come eravamo
Le elezioni comunali del 1970
LA STORIA SCRITTA DAI PERDENTI

di Conte Mancinella

L'idea geniale – di quelle, per intenderci, che possono deviare il corso della Storia – si sprigionò tra le bollicine del quinto bicchiere di spumante, al termine del solito matrimonio, schiamazzato e trangugiato nel mitico ristorante "Agostino a mare" in quel di Terracina.

Mentre lo stanco rosario degli "evviva gli sposi" teneva bordone al rito del taglio della cravatta dello sposo – grossolana liturgia ideata per spillar quattrini – Enzo bisbigliò ad Enrico: "Perché non facciamo una lista elettorale contro sor Luigi?". Allora le liste si facevano contro qualcuno e non a favore di qualcosa. Non come oggi, insomma.

Purtroppo lo sventurato rispose. Così ebbe inizio la grande avventura elettorale che infiammò gli animi – un tantino mollicci, per la verità – dei santostefanesi, in quel piovigginoso autunno del '69. Le elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale della nostra malinconica cittadina erano fissate per giugno dell'anno successivo: c'era tempo, eccome, per fare le cose per benino: studiare le strategie, affinare le tattiche, ideare gli slogans, progettare i programmi, oliare la macchina organizzativa, individuare i punti deboli dell'avversario, allestire le liste e sperare in Dio.

Il primo problema – quello della "cabina di comando"- fu risolto alla svelta. Era formata da Enzo, padre nobile e ispiratore del folle volo, Enrico, candidato forte alla carica di sindaco che, però, a causa dei suoi onerosi impegni professionali e istituzionali avrebbe avuto un ruolo "di facciata", mentre le incombenze operative sarebbero state affidate a Pietro, giovane universitario un po' così, che sognava di scappare quanto prima dal borgo natìo per tuffarsi nel ventre molle della capitale.

La carica di vicesindaco, in caso – malaugurato – di vittoria lo avrebbe costretto a riporre i sogni nel cassetto e a immiserirsi tra le viuzze del paesello a contare i lampioni fulminati e a ricercare i migliori ceci del contado per la festa di San Rocco. La prospettiva non era di certo esaltante, ma tant'è: quando la patria chiama...

Lo staff era completato da Antonio - musicologo, politologo, tuttologo – cui venne affidato l'impegnativo incarico di stratega-sondaggista. Conosceva tutto e tutti; aveva, come si dice, il paese in tasca. Chiudeva il pool Felice, buon pastore, mite epigono dei grandi novellieri, dalla battuta pronta e dai micidiali apologhi, alcuni davvero inquietanti, che sciorinava al volgo e all'inclita quando le discussioni invadevano campi per lui piuttosto ardui. Aveva il compito di convincere i dubbiosi, i malpancisti ed eventuali eretici con i suoi aneddoti inventati per la bisogna.

Fatta la squadra, bisognava fare le liste. Per lo stratega-sondaggista Antonio non v'era dubbio alcuno: poiché il paese, da che mondo è mondo, si spacca sempre a metà nei voti e nelle preferenze – così sentenziò – a fare la differenza sarà come sempre il Macchione, una pittoresca contrada che, si dice, avrebbe coniato il motto dei Moschettieri "tutti per uno e uno per tutti". Sotto, dunque, con il Macchione. Occorreva puntare su una figura molto rappresentativa, ben seguita e sufficientemente stimata. Ma il guaio che si rivelò ben presto fu che nessuno – dico nessuno – si mostrò disponibile ad aderire alla cordata di cotanto senno. E allora? La ricerca, affannosa, si dipanò per molti mesi e si concluse a poche ore dalla presentazione delle liste, con l'ingresso di un tizio senz'arte né parte - forse un infiltrato – che, a elezioni concluse, si precipitò con armi e bagagli al soccorso del vincitore.

Ma l'asso nella manica della nascente compagine avrebbe dovuto essere rappresentato dal programma. Rivoluzionario. "Lasciamo perdere gli abusati slogans, tipo strade, acquedotti e ponti – sentenziò Pietro l'ideologo – ma proponiamo una grande trasformazione socio-culturale del paese. Una sorta di rivoluzione copernicana, insomma. Se ci mettiamo a rincorrere sor Luigi sulle tematiche della breccia e del brecciolino da sistemare sulle strade di campagna, la partita è persa fin dall'inizio: su quel terreno è imbattibile."

La proposta di Pietro, pur con qualche scettico mugugno, fu alla fine approvata: prospettare ai concittadini il passaggio da una società prettamente agricola ad una società che, pur non rinnegando le radici storiche del suo passato, si preparava ad esplorare altre ipotesi occupazionali, soprattutto per le nuove generazioni, scarsamente inclini al richiamo della vanga e ai muggiti delle bufale. E la presenza di Enrico, con i suoi importanti incarichi istituzionali nella Pubblica Amministrazione, sarebbe stata la garanzia più efficace per rendere credibile e attuabile il piano programmatico. In altri termini, era necessario far uscire il nostro paesello da quell'annoso isolamento autarchico che aveva fin lì caratterizzato la sua stanca esistenza, e proiettarlo in una dimensione più moderna, agganciandolo al progresso tecnologico di una società che soltanto a pochi chilometri da Villa (Giuliano di Roma, ad esempio) mostrava di correre ad una velocità tripla rispetto alla nostra.

