18 IL RAGAZZO DELL’
INDIANA
Il 16 maggio giunsero al campo di volo di Marcianise alcuni piloti del
324° Figther Group con il compito di istruire i colleghi dell' 86° all'uso
del Curtiss P40.
Alcuni di questi aerei erano infatti stati assegnati al 527° il 12 maggio
in attesa dell'arrivo dei nuovissimi P51 previsto per i primi di luglio.
Le condizioni dei caccia non erano però delle migliori tantoché i piloti
parafrasando il nome dei Curtiss, “ Falchi da combattimento” li
soprannominarono “Polli da combattimento”. Pochi giorni dopo al termine di
un eccellente lavoro, i validi meccanici del gruppo ripristinarono i
velivoli mentre gli A36 al termine del loro servizio, smontati, venivano
caricati sui camion per essere trasportati al loro vecchio aeroporto,
Pomigliano d'Arco. Qualcosa di loro sarebbe rimasto però sulla coda dei
nuovi aerei,la striscia bianca diagonale simbolo del 527°.
Il 22 maggio appena sei giorno dopo l'abilitazione al loro uso quattro
piloti si alzarono in volo dalla pista di Marcianise per una missione di
ricognizione armata. Il loro target era un ponte a San Giovanni a sud est
di Frosinone, il resto della missione sarebbe invece proseguita lungo la
rotta Ceprano, Pofi, Priverno, Sezze. Dopo aver superato i monti che
dividevano il mare dalla valle dell'Amaseno i P40 si diressero da est
verso il ponte che alle 14.40 in un unico passaggio venne distrutto.
Quindi riuniti in formazione dopo aver sorvolato Pofi puntarono la Highway
numero7 in direzione di Castro dei Volsci. Ma a nord del paese poco dopo
un ponte all'altezza approssimativa di 4000 piedi una postazione Flak
iniziò a sparare.
Uno degli aerei in formazione rimase investito dalle “Palle da golf “da
venti millimetri tedesche, era il velivolo del secondo Tenente William
Everitt e quella era la sua diciannovesima missione.
L'aereo era stato colpito al motore e parecchie delle sue parti avevano
investito le gambe e il ventre del suo conducente. Stringendo i denti via
radio con un filo di voce il pilota informò delle sue condizioni disperate
il Tenente Mitchell, il caposquadriglia, che gli ordinò di rientrare
subito alla base.
Virando di novanta gradi, allontanandosi dal resto della formazione,
Everitt completò un’ ampia manovra che gli permise di attraversare il
versante orientale del Siserno ma poi, al momento di riallinearsi, il suo
aereo si impuntò di colpo, il motore era irrimediabilmente andato.
Nonostante le ferite William riuscì ad abbandonare prima che fosse troppo
tardi l'abitacolo del suo P40 e, al limite delle forze, in maniera
disperata alle 15.30 si lanciò nel vuoto. Il Tenente Mitchell lo seguì con
lo sguardo da un altezza di 3000 piedi fino a quando non vide il
paracadute aprirsi, notò però anche con disappunto che l'ampia calotta
spinta dalla deriva stava planando verso nord troppo velocemente.Una volta
atterrato il caposquadriglia nel suo rapporto riferirà di aver visto per
l'ultima volta Everitt senza vita, avvolto dal suo paracadute dopo il
violento impatto con il terreno ai margini di una radura ai piedi del
Siserno.
Il suo P40 già in fiamme, invece, mordendo il terreno di Felice Reatini si
era avvitato su se stesso trascinato dalla potenza dei suoi 1300 cavalli.
La terra color corallo lo inghiottì nel fragore degli ultimi colpi del
motore mentre alte lingue di fuoco affiorarono minacciose dalla profonda
voragine.
Erano il preludio ad uno spettacolo pirotecnico degno della festa di San
Rocco, i proiettili all'interno dei caricatori iniziarono infatti a
brillare alternati dal sibilo dei traccianti che esplosero in mille
colori. Spaventata la folla che si era radunata e che angosciata stava di
nuovo rivivendo i tragici momenti di quel non troppo lontano 13 maggio si
disperse riparandosi dietro gli alberi. Il fenomeno durò alcuni minuti, al
suo termine sopra il Monticello, proveniente dagli Acquaroni apparve un
paracadute.
