15  SPIE

L’avanzata dei liberatori procedeva lenta ma inesorabile e la presenza delle cicogne americane sempre più temerarie sulla valle dell’Amaseno alimentavano di giorno in giorno la speranza degli occupati.
Il lancio di volantini inoltre con testi di incitamento rivolti a quelle genti facevano sentire vicino il momento della loro liberazione. L’azione alleata non si limitò però solamente a questi interventi di carattere strettamente psicologico ma si concentrò soprattutto nella creazione di una vasta e sofisticata rete spionistica.
I suoi componenti agendo in incognito si sarebbero sforzati di carpire ogni possibile segreto nei territori occupati ancora dal loro avversario.
Dopo l’otto settembre, la nazione ormai irrimediabilmente lacerata, era attraversata da un numero imprecisato di sbandati, soprattutto profughi o disertori che vivendo ai margini delle comunità si confondevano con boschi e montagne. I servizi segreti,soprattutto quello britannico, approfittarono di questo popolo di sventurati infiltrandovi abilmente i suoi uomini.
A questi temerari era richiesta oltre che una buona conoscenza dell’Italiano, anche dialettale, tanto sangue freddo. Gli informatori venivano muniti, una volta raggiunta la zona delle loro investigazioni, di un apparato radio poco ingombrante che paracadutato di notte in luoghi convenuti gli permetteva di comunicare con il proprio comando. Attenendosi a tecniche ormai collaudate quasi puntualmente prima di un imminente attacco non era infrequente vedere uno di questi personaggi giunto chissà da dove discorrere apparentemente distratto con pastori o contadini.
Non sempre però queste infiltrazioni ebbero esito favorevole. Ai primi di marzo del 1944 due agenti inglesi vennero catturati all’imbrunire dopo che, paracadutati, tentavano di raggiungere la zona di Prossedi. Anche a Santo Stefano in quel caldo maggio del 1944 le cose non andarono diversamente.
Una mattina riscaldato dai primi raggi di sole l’ intraprendente Primo, in cerca di asparagi sulle alture sopra il cimitero, si accorse in lontananza dell’insolita presenza di un uomo che stava misteriosamente armeggiando tra dei rovi.
Quella figura gli era familiare, l’aveva notata giorni addietro ferma vicino la fontana in piazza mentre tranquillo addentava una mela in compagnia di un cane randagio. Era già da qualche giorno che quel tipo si aggirava in paese, chi gli aveva parlato diceva che si trattava di un soldato fuoriuscito siciliano che stava tentando di ritornare a casa. Dormiva nelle macchie e viveva di poco, durante la sua permanenza di fortuna non aveva familiarizzato con nessuno ma il suo sguardo apparentemente noncurante era sempre vigile e attento.
Primo prudentemente scelse di rimanere nascosto dietro un cespuglio di mirto mentre lo strano vagabondo ignaro della sua presenza riponeva delicatamente alcuni oggetti dentro una macera.
Dopo aver trafficato qualche minuto accertato che nessuno lo seguiva l'agente inglese fischiettando a passi lenti ritornò in paese. Solo quando superò la casa di Sor Costino, Primo decise di avvicinarsi al sospetto cumulo di pietre. Spostando alcuni sassi intravvide alla base del muretto alcune manopole e parte di un oggetto metallico,simile alla grande radio che aveva in cucina. Comprese allora di avere a che fare con una ricetrasmittente. Vicino all’apparato in un’altra cavità notò invece delle scatolette simili a quelle di sardine dei tedeschi ma con sopra scritto “ Meet” o qualcosa del genere.
Il misterioso uomo, indisturbato, continuò a frequentare Villa Santo Stefano per alcune settimane, fino a quando un giorno di metà maggio nessuno lo vide più. Così come nessuno vide più l’australiano Kim George Patterson e lo scozzese Gordon Lokead entrambe spie di Sua Maestà che aiutati dai fratelli Pisterzi per alcuni giorni si aggirarono su monte S. Biagio per spiare i tedeschi di Amaseno.
Ma negli stessi giorni un altro insospettabile agiva in paese, si trattava del medico condotto Vito Giannetta giunto in paese in maniera ancora del tutto ignota. Le sue origini erano siciliane anche se in realtà era un cittadino americano e a quei tempi il solo possedere un passaporto alleato in un territorio presidiato dai tedeschi era estremamente pericoloso.
Per un caso analogo il 14 gennaio 1944 la cittadina americana di origine polacca, Maria Orawiex, venne arrestata il 14 gennaio 1944 in contrada S. Lucia per poi essere rinchiusa nel carcere di Roccasecca dei Volsci, insieme al marito, Alceo Anticoli, fino al 3 maggio 1944. I due giulianesi erano stati traditi da un soldato di origini polacche della Hermann Göring che fingendosi disertore si era affidato alla donna solo per denunciarla una volta scoperta la vera nazionalità.
Giannetta era stato ufficialmente nominato l’otto agosto 1942 medico condotto di Villa Santo Stefano con la delibera numero ventitre, la sua professione gli aveva permesso di usufruire, sin da subito, di uno dei pochi e preziosissimi lasciapassare tedeschi che lo autorizzava, oltre ad una notevole libertà di movimento, anche all' accesso nei reparti dell’ospedale tedesco.
