MARCO FELICI

QUANDO PASSO’ LA BATTAGLIA

VILLA SANTO STEFANO 1943 / 1944

CON AMMIRAZIONE E RISPETTO AD ARTURO, ILIO E ANTONIO, GLI INDIMENTICABILI FRATELLI GIACCHETTA.


“… POI GLI DISSERO TUTTO QUELLO CHE HAI VISTO RICORDALO
PERCHÉ CIO’ CHE DIMENTICHERAI RITORNERA’ A VOLARE NEL VENTO…”
RACCONTO CHEYENNE

Ho accolto con piacere l’invito di Marco Felici, giovane ricercatore santostefanese e nipote del mio amico di sempre Antonio Felici, di scrivere poche righe a mo’ di prefazione per questo suo lavoro che corona un decennio di ricerche archivistiche, di sopralluoghi, di contatti e interviste con militari americani, francesi e tedeschi che hanno operato, negli anni del secondo conflitto mondiale, nel territorio del nostro paese. Il libro racconta le vicende della Valle dell’Amaseno e, in particolare, di Villa Santo Stefano nel corso della seconda guerra, soprattutto nei mesi che vanno dall’ottobre del 1943 al maggio del 1944. Il rigore documentaristico e la trattazione davvero esaustiva delle vicende belliche relative a Villa, fanno di questo libro, a mio modesto parere, una pietra miliare per la conoscenza della storia del nostro passato e per la salvaguardia della nostra memoria storica.

Ilio Petrilli
 
 

