che sopravvive nella memoria, ancora una volta, grazie alla fotografie degli anni ’50 di Arthur Iorio.

Vi si vedono tre oranti davanti a quella che si ritiene una Immagine Sacra. Non più visibile già all'epoca della fotografia. Uno dei personaggi, il primo a destra nella foto, porta una barba fluente e un bastone da pellegrino con legata in cima una sacca, chiamata "scarsella", con, ben visibile, una conchiglia di San Jacopo, il pecten o conchiglia di Venere. Il dipinto ritrae quindi dei pellegrini. Come confermato anche dal "bordone", il tipico bastone, portato dal primo degli oranti. Si tratterebbe, pertanto, della testimonianza di un collegamento tra il sito di San Giovanni in Silvamatrice ed i pellegrinaggi.

E la peregrinatio per eccellenza, dopo quelle a San Pietro a Roma ed al Santo Sepolcro a Gerusalemme, era il "Cammino di Sant'Jago". Avente come meta il Santuario di Santiago de Compostella, in Galizia, nella penisola Iberica. San Jacopo, San Giacomo, il cui simbolo è appunto la conchiglia bivalve chiamata "pecten". La quale rivestiva un profondo valore allegorico, raffigurava infatti una mano che si apre, pronta a soccorrere, ad aiutare, a portare conforto.

Ma vi influiva anche l’agiografia. Secondo la "Legenda Aurea" di Jacopo da Varagine, Cristo sarebbe stato battezzato da San Giovanni proprio con una conchiglia di "pecten". A Firenze, la fonte battesimale, capolavoro del XV secolo di Bernardo Rossellino (1409-1464), della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, è sormontata da una conchiglia. Intuibile, quindi, i significati legati al Battesimo ed alla Resurrezione, così come il pellegrino, concluso il proprio viaggio, e sciolto il voto, poteva cominciare una nuova vita.

Con l'affresco di San Giovanni in Silvamatrice, il committente, voleva forse ricordare di aver compiuto proprio lui, il pellegrinaggio a Santiago di Compostella, oppure testimoniare la propria devozione ad un santo pellegrino (probabilmente l'icona non più visibile verso al quale pregano i tre personaggi). Non risultando alcun culto per San Giacomo a Villa Santo Stefano o in altra località della vallata, l’unico riferimento potrebbe essere proprio con la Commenda ferentinate.

Tornando al Boccanappi, il vero committente della cappella, non si sa assolutamente nulla di lui. Arthur Iorio lo riteneva originario di Roma, stabilitosi a Sancto Stephano de valle, in quanto chiamato a svolgere incarichi amministrativi. La moglie sarebbe di origini locali, visto che il nome Jacobella è rintracciabile in paese ancora a tutto il XVI secolo.

Successivamente, "venne deciso di integrare la Cappella nella struttura della Chiesa preesistente, provvedendola di una navata di accesso, aperta attraverso archi a sesto rialzato…" (16). Attraverso il portale minore e la navata, si accedeva alla cappella grazie ad un grande arco a sesto acuto.

Tutti gli ambienti e la facciata della chiesa erano decorati da numerosi affreschi. Secondo Arthur Iorio, forse l’ultimo che riuscì a vederli ancora leggibili, lo stile di alcuni richiamava la mano di Antonio d’Alatri. A noi nulla è concesso dire di queste opere d’arte. Visto che ormai sono della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Molti si sono sgretolati, altri travolti dal crollo di alcuni muri, altri ancora letteralmente asportati. Sopravvivono, qua e là, pallide tracce di pittura. Mentre sulla facciata, a destra del portale maggiore, resiste ancora, non si sa per quanto, l’ultimo lacerto della raffigurazione del volto "di un santo in dalmatica, forse Santo Stefano" (17).

Si riporta, a puro titolo di curiosità locale, l’asserzione di molti santostefanesi, secondo la quale, rappresenterebbe in realtà il Battista. In quanto il primo raggio che sbuca dal Monte Siserno, la mattina del 24 giugno, illumina proprio quel punto della facciata.

