| La mattina del 24 agosto 
      1917 Ernesto Reatini si recò presso l’ufficio dell’anagrafe del comune di 
      Villa Santo Stefano per comunicare che il giorno precedente era nata 
      Guglielmina che andava così ad unirsi all’allegra brigata composta dai 
      piccoli Giuseppe, Felice, Romano, Virginia, Emilia e Maria. La fanciulla mostrò 
      immediatamente particolare attitudine all’apprendimento e allo studio, 
      doti che la porteranno all’età di soli dodici anni al desiderio 
      irrefrenabile di abbracciare la vita monastica. Lo fece recandosi insieme 
      alla madre, Flavia Palladini, presso la dimora delle Suore 
      Oblate dell’Assunzione, congregazione fondata nel 1865 da Emmanuel 
      Maurizio d’Alzon, canonico della Diocesi di Nimes in Francia, ordine 
      composto da religiose missionarie attive in 19 paesi del mondo animate da 
      un grande amore per Cristo e la sua Chiesa secondo la regola di S. 
      Agostino. Presso il convento di via Borgo Pinti a Firenze ultimò il 
      noviziato conseguendo il diploma di maestra ed assumendo, definitivamente, 
      il nome di suor Teresa Margherita. Durante il secondo 
      conflitto mondiale suor Teresa divise le durezze della guerra insieme agli 
      orfani e ai bisognosi che erano ospiti del convento, tra cui alcuni 
      bambini di Villa S. Stefano. Molti di questi riuscirono a sopravvivere 
      grazie ad alcune patate che suor Teresa aveva piantato nel giardino 
      dell’eremo, sacrificato per l’emergenza in "orto di guerra". I tuberi 
      erano giunti fino a Firenze in maniera rocambolesca come pensiero della 
      premurosa madre. Al termine degli eventi 
      bellici iniziò per suor Teresa Margherita la concretizzazione di un sogno, 
      quello di impegnarsi verso i più deboli nelle missioni in terre lontane, 
      per questo fu destinata a recarsi in Belgio dove si preparò spiritualmente 
      alla nuova esperienza che la condusse infine nell’allora Congo Belga. Paese questo estremamente 
      vasto dell’Africa Centrale, coperto da fitte e impenetrabili foreste 
      equatoriali attraversate da imponenti fiumi. La sua popolazione era 
      composta da più di duecento gruppi etnici ognuno con il proprio dialetto, 
      ma il swahili, che suor Teresa aveva appreso a Bruxelles li comprendeva 
      tutti. Le giovani religiose furono dislocate in una piccola missione 
      composta da capanne di fango e paglia a Butembo nella provincia del Nord 
      Kiwu nei pressi delle tristemente note frontiere del Rwanda, Burundi e 
      Uganda. Era questa una regione inesplorata caratterizzata da imponenti 
      catene montuose circondate da estesi laghi come il Tanganika. Evidente fu 
      subito a suor Teresa e alle sue consorelle la drammatica situazione 
      presente nel paese, martoriato sia da terribili malattie come la lebbra e 
      la malaria che dalle diffuse tensioni sociali che serpeggiavano tra le 
      diverse etnie. Nel 1960 il Congo Belga 
      divenne uno stato indipendente, il periodo che ne seguì fu caratterizzato 
      da violenti scontri di massa. La storia di quei anni fu drammatica, il 
      paese si ritrovò in una situazione di forte anarchia e di diffusa violenza 
      con un potere centrale indebolito. Nel 1961 fu assassinato il primo 
      ministro Lumumba, che diventò il simbolo per i movimenti di liberazione 
      africani più radicali. Il paese fu percorso dal 
      sangue e dal terrore. Il dilagare di una cruentissima guerra civile 
      costrinse suor Teresa e le sue compagne a fuggire all’interno della 
      foresta intorno ai monti del Virunga lasciando la missione alla 
      devastazione e alla ferocia. Vissero in condizioni estreme nutrendosi di 
