GIUSEPPE PLANERA
"IL MARESCIALLO"

Giuseppe Planera
 
Esercizi ginnici durante l'addestramento
 
1940.Esercitazione dei ginnasti allievii cc. rr..
 
Alta uniforme
 
in servizio
 
scorta al Presidente
 
la grande soprano Magda Oliviero
 
 

Giuseppe Planera, meglio conosciuto come "il Maresciallo", nacque a Villa S. Stefano il 23 novembre 1921, da Angelica Sebastiani e Giulio Camillo, dopo la scomparsa di due fratellini, deceduti in tenera età e seguito nel 1927 dalle due gemelle Maria ed Antonia. I suoi genitori, persone semplici e lavoratrici, riuscirono a creare una discreta e sicura situazione economica, grazie a grandi sacrifici ed all’emigrazione di Camillo per diversi anni negli USA. Gli anni della sua infanzia furono vissuti, come per altri giovani santostefanesi, nell’Oratorio di don Amasio Bonomi; anche lui fu un "piccolo amico", cresciuto tra quei sani principi cristiani che mai l’avrebbero abbandonato nel corso della vita.

I suoi racconti, legati a quel periodo indimenticabile, trasmettevano tutto il fervore cattolico di don Amasio, ma soprattutto la sua grande attività educativa e formativa per i giovani del tempo.

Giuseppe, chiamato affettuosamente Peppino o Pino, partecipò alle gite in campagna o sulle colline circostanti, alla banda, al teatro nel Palazzo del Cardinale Iorio, all’Azione Cattolica, insomma a tutte quelle forme di aggregazione e socializzazione tipiche degli Oratori; tra i giovani di allora strinse un rapporto fraterno con Giuseppe De Filippi che, in seguito entrò nell’Ordine dei Pallottini. A 18 anni, il 10 giugno 1940 si arruolò nell’Arma come "Carabiniere a piedi", distinguendosi fin dall’inizio per le sue qualità di profonda abnegazione e fedeltà allo Stato e di responsabilità e sacrificio nell’adempimento delle missioni affidategli. Il 6 Dicembre 1940 fu destinato alla Legione Carabinieri di Napoli ed il 10 Dicembre giunse in territorio dichiarato in "Stato di Guerra". Durante quegli anni fu promosso Vicebrigadiere (1944) ed ottenne i seguenti encomi solenni dalla Legione dei Carabinieri Reali di Napoli:

- 10/9/1943 "prese parte con sereno sprezzo del pericolo alla difesa della Caserma Pastrengo concorrendo validamente a mettere in fuga il nemico".

- 1-20/12/1945 "in località S. Giovanni a Teduccio coadiuvò efficacemente il proprio Comandante di Stazione nelle complesse indagini che portarono alla identificazione ed arresto dei componenti di una vasta associazione a delinquere specializzata in furti a danno delle Forze Armate Alleate, riscuotendo il plauso delle Autorità e Popolazione".

- Aprile-Maggio 1946 - Torre del Greco "con eccezionale impegno,abnegazione e spirito di sacrificio, coadiuvò efficacemente i propri superiori nelle complesse indagini che portarono all’arresto di cinque pericolosi malfattori, rei confessi, responsabili di omicidio e rapina in pregiudizio di militari Alleati, riscuotendo il plauso delle Autorità Alleate e della Popolazione".

Agli encomi si aggiunsero le decorazioni di tre campagne (1943-1944-1945), il distintivo del "Fiero Bellico" (1940-43) e quello della "Guerra di Liberazione" (1948).

Nel 1947 fu promosso al grado di Brigadiere ed assegnato, per un breve periodo, alla scorta di Enrico De Nicola, primo Presidente della Repubblica. Nel 1949 fu inquadrato nella V Brigata Carabinieri di Napoli e successivamente nella III Divisione Ogaden dove rimase fino al 1967 anno del suo pensionamento a domanda. La sua carriera si articolò con le seguenti promozioni: Maresciallo Ordinario (1957), Maresciallo Capo (1959), Maresciallo Maggiore (1966), Sottotenente (1968) e con altre due decorazioni, Croce d’Argento (1958) Croce d’Oro (1966) per anzianità di servizio. Gli furono anche conferiti prima il titolo di Cavaliere e poi quello di Cavaliere Ufficiale.

Negli anni in cui prestò servizio presso la Caserma Ogaden di Napoli fu a diretto contatto con i Generali comandanti la Divisione, tra i quali Mariani, De Santis e De Siena che gli affidarono la sovrintendenza della loro segreteria.