La chiesa era arricchita anche da sculture, decorazioni e simbologie, incise sui blocchi di peperino e di tufo. Una fotografia degli anni ’70, sembra mostrare una testina zoomorfa sull’altare della cappella gotica. Visitatori dei decenni trascorsi parlano di fregi a forma di spirale, di acquasantiere scavate con mirabile arte in blocchi di pietra. Nulla di tutto ciò è sopravvissuto. Tranne, almeno sino a qualche settimana fa, un concio di tufo, quasi cubico, di circa 50X50X40 cm, con sopra inciso un consunto simbolo della "Triplice Cinta".

Ormai rimane soltanto la "palmetta" sul portale minore, che secondo la monografia del G.A.V., che evidentemente fa un po’ di confusione tra i due "Giovanni", si tratta di un "richiamo evidente al martirio di San Giovanni nell’isola di Patmos" (18).

Probabilmente, la "palmetta" è una semplice e convenzionale decorazione, piuttosto frequente negli intradossi dei portali. Priva, quindi, di alcun particolare significato simbolico.

In ogni caso si trova sull’ingresso della cosiddetta "navata minore", quella aggiunta del XV, seguita alla costruzione della "Cappella Gotica", che sappiamo, grazie alla "Lapide" indiscutibilmente dedicata al "Battista"; "alla gloria di Dio ed in onore del beato Giovanni Battista".

Quindi se il fregio rimanda al Martirio è senz’altro quello del "Precursore"ad opera del boia di Erode. San Giovanni Evangelista, infatti, stando alla tradizione ed all’agiografia cristiana (sia occidentale che orientale) "sarebbe morto molto anziano tra il 98 ed 117 d.C., all’epoca dell’Imperatore Traiano" (19). Effettivamente tentarono di metterlo a morte, in quanto si rifiutava di sacrificare agli dei ma con scarsi risultati. L’Imperatore Domiziano (81-96) autoproclamatosi, come ci riferisce Svetonio, "dominus ac deus", impose in tutto l’Impero il "Culto della Sua Persona". Rifiutare di sottostarvi significava diventare oggetto di persecuzione. Secondo molti studiosi la stessa "Apocalisse di Giovanni" daterebbe proprio in quel determinato periodo storico. Lo confermerebbe il violento attacco ai "Nicolaiti", contenuto nell’opera (Ap 2, 6). Ovvero coloro che accettarono di partecipare ai culti ed ai sacrifici per l’Imperatore pur rimanendo cristiani nel proprio animo.

Secondo alcune fonti apocrife, soprattutto i cosiddetti "Atti di Giovanni" (redatti da un certo Lucio Carino nel II secolo d.C., infarciti di episodi prodigiosi e straordinari ed impregnati di una buona dose di gnosticismo) a San Giovanni posero davanti un calice colmo di veleno, intimandogli di berlo. L’Evangelista lo benedisse facendone uscire un serpente.

Jacopo da Varagine (o da Varazze), invece, nella sua "Legenda Aurea" (20) narra che a Roma, presso la "Porta Latina", San Giovanni venne immerso in un calderone d’olio bollente ma che ne uscì illeso. A seguito di questo episodio fu esiliato nell’isola di Patmos, nell’arcipelago delle Sporadi Meridionali nell’Egeo. "Mi trovavo nell’isola detta Patmos a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù" (Ap 1, 9)