Negli archivi nazionali di Washington, è conservato un incredibile documento, si tratta di una carta geografica “G2” ovvero dei servizi segreti militari con allegato un rapporto, il 243, destinato alla Quinta Armata.
La data indicata è quella del 6 maggio, esattamente poco prima dell’arrivo delle forze alleate nella valle dell’Amaseno. Ebbene, leggendo attentamente le note riportate sulla mappa, gli unici obiettivi sorprendentemente riportati come certi nell’ area di Frosinone, oltre al ponte di Ceccano preparato per la demolizione ed un ospedale tedesco segnalato nella vicina contrada San Rocco, sono quelli relativi alla sola Villa Santo Stefano dove vengono segnalate minuziosamente tutte le postazioni tedesche. Quello che appare sconvolgente è che questi obiettivi sono contrassegnati con il colore viola che nel codice del controspionaggio indica le informazioni fornite da personale presente segretamente sul posto!!.
Ecco quindi che dietro la figura di Giannetta coscienzioso medico condotto possiamo trovare quasi sicuramente, secondo mia opinione, l’autore di quelle informazioni. Non a caso il primo giugno del 1944 fu proprio Giannetta, non per la sua capacità nel parlare l’inglese, ma sicuramente per il suo reale ruolo, a venire nominato tra altrettanti autorevoli candidati, rappresentante unico del Governo Militare Alleato. A stretto contatto con le autorità americane coordinerà ognuna delle delicate fasi legate alla liberazione del paese oltre a quelle della successiva ricostruzione. Solamente il 15 agosto 1944 quando il suo incarico verrà considerato esaurito il suo posto sarà affidato finalmente ad un santostefanese, Don Augusto Lombardi.
Mesi dopo, l’ 11 dicembre 1944, decadrà anche il mandato di medico condotto, affidato in seguito per delibera comunale al dottor Augusto Morra di Giuliano di Roma. L’ inconfutabile rapporto tra l’esercito americano e Giannetta continuerà però anche in seguito nonostante il suo allontanamento dal paese.
Alla fine dell’estate alcuni santostefanesi loro malgrado dovettero recarsi necessariamente a Roma, ci sarebbero riusciti solo dopo aver affrontato a piedi strade dissestate e ponti saltati e senza l’ausilio di nessun tipo di automezzo. Nella città da poco liberata avrebbero ritirato importanti documenti che l’italoamericano, ormai da mesi nella capitale, aveva dimenticato di consegnare a quelli che erano stati i suoi pazienti.
La piccola Diana Palombo, nata in agosto, era stata forse l’ultima assistita di Giannetta, per rispettare un impegno preso con i genitori e per affezione alla bambina fu fissato tramite telegrafo un ultimo appuntamento presso il Centro Medico Alleato al Foro Italico. Nella struttura militare la bambina avrebbe completato le visite pediatriche iniziate in paese.
All’ora convenuta immancabilmente puntuale apparve Giannetta, anzi il Capitano medico Giannetta. Avvertita però l'evidente sorpresa dei coniugi Palombo con una collaudata abilità l’ex medico condotto si concentrò sulla piccola paziente distogliendo così i genitori dalla sua divisa.
Solo congedandosi confidò ad Ermanno Palombo con forzata naturalezza il suo nuovo incarico, organizzare il rientro in patria dei militari americani feriti sul fronte italiano. Ma quello che meravigliò l’ufficiale della “ Torino ”, non fu l’impeccabile uniforme dell’US Army quanto i nastrini colorati segno di una comprovata anzianità di servizio. Forse l’ultima occasione in cui Giannetta ebbe contatti con qualche santostefanese fu quando Antonio Felici si presentò a casa sua con la speranza di ottenere un importante certificato. Nella circostanza l’ufficiale vestiva abiti borghesi ma non nascose ad Antonio di collaborare ancora attivamente con le autorità militare alleate. Tuttavia all’inizio del 1944, come Giannetta, anche un’altra spia era giunta in incognito in paese, si trattava del pittore Renato Guttuso.
L’artista durante l’occupazione tedesca della capitale fu membro attivo del Partito Comunista Italiano che clandestinamente svolgeva opera di resistenza contro gli occupanti tedeschi. Verso la meta del gennaio 1944 il pittore ricevette l’ordine dai suoi superiori di recarsi nella zona di Avezzano per preparare militarmente i gruppi locali. L’ingegnere Jolando Poggi che allora dirigeva una cellula partigiana all’interno della Societa Laziale Elettrica organizzò per lui la delicata missione fornendogli oltre che un autista anche un automezzo aziendale per potersi muovere liberamente tra quelle contrade.
Alla consegna del finto lasciapassare il funzionario bolognese raccomandò al giovane partigiano di fermarsi in incognito a Villa Santo Stefano.
Il collega e amico, Luigi Bonomo lo avrebbe accolto nonostante il pericolo che ciò avrebbe comportato alla sua persona. Per due giorni, pur conoscendo lo scopo reale della sua missione, il podestà non esitò a fornire rifugio e consiglio al giovane artista che seguendo le sue indicazioni poté raggiungere l'Abruzzo incolume.