La sua tela semiaperta avvinta come una fiamma procedeva molto più
rapidamente del dovuto e il pilota che vi penzolava sembrava non essere in
grado di governarla, era William Everitt e quello scomparso nella terra
del Quarallo era stato il suo aereo.
Il copione di quel tragico lunedì era stato già scritto e gli avvenimenti
che seguirono replicarono quello che accadde il giorno dell'abbattimento
di Dealy e O'Brien. Un camion tedesco era intanto sopraggiunto dalle Mole
e dopo essersi fermato vicino alla carcassa dell'aereo attese che anche
gli ultimi focolai si spegnessero per verificare se la radio era ancora
utilizzabile, ma visto come era ridotto il relitto lasciarono il
trasmettitore dove era.
Correndo con i fucili in mano alcuni granatieri si avvicinarono alla
collina pietrosa dove malamente William era riuscito ad atterrare.
A lungo si pensò erroneamente che i tedeschi lo avessero colpito con i
loro Mauser mentre ancora ondeggiava nell'aria. In realtà lo trovarono già
a terra gravemente ferito sia per le lesioni riportate in combattimento
che per l'impatto violentissimo sulle rocce. Dopo averlo liberato
dall'imbracatura del paracadute macchiato di sangue, usando una scala come
barella, lo condussero verso l'automezzo, il pilota agonizzante,
flebilmente chiamava la madre.
Za Flavia commossa da quella dolce parola appena sussurrata si fece avanti
nella speranza che i granatieri le permettessero di porgere da bere al
giovane pilota sicuramente assetato per le ferite e il caldo opprimente,
ma i tedeschi risoluti lo impedirono. La capostipite dei Reatini non si
arrese e pregandoli di nuovo si rivolse ai militari pacatamente “
fammeceda’ d’abbiva a st’ por’ figl’ de madre” questa volta i tedeschi
sembrando capire il generoso proposito dell'anziana donna la fecero
avvicinare a William.
Delicatamente come avrebbe fatto la mamma alzandogli la testa Za Flavia
gli versò da una ricciola un breve sorso di acqua. Guglielmina che le era
accanto vide il pilota bere avidamente ma era più l'acqua che sputava che
quella che riusciva ad inghiottire, la bambina notò che quella andata
persa scendeva in piccoli rigagnoli senza bagnare la tuta di volo
scivolando su quella che a lei sembrava essere una enorme borsa d'acqua
calda gialla, in realtà era il Maewest, il suo giubbotto di salvataggio.
Rialzandosi Za Flavia lasciò con premura la mano di William per riprendere
quella della nipote, solo allora i granatieri rialzarono la barella di
fortuna che caricata sul camion si allontanò veloce in direzione
dell'ospedale. Giunto alla Vigna l'esanime Everitt con cautela venne
trasferito su una vera barella e con quella adagiato nel pianerottolo
dello Jnnere abtl, accorsero subito Lorek e un internista per medicare il
loro primo paziente alleato. Dietro di loro Za Peppa Bonomo che svolgeva
servizio di aiuto cuoca notò con dispiacere la smorfia che il primario
chino sul pilota fece alla vista delle gambe e del ventre insanguinati di
Everitt. Rialzatosi il medico austriaco estrasse dal camice bianco un
taccuino, ne strappò una pagina, e con la matita scarabocchiò qualcosa. Fu
chiamato il piantone con l'ordine di consegnare quell'appunto urgentemente
a Don Amasio, poi chinandosi di nuovo Lorek riprese a curare le devastanti
ferite del pilota ormai moribondo. Trafelato il portaordini raggiunse
vicolo San Pietro e senza indugio prese ad urlare il nome del parroco.
Comparve allora Mariangela Paggiossi che quasi rimproverandolo con la
pretesa che quello la capisse gli sussurrò: ” Statt’ zzitt’ che mo cala
monsignore, ti vu’ assida? “.
Il tedesco non ne ebbe il tempo, dalle scale apparve la possente figura di
Don Amasio che appuntati con cura gli occhiali lesse con interesse il
biglietto che il soldato gli aveva consegnato.