Qui, all’interno di una grotta, ancor oggi esistente e trasformata in un venerato Santuario dai Cristiani ortodossi, ebbe una Visione, una Rivelazione Divina delle "Cose Future" sino alla Palingenesi finale. "Venni afferrato dallo Spirito nel giorno del Signore e sentii alle mie spalle una voce potente, come di tromba, la quale diceva: Quel che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese , a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia,e a Laodicea" (Ap 1, 10-11). Descritta, appunto con un linguaggio oscuro e criptico nell’ "Apocalisse" (termine che in greco vuol dire proprio "rivelazione"). Il "Libro" del Nuovo Testamento tra i più discussi e studiati della storia dell’Umanità. Inoltre, nel Medio Evo circolava un’altra leggenda sull’Evangelista (che i Greci chiamano San Giovanni Teologo), basata su una determinata interpretazione del famoso passo evangelico; "Si eum volo manere donec veniam" (Gv 21, 22 e 23). Giovanni non sarebbe, quindi, mai morto ed attenderebbe la Seconda venuta di Cristo, in uno stato di morte apparente in una cavità presso Efeso in Asia Minore. Dopotutto proprio in quella città si sarebbe stabilito dopo l’Ascensione, assieme alla Madonna. In una casa identificata con l’edificio accanto alla antica basilica, presso una collina denominata "Monte dell’Usignolo". Qui la Vergine sarebbe rimasta sino all’anno 46 d.C., quando a circa 64 anni di età, sarebbe stata assunta in Cielo. E proprio sotto quella collina dormirebbe l’Evangelista. Attualmente, la "Casa di Maria", è una piccola Cappella, presso la quale hanno pregato anche i Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e, nel 2007, anche Benedetto XVI.

Da questo breve excursus sulla figura, le opere e le fonti legate all’Evangelista si evince facilmente che a Silvamatrice non è rinvenibile la pur minima traccia di tutto ciò. A conferma che sarebbe proprio il "Battista", il santo titolare della chiesa. Da non scordare che la venerazione nei suoi confronti è diffusissima in tutto il Lazio. A Roma, nella chiesa di San Silvestro, in un reliquiario è conservato un cranio che secondo una epigrafe in latino sarebbe quello autentico del figlio di Santa Elisabetta e di Zaccaria (21).

Per concludere, Boccanappi avrebbe mai potuto intitolare la propria Cappella al Battista avendo cognizione che il resto della chiesa lo era all’Evangelista, sapendo quindi che avrebbe creato confusione ed in un certo senso, mancato di rispetto ad entrambi i Santi?

La Chiesa di San Giovanni in Silvamatrice possedeva un notevole corpus di simboli incisa sulle sue pietre. Oltre alla "Triplice Cinta", per i cui significati rimandiamo ad altre trattazioni, è stato segnalato, profondamente scolpito su un concio alla base della facciata del XII secolo, un triangolo equilatero. Segno di riconoscimento di qualche corporazione di scalpellini oppure richiamo alla simbologia della Trinità? Un altro enigma che, probabilmente, San Giovanni in Silvamatrice non svelerà mai.

Estintisi i Conti di Ceccano, la chiesa, come tutta la vallata, passò ai Colonna che, dopo averne avuta scarsa cura nel corso dei secoli, nel 1910 la vendettero alla famiglia De Luca di Amaseno.

San Giovanni in Silvamatrice, lentamente, ma inesorabilmente, divenne cava per materiale di costruzione ed indifesa preda di tombaroli prezzolati e sciagurati vandali.

Eppure, nonostante tutto, a riprova di quanto la sua presenza fosse radicata negli animi, nelle tradizioni, nella fede, nell’identità stessa di un popolo, sino agli anni ’50, rimase "meta di gruppi di giovani d’ambo i sessi, scortati dalle nonne, che inghirlandati di vitalba, si recavano il giorno della festa del santo per i riti di comparatico di San Giovanni" (22). Si facevano, come si dice in paese, "compari" e "commari di San Giovanni".

Oppure, raccontano ancora gli anziani santostefanesi, vi si recavano, per "ascoltare la matrice", cioè quel torrente sotterraneo che risuonava attraverso un antichissimo pozzo, forse una "favissa", sino alla superficie.

San Giovanni in Silvamatrice è un luogo evocativo, magico, soffuso di struggente bellezza, che sarebbe piaciuto agli artisti del Romanticismo, quale Friedrich, che ritrasse le rovine dell’Abbazia di Eldena vicino a Greifswald nella baltica Pomerania.