      ciò che offriva loro la natura, molte missionarie perirono, le superstiti 
      furono accolte nei nascosti villaggi dei miti Pigmei rimasti per il loro 
      carattere gentile estranei ai disordini, si ritrovarono così "piccole 
      grandi donne tra piccoli grandi uomini". Deponendo il presidente 
      Kasavubu, il colonnello Mobutu pose fine alle violenze ed impose un regime 
      autoritario che durò fino al 1977. Ristabilita apparentemente la 
      quotidianità fu ricostruita la missione e le religiose ripresero la loro 
      attività di bontà e dedizione al prossimo, fu dopo quel periodo buio che 
      suor Teresa Margherita rimase impressionata dalla moltitudine di infermi, 
      vittime sia della guerra che della lebbra, che con gli arti devastati si 
      trascinavano intorno alla missione, elemosinando. La suora improvvisò così 
      un piccolo laboratorio dove venivano prodotte rudimentali protesi 
      utilizzando barattoli e stecche di legno di palma che migliorarono di 
      molto la disperata condizione di quei sfortunati. Le rare occasioni che la 
      riportavano in patria la vedevano protagonista di ogni tipo di iniziativa 
      finalizzata ad aiutare i suoi poveri orfanelli lasciati in Africa, cercava 
      di procurarsi ogni qualcosa potesse essere utile in Congo preoccupandosi 
      sempre di ridurre al minimo il peso di tutto ciò che otteneva, come ad 
      esempio, tagliando i lati in eccesso delle caramelle regalatele. Ma 
      nonostante il suo impegno continuasse anche in Italia, la sua presenza a 
      Villa S. Stefano presso l’amatissima sorella Emilia era per parenti ed 
      amici anche una continua scoperta di mondi esotici e misteriosi, 
      testimoniati sia dai suoi racconti appassionati che dai manufatti 
      artigianali di quei popoli lontani che suor Teresa amava regalare, magari 
      in cambio di qualche piccola offerta. Ma ben presto insistente la voglia 
      di ritornare sul campo si faceva sentire e "zà suora " come era 
      chiamata benevolmente dai suoi nipoti ben presto ripartiva, carica di 
      valigie, decisa come sempre a superare le corrotte dogane congolesi con 
      l’ausilio di mille stratagemmi. Nonostante i disagi e le durezze di quella 
      terra ostile, le interminabili lotte intestine e la malaria che la 
      segneranno definitivamente. Il suo spirito 
      caritatevole non fu mai scalfito ne mai cessò la sua voglia di amare. 
      Portò con semplicità la parola del Signore tra quelle popolazioni che 
      rispettò sempre profondamente nelle loro credenze e nelle loro pratiche 
      spirituali senza mai abbandonarsi a facili sincretismi religiosi. Quando 
      giungeva ai loro villaggi era sempre la benvenuta, Suor Teresa 
      Margherita era medico, maestra, mamma. Nella povera missione di 
      Butembo visse 43 anni della sua vita donando tutta se stessa all’amore per 
      Dio e per gli uomini fino a quando con una lettera, scritta come spesso 
      faceva sul retro di qualche scatola di medicinale, comunicava la necessità 
      di rientrare in Italia a causa dell’età e della salute ormai pregiudicata 
      dai tanti disagi. Gli ultimi anni della sua 
      vita li trascorse a Firenze tra l’amore delle sue consorelle anche se il 
      suo pensiero, perennemente avido di notizie rubate ai telegiornali o ai 
      quotidiani, era sempre rivolto all’equatore. La morte la colse il 14 
      settembre 2002 vicino al giardino del convento dove lei stessa 
      giovanissima aveva piantato un cipresso che le piaceva immaginare fosse 
      essere l’enorme baobab sotto cui avrebbe voluto riposare abbracciata per 
      sempre dalla rossa terra d’africa. 
      Marco Felici |