Corrucciò lo sguardo e facendo gesto al portaordini di seguirlo si
affrettò verso la Sacrestia dove prese un’ ampolla di olio santo. Mentre i
due si allontanavano Mariangela raccolse da terra il biglietto che aveva
così ombrato il prete, in bella grafia c'era scritto in latino miles
vulneratus, soldato ferito.
Il parroco ansimando arrivò trafelato sopra la Vigna e mentre riprendeva
fiato il povero William ne spirava l'ultimo.
Le sue condizioni erano troppo disperate per cui nulla erano valsi i
tentativi dei medici tedeschi per salvarlo. Lorek alzò lo sguardo, che
fino ad allora era stato riverso su Everitt e senza parlare fece capire ai
colleghi di allontanarsi per lasciare solo Don Amasio e la giovane anima.
Dopo aver pronunciato l'estrema unzione Amasio uscì dall'atrio salutando
Lorek, gli avrebbe voluto chiedere il permesso per celebrare una messa per
quel giovane soldato ma capiva che la situazione di emergenza di quei
ultimi giorni non lo avrebbe permesso. Il giorno dopo Everitt fu sepolto
nel cimitero di Villa Santo Stefano accanto a Robert Konzak, l'ultimo
soldato tedesco morto nell' ospedale, ad onorare il pilota americano la
presenza di un picchetto di granatieri che gli concessero una scarica di
moschetto. I colpi echeggiarono secchi tra i cipressi e in paese tutti
compresero che William non cè l'aveva fatta.
Lo capì anche Matthew O'Brien che il giorno prima nascosto tra i cespugli
del Monticello aveva assistito al dramma del commilitone. Lo aveva visto
passare a pochi passi da lui riverso sulla scala scortato dai tedeschi
senza che potesse fare niente. Ad aumentare la sua frustrazione i P40 che
sorvolavano radenti i Porcini, ne aveva riconosciuto qualcuno dalle sigle
ma non riusciva a capire perché avessero i simboli del 527° squadrone che
utilizzava notoriamente degli A36.
Non gli rimase altro che segnare sul retro del suo pezzo di carta l'ora,
il giorno e il luogo dell'incidente.
Sottotenente William F. Everitt
Matricola 0697261
Il suo aereo era un Curtiss P40 F ,numero di serie 41-20013 mentre la
sigla del suo motore v-1650-1 era 41-478807.
Arruolato il 15 gennaio 1942 a Fort Benjamin Harrison, era originario
della Contea di Scott nell'Indiana. Classe 1920 aveva frequentato la High
School , dopo il diploma come molti giovani della sua età venne impiegato
nell'industria locale che a causa della guerra era carente di manodopera.
Lasciato l'incarico civile frequentò il Corso Piloti presso l'aeroporto di
Barksdale assegnato al 476° Bomb Squadron del 335° Bomb Group arrivando a
pilotare anche un cacciabombardiere B26. Il 16 aprile del 1944 viene
aggregato al 527° Fighter Squadron del 86° Fighter Group , mentre il 22
maggio 1944 in combattimento perirà alla sua diciannovesima missione, sarà
seppellito nel Cimitero Americano di Nettuno nell'area F, fila 9, tomba 21
dopo essere stato decorato con la Purple Heart.
Il suo nome è ricordato insieme agli altri caduti della Contea di Scott
anche nel mausoleo eretto dai suoi concittadini nel dopoguerra a
Scottsburg nell'Indiana. Nel diario del 527 il nome di Everitt è riportato
il giorno 16 aprile 1944 giorno del suo arrivo all'unità insieme ad altri
otto nuovi piloti, oltre al giorno 22 maggio “.....perso oggi il
Sottotenente William F. Everitt, si è lanciato con il paracadute vicino
Villa Santo Stefano, Italy…… alla sua diciannovesima missione... Si era
unito allo squadrone il 16 aprile 1944....... Scomparso in azione William
F. Everitt matricola 0697261…….non è rientrato da una missione di
ricognizione armata.... Il suo aereo è stato colpito da una postazione
della Flak........il Tenente Everitt si è lanciato e il suo paracadute è
stato visto aprirsi vicino Villa Santo Stefano, Italy.....”.