Se un giorno, epigoni di antichi viandanti, si avrà la ventura di fare un’escursione in quella contrada, che ancora reca il nome del "Precursore di Cristo", fermiamoci per un istante a contemplare quel groviglio di vegetazione. Che in un taciturno ma vigoroso abbraccio, avvolge brandelli di mura, invitti portali, lacerti di affreschi, cadenti navate, quasi a volerli sostenere, sostituendosi all’inadempienza umana.

In silenzio, cerchiamo di percepire gli ultimi echi di lontane storie, che ancora il vento sussurra tra le fronde. E quando riprenderemo il cammino, portiamo nei luoghi da cui proveniamo o ai quali siamo diretti, il ricordo di San Giovanni in Silvamatrice.

Se un giorno sparirà materialmente dalla storia, forse, sopravvivrà, almeno, nella memoria e nei sogni.

Giancarlo Pavat

 

 

(1) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 187.

(2) C. Cristofanilli ed il Gruppo Archeologico Volsco (G.A.V.) "La Chiesa di San Giovanni in Silvamatrice". Ceccano 1975.

(3) Ibidem.

(4) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 188.

(5) C. Cristofanilli ed il Gruppo Archeologico Volsco (G.A.V.) "La Chiesa di San Giovanni in Silvamatrice". Ceccano 1975.

(6) Ibidem.

(7) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 193.

(8) G. Pavat "Valcento. Gli Ordini monastico cavallereschi nel Lazio meridionale". Edizioni Belvedere, Latina 2007. pag. 182.

(9) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 190.

(10) Ibidem

(11) C. Cristofanilli ed il Gruppo Archeologico Volsco (G.A.V.) "La Chiesa di San Giovanni in Silvamatrice". Ceccano 1975.

(12) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 193.

(13) E. Papetti "I Conti di Ceccano tra Re, Imperatori e Papi". Cassino 2006. pag. 12

(14) C. Rendina "I Papi. Storia e segreti". Newton Compton editori, Roma 1983. pag 139.

(15) G. Pavat "Valcento. Gli Ordini monastico cavallereschi nel Lazio meridionale". Edizioni Belvedere, Latina 2007. pag. 183.

(16) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 191.

(17) Ibidem. p 189.

(18) C. Cristofanilli ed il Gruppo Archeologico Volsco (G.A.V.) "La Chiesa di San Giovanni in Silvamatrice". Ceccano 1975.

(19) "Dizionari dell’Arte – Santi" di Rosa Giorgi – Mondadori/Electa, Milano 2003; pag. 176.

(20) Raccolta di "Vite di Santi" del XIII secolo, scritta in latino dal domenicano Jacopo da Varagine (1228-1298) e basata anche sui Vangeli apocrifi. Ebbe uno strepitoso successo e diffusione nel Medio Evo e per tutto il Primo Rinascimento. Tanto da essere stata fonte d’ispirazione per numerosi capolavori delle arti figurative.

(21) A dire il vero, un teschio che secondo una secolare tradizione, risalente almeno al IX secolo d.C., appartiene a San Giovanni Battista è conservato in un prezioso reliquiario d’oro e pietre preziose nella cattedrale di Amiens in Francia. A Damasco, quella che viene ritenuta la tomba dell’Uomo la cui testa fu portata su un piatto a Salomè, è ancora oggi meta di pellegrinaggi anche tra i fedeli musulmani. L’Islam, infatti, al contrario dell’Ebraismo, tiene in grande considerazione il "Battista", considerandolo uno dei Profeti.

(22) A. Iorio "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". Casamari 1983. p. 195.

 

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Vergognoso saccheggio di reperti a San Giovanni in Silvamatrice VillaNews 5 magg.2008

La Chiesa di San Giovanni nel territorio di Villa Santo Stefano di Arthur Iorio (1983) - PrimaPagina magg.2008

 

La Ciociaria in PrimaPagina

up. 18 giugno 2008

www.villasantostefano.com

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