In questo periodo ebbe la possibilità di seguire i suoi compaesani arruolatisi nell’Arma, con i quali ebbe sempre un rapporto di paternalistica colleganza. Dal suo foglio matricolare emerge il seguente giudizio complessivo: "Ufficiale di pregevolissime doti umane ed intellettuali, di emergenti requisiti morali e culturali, di impeccabile stile militare, sostenuto da altissimo senso del dovere, ha sempre svolto il servizio nell’Arma con un’azione di comando equilibrata, efficace ed autorevole. Ha profuso un incondizionato impegno nell’espletamento dei delicati incarichi attribuitigli, nei quali è sempre riuscito a coniugare le complesse attività istituzionali con le varie problematiche locali, individuando soluzioni sempre brillanti. E’ stato un punto di riferimento per la popolazione, nonché un chiarissimo esempio e sprone per il personale dipendente, la sua opera ha contribuito al progresso dell’Istituzione ed al lustro ed al decoro delle Forze Armate e del Paese".

Terminata la sua carriera nell’Arma dei Carabinieri, conclusa da Ufficiale, iniziò, nello stesso 1967, la sua seconda attività lavorativa presso l’ILVA, poi ITALSIDER, di Napoli, dove prestò servizio quale Vice Responsabile della Vigilanza e Sicurezza della fabbrica.

Il settore della Sicurezza, composto da circa 400 addetti, per lo più reclutati da ex-dipendenti delle forze dell’ordine, era nevralgico in quegli anni di contestazione e terrorismo; l’ILVA, con i suoi 15 mila dipendenti ed i sofisticati impianti, rappresentava un obiettivo strategico per attentati ed infiltrazioni terroristiche. Peppino ed i suoi uomini si trovarono ad affrontare situazioni complesse e talvolta veri e propri scontri, in difesa dell’azienda, degli stessi dipendenti e dell’ordine pubblico. Anche nel suo lavoro privatistico si fece apprezzare sia per le capacità organizzative ed amministrative, che per le doti di umanità e buonsenso, che gli fecero ricevere sempre il "rispetto" dei colleghi e di tutti quelli che lo conobbero, anche quando l’appellativo di "maresciallo" era stato ormai sostituito da quello di "cavaliere".

Grande fu l’attaccamento di Peppino al suo paese di origine, non ci fu un S. Rocco che disertò né dimenticò le tradizioni legate alla vita sociale, culturale e religiosa; amava giocare a carte al bar di "Zia Iole", e passeggiare "alla Porta" con gli amici con i quali intratteneva animate discussioni sulla politica locale e nazionale. Gli amici più cari erano i fratelli Ilio e Francesco Petrilli, Luigi Palladini, Renato ed Alfiero Tambucci, Alfredo Panfili, Guido e Maria Iorio, don Luigi Falconi, Antonio "di Agesina", Claudio Zomparelli, il maestro Angelino, ed Antonio "Filotea" Profondi furono i legami di affetto con i cugini Giulia ed Antonio Sebastiani, con i nipoti Vittorio (Lucio) e Luigi Planera, Nello e Luigino Tranelli (figli della cugina Irma, coniugata con Antonio Tranelli, cui fu legato per tutta la vita), che abbracciarono la vita militare seguendo le sue orme. Peppino era una persona seria e socievole, di grande onestà intellettuale e professionale, nel suo carattere erano presenti ben armonizzati la fierezza e concretezza ciociara con il calore e lo slancio dialettico partenopeo.

Appassionato di musica lirica, amava assistere alla rappresentazione delle Opere al S. Carlo di Napoli e fu orgoglioso dell’amicizia del Soprano Magda Olivero; inoltre amava il teatro di prosa ed in particolare quello dialettale napoletano. Anche a Napoli i suoi hobby erano semplici, partite a carte e bocce con gli amici, sempre alimentate sulla sua ironica filosofia napoletana e dal gusto della battuta fulminante.

Fu anche molto attivo nella vita parrocchiale, partecipò a pellegrinaggi ed azioni benefiche con i Padri Comboniani, suoi ultimi padri spirituali, dopo gli anni di avvicinamento ai Pallottini del suo fraterno amico Giuseppe De Filippi, divenuto ormai don Peppe, importante esponente dell’Ordine, figura di rilievo sia morale che organizzativo, ritrovato a Napoli negli anni ‘70.

Oltre allo spirito Peppino amava ritemprare anche il corpo; ottima forchetta gradiva stare a tavola con amici e parenti, spesso nella sua bella casa di Posillipo, la sua conversazione era amabile, ricca di aneddoti. Sempre di aspetto curato ed elegante, aveva una vera e propria passione per i dettagli, cravatte, scarpe, tipica dello "stile napoletano".

Molto importante per Peppino fu la famiglia; fu provato dalla prematura scomparsa delle due mogli, Giuseppina Aversa (1956) e Natalina Campanella (1981), fu un Padre attento, rigoroso ed affettuoso per i figli Maria Teresa e Giulio, ai quali lasciò l’eredità morale e cristiana che aveva guidato la sua vita. Morì il 28 maggio 1985 a Ceccano per un male incurabile che seppe affrontare con dignità e sopportazione, affettuosamente assistito dal punto di vista medico, dal genero Marcello, e confortato dai figli, dalle sorelle e dai due nipoti Guido e Paolo.

I Figli, Maria Teresa e Giulio Planera

Il Nipote Luigi Planera

 

 
 

up. 14.10.2010

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