Infine la nota più triste l'8 giugno 1944 “.....cattive notizie sono
giunte via radio, apprendiamo che il Sottotenente Everitt scomparso in
azione dal 22 maggio è stato ucciso e il suo corpo è stato seppellito a
Villa Santo Stefano a pochi chilometri da dove il suo aereo si è
schiantato......”.
La notizia raggiunge il suo squadrone a Pisa dove era stato trasferito
dopo la liberazione di Roma.
Alcuni membri del Governo Militare Alleato giunti in paese alla ricerca di
dispersi o caduti statunitensi trovarono la sua tomba nel Cimitero del
paese, dopo averlo traslato lo avrebbero tumulato definitivamente nel
Cimitero Americano di Nettuno. Il corpo di Everitt riposò in paese solo
dodici giorni, pochi ne ricordano la croce, tra questi il Sergente
Maggiore degli Osservatori William Presnell che in una lettera scritta ad
Alfonso Felici nel dopoguerra parla di un inglese o di un americano
sepolto nel cimitero vicino al loro accampamento.
Tre giorni dopo la missione in cui rimase colpito Everitt, il suo
caposquadriglia il Tenente Ellis F. Mitchell matricola 0754164 originario
di Plymouth in Massachusetts, che lo aveva scortato fino a quando era
stato possibile, fu costretto con il suo Curtiss P40 L matricola 42-10499
ad un atterraggio di fortuna sulla pista di emergenza di Anzio aveva
subito numerosi danni al motore durante l'azione del 25 maggio 1944 alle
porte di Roma quando distrusse sei camion tedeschi e ne danneggiò altri
nove.
Per questa e altre azioni venne insignito della Distinguished Flying
Cross.
86° Fighter Bomber Group
Il Gruppo Aereo Caccia era suddiviso in tre squadroni, il 526
simboleggiato da un cavallino su una bomba, il 525 contraddistinto da un
corvo nero e lo Squadrone di Everitt il 527 rappresentato da una
cornacchia che lancia una bomba.
Il suo motto era “Virtus perdurat “. Poco prima dell'invasione della
Sicilia il Tenente Robert B. Walsh di Felt in Idaho battezzo' gli aerei
A36 in uso all'unità “Invader”. La ragione di quel nomignolo fu semplice,
quei giorni infatti non si parlava altro che di invasione dell'Italia al
tal punto che poco dopo oltre al velivolo anche il gruppo stesso si
autodefinì gli “Invaders”.
Il caccia A36 era un P51 Mustang modificato, venne usato dal 86° fino al
luglio del 1944 mentre l'uso dei P40 fu limitato ad una breve parentesi
prima dell’arrivo dei moderni P47 Thunderbolts. Sulle code dei vecchi
Curtiss comunque venne verniciata una striscia diagonale bianca simbolo
dello squadrone.
L'86° gruppo venne attivato il 10 febbraio 1942 al Will Rogers Field in
Oklahoma dove imbarcato sulla nave svedese “S.S. Johnerikson” giunse
direttamente in Nord Africa. Nell’aprile 1942 l'aeroporto di La Senia in
Algeria diverrà la sua sede per tutto il conflitto africano. Nel luglio
del 1943 i suoi tre squadroni partecipano all'invasione della Sicilia. Il
22 settembre il gruppo dopo essersi trasferito all'aeroporto di Sele
vicino Salerno si stabilirà il 12 ottobre a Pomigliano d'Arco.
Il 30 aprile invece l'aeroporto di Marcianise vicino Caserta sarà la sua
nuova base prima della presa di Roma. Per il suo sforzo nella conquista
della capitale culminato con la missione 1258 del 25 maggio il gruppo
comandato dal Colonnello Harold Ekofahl riceverà una citazione
presidenziale.
A fine conflitto i suoi caduti saranno più di cento mentre gli aerei
nemici abbattuti cinquecentoquindici. Nel maggio del 1944 l'unita
assolverà al maggior numero di missioni durante tutto il periodo speso
oltremare, ottantasei saranno le azioni di quel mese distribuite in un
totale di quattrocentonovantuno uscite.
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