Il titolo della ricerca curata da Marco Felici esercita immediatamente un effetto fortemente attrattivo per chiunque, non solo per il cultore di storia o per l’appassionato di cultura locale.
È, infatti, espressione che evoca immediatamente il segno distintivo del racconto dell’anziano ciociaro, dei nostri nonni e padri, di coloro che rispondendo a domande, o nel semplice colloquiare quotidiano, menzionavano la guerra come la vissero, nelle nostre terre.
Chiunque di noi, da bambino e da adulto, con diversi stupori ed ovviamente diverse riflessioni, coglieva le storie di ciò che accadeva, e veniva vissuto, un tempo relativamente neanche poi tanto lontano.
Nel bambino, come nell’adulto, ai diversi riflessi dei racconti di quando passò la battaglia, sempre un dato si riscontra con assoluta certezza: il privilegio di vivere in un’epoca in cui certi drammi incredibili non avvengono più. O non dovrebbero più avvenire. Ovunque.
Marco Felici con spiccata naturalezza e sincera passione abbraccia con quest’opera quella missione silenziosa di tante persone, che quasi a dispetto degli anni che trascorrono, si adoperano per cristallizzare in interviste, domande, sensazioni da cogliere, quell’unico patrimonio che anagraficamente è destinato, in punta di piedi, a scivolar via…
La seconda Guerra Mondiale a Villa Santo Stefano era certamente parte della medesima guerra che infuriava in altre nostre contrade, strette come cioce agli eventi bellici drammaticamente noti in tutto il mondo, quali il bombardamento dell’Abbazia di Cassino, lo sbarco di Anzio, l’occupazione tedesca e l’oppressione esercitata sulla popolazione civile da tetre ideologie e drammi quotidiani di un popolo passato in poche ore da alleato ad occupato, e nemico.
Eppure il piccolo centro lepino, oscuro caposaldo quasi di terza linea, diventa lo scenario di fatti che mai la sua comunità ardì di immaginare.
“Villa” come familiarmente è chiamata dalla comunità dell’Amaseno è il proscenio incredibile ma tragicamente realistico di azioni di guerra, quella guerra, definita mondiale, ma capace di spingersi e palesarsi anche al di qua di Giuliano, o della “Macchia”…
Il paese, ultimissimo lembo meridionale di quell’ampia ed ancor per molti versi ancora non riconosciuta cultura lepina, diviene sin dai primi giorni di guerra teatro di eventi, di storie, di esperienze umane, che con questo libro Marco Felici vuole fotografare, e conservare.
Occupata immediatamente dopo l’8 settembre da unità tedesche della Divisione Hermann Goering impegnate a sud di Cassino, quindi da un’importante ospedale militare, ma anche caposaldo di un movimento di resistenza, la piccola comunità montana viene spinta, - esperienza comune a gran parte della nostra zona, - in quella guerra fino ad allora distante e mediata, abbarbicata a fronti lontani, a deserti o steppe mai conosciute e solo raccontate.
Invece “Villa” comincia da quel momento il suo umile ma leale servizio, il suo essere protagonista nel contesto di tragedie e follia che il conflitto porta con sé.
Marco svolge un lavoro minuziosissimo, tramite archivi di tutto il mondo, in maniera attenta ed in piena conformità ai canoni della cosiddetta nouvelle histoire, laddove i piccoli episodi quotidiani ben aiutano a comprendere un periodo storico in associazione alla descrizione tradizionale e classica degli eventi, secondo la storiografia ufficiale ed un po’ pomposa dei grandi personaggi e dei grandi giochi di potere.
L’autore, per usare un’espressione gergale militare, adotta il criterio della “saturazione di area”: tutto ciò che persino marginalmente può aver riguardato il suo paese negli anni di guerra, trova sicuro domicilio nel patrimonio di memorie e documenti, venendo in tal modo contestualizzato, e finalmente valorizzato.
L’indagine storica, che certo gode dei benefici della modernità, come ad es. Internet, i riferimenti bibliografici su scala mondiale, gli importanti contatti con reduci e cultori persino oltre oceano, strumenti della ricerca storica ormai disponibili in un modo solo impensabile sino a qualche anno fa, conduce l’autore, e suo tramite, noi lettori, a conoscere Villa Santo Stefano e le sue storie di guerra.
Le storie di quando passò la battaglia…
Ma anche il cuore ed il legame profondo con la terra natìa svolge un sicuro ruolo in cui ogni esperienza è funzionale e decisiva anche per lo studio storico. E poi il frutto della intelligente ed aperta condivisione con altri cultori ed appassionati, nella consapevolezza che certi risultati sono raggiungibili solo tramite il “team work”. Anche quando si verte su temi di storia locale.
Solo qualche anno fa, incontrammo casualmente, presso il cimitero di guerra tedesco di Cassino, una distinta signora tedesca, che periodicamente viene a far visita alla tomba del padre; alle nostre domande sul perché a Cassino, ci risposte, con il tipico inconfondibile accento, come il motivo fosse semplice, essendo il padre sepolto a Cassino, poiché morto a Villa Santo Stefano. Ursula, poi divenuta di casa a Villa, rappresenta per tutti noi i tanti figli che persero il padre in guerra, anche nella guerra a Villa. E che dinanzi alla richiesta di sapere, non ha esitato, assieme a molti altri intervistati o coinvolti dalla ricerca, di fornire il suo contributo a quest’opera. Che non è solo descrizione degli eventi bellici in zona.
Questa la scelta del racconto di Marco Felici, seppur tra dati militari e documenti inediti di fonte italiana e straniera, non manca mai di considerare, sottolineando sempre il valore umano che dietro le nozioni storiche e statistiche, si nasconde, per sorprenderci.
Ogni villasantostefanese diviene, nel mai distaccato o freddo esporre dello scrittore, un vero e proprio personaggio storico, che con estrema spontaneità l’autore fa parlare e rivivere nei vari capitoli, con cui scandisce l’esperienza del paese nei mesi di guerra.
Con il sicuro effetto di condurre ogni lettore, non solo l’appassionato di storia, nella scena descritta. E nella riflessione di quanto valori, paradossalmente nascenti da un periodo buio di drammi e violenze, riemergono vividi e luminosi.
Quando passò la battaglia…
Con essa passò, nella metà di un piovoso maggio 1944, anche la Liberazione, “portata” tra marocchini ed americani, con i drammatici riflessi da parte delle condotte degli uni, e con il sollievo e la speranza degli altri, attesi durante un freddo inverno di stenti e mitragliamenti aerei.
Ma un dato emerge determinato e concretamente schietto, com’è nello spirito di queste comunità: la semplicità mista al senso d’appartenenza, la generosità che ogni individuo, pur nella bufera che imperversava, seppe non solo mantenere ma addirittura sublimare nonostante gli occupanti, gli spezzonamenti, i rastrellamenti, e soprattutto, per tutti, l’insopportabile mancanza di cibo…
In questo triste quadro, ancor più si evidenziano le qualità di una gente contadina e buona, allorché l’autore descrive quel vero e proprio emblema che è rappresentato dall’aiuto fornito dalla popolazione al pilota americano Matthew O’Brien, che appena abbattuto, paracadutatosi ai margini del paese, viene nascosto, rivestito, aiutato in ogni modo, trovando negli abitanti di Villa, ancora occupata da nervosissimi tedeschi, con il fronte ormai ravvicinato, l’alto contributo oscuro ed anonimo, fornito alla Liberazione anche mediante questo gesto, a dispetto delle asprissime pene per chi avesse favorito, in qualsiasi forma, il nemico.
Proprio in quest’episodio si concentra lo spirito che sapientemente l’autore riesce a portare alla luce. Lo spirito di chi, vivendo quei duri momenti, vuole quasi passarci il testimone. Il senso di quanto l’individuo, persino se sottoposto a difficilissime prove, con fiero senso di dignità e sincera generosità, riesce, nonostante tutto a conservare quei valori di libertà per i quali è disposto ad affrontare qualsiasi avversità. Forte e consapevole dell’antica e radicata autenticità di quei valori, che sono la vera guide-line dell’opera, come espresso nella bella ed intelligente figura di Don Amasio. Ma anche di tanti suoi parrocchiani, figli di quella Villa, e di quella cultura.
Non è retorica: a fine ostilità Villa conta una distruzione del 40%, anche se da incrementarsi alla luce dei danni mai dichiarati.
Il ponte sul fiume Amaseno definitivamente crollato anche per via dei genieri tedeschi ormai in ripiegamento.
Violenze su donne e feriti da residuati bellici.
Coltivazioni e piccoli allevamenti completamente cancellati.
Derrate alimentari ormai esaurite da giorni, e tutto ciò su una comunità rurale di meno di duemila anime, che vede molti suoi figli non ritornare da fronti lontani, padri di famiglia ancora in prigionia o addirittura in servizio con gli Alleati laddove la guerra continua, come l’incredibile storia di Alfonso Felici.
Ma la ricostruzione inizia subito, tra mille sacrifici, senza attendere aiuti. Sempre con il conforto di quei valori di altruismo che la comunità, certamente non ricca, così come da prima della guerra, ha saputo proteggere. E che traspaiono sempre dagli episodi raccolti dall’autore.
Infatti, è la battaglia, non la guerra, che è passata.
Non è solo un’espressione dialettale, ma è la summa di quell’insieme di speranza e consapevolezza che oggi, e sempre, rimarrà l’insegnamento prezioso di quanti, testimoni di quei mesi d’inferno, vogliono assicurarci ad oltre sessantacinque anni.
È stata solo una battaglia, che non poteva non passare.
Come le bombe, la fame, il freddo…
Non poteva non passare, dinanzi all’incontenibile desiderio di rinascere. E di vivere…
Frosinone, 10 Maggio 2010

Avv. Alessandro Campagna