Il programma, davvero ambizioso per quei tempi, doveva, però, superare la prova "sul campo". Come avrebbe reagito la "gente" di fronte ad una proposta che non parlava di breccia, di strade asfaltate, di fogne e quant'altro? La risposta venne subito in un casolare di Santa Maria la Stella, scelto per la prima uscita ufficiale della campagna elettorale.

Era una sera d'inverno, umida, fredda e triste come è Villa d'inverno. Lo staff elettorale che si catapultò nella linda casetta nei pressi della statua della madonnina era al gran completo. Parlò Pietro, e parlò a lungo, cercando di spiegare come ugualmente con la nuova lista e la nuova proposta programmatica Villa Santo Stefano sarebbe cambiata da così a così.

La risposta arrivò ed ebbe il colore del gelo. "Caro Pietro – esordì un anziano rappresentante della folta famiglia – tu hai parlato molto, io parlerò poco, ma chiaro. Io ricordo che qui prima 'a fanga ci arrivava fino a qua (e il gesto della mano fu più convincente di un goniometro), Sor Luigi ci ha portato la strada e la fanga è sparita. Da allora guai a chi ci tocca sor Luigi. Chiaro?"

La svolta epocale, forse, poteva essere procrastinata a data da destinarsi, Villa era abbarbicata alla politica della breccia e del brecciolino, il numero delle carriole di puzzolana da destinare alle strade prevaleva sul numero di nuovi e più dignitosi posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione. Il piano programmatico ideato da Pietro fu immediatamente e severamente messo sotto accusa in una successiva e tempestosa riunione del gotha della lista elettorale. Si pensò di correre ai ripari attraverso l'adozione di un accattivante simbolo della lista: un bel ramoscello d’ulivo per ribadire la vocazione agricola del paese e dei suoi abitanti.

Il colpo di scena giunse verso la fine della riunione, quando Antonio, musicologo, tuttologo e, soprattutto, sondaggista, tirò fuori un quadernino a quadretti che si premurò di sventolare sotto il naso degli astanti, pronunciando la fatidica premonizione: "perché temete, gente di poca fede? Dai miei calcoli e dalle mie rilevazioni statistiche vi annuncio la lieta novella: vinceremo con 324 voti di scarto". Possibile? Su mille e poco più elettori è possibile vaticinare un simile distacco? E' possibile. E poiché la matematica non è mai stata un'opinione, Antonio passò in rassegna tutta la mappa del paese, strada per strada, contrada per contrada, abitante per abitante, rancori per rancori. Per Pietro fu una vera e propria full immersion di nomi, di cognomi e soprannomi. Cacapiume, 'Ntellappa, Mancinella, Senzaculo, Pizzacalla, 'Ngà'Ngà, Cassetta e affini: ognuno con la sua storia, il suo viaggio, le sue rimostranze. "Prendiamo questa famiglia – s'accalorava Antonio in un crescente tripudio di devozione e di consenso – aveva portato le olive nel frantoio di sor Luigi: risultato? Più morca che olio. E vi pare che voteranno per lui? E quest'altra? Si era recintata una buona fetta di suolo comunale. Le hanno fatto una multa salata: Voterà per noi, sicuro. Non parliamo, poi, della famiglia … Non aveva scampato una fratta. Multa e relative contumelie. Per chi voterà, secondo voi?" Le rimostranze erano molte e motivate, ma erano voti di ripicca e non di adesione: basta sentimentalismi, a voto donato non guardare in bocca, prendi, impacchetta e porta a casa. Per Antonio ci fu un'apoteosi di riconoscimenti per una professionalità statistica e sondaggistica da far impallidire i dilettanti della IPSOS.

Con questi auspici si giunse alla vigilia delle elezioni. Vigilia carica di tensioni, di reciproci sospetti, di trafelate rincorse all'ultimo indeciso. Ci furono comizi pittoreschi, prove di forza propagandistica e le immancabili voci incontrollate su strani via vai di pie donne che, di notte, venivano avvistate mentre bussavano con i piedi ad alcuni usci con vettovaglie, lattine d'olio e generi di prima necesssità. Voci, le solite voci che agitano – agitavano - ogni appuntamento elettorale.

La domenica del voto, all'apertura dei seggi, qualcuno avvistò uno stormo di cornacchie svolazzanti a bassa quota. Gli aruspici furono tutti concordi nel vaticinio: vincerà una delle due liste, o la lista della ciocia o quella dell’ulivo. Vaticinio ineccepibile: vinse la ciocia di sor Luigi con più di 350 voti di scarto. E i 324 voti di differenza pronosticati a nostro favore?

Per oltre tre mesi Antonio, tuttologo e sondaggista, sparì nell'oblìo più tetro. Si era ritirato – disse – per scrivere l'ouverture di un'opera lirica che aveva dovuto trascurare per sopraggiunti impegni elettorali.

Vinse sor Luigi e, tutto sommato, con pieno merito. E mentre in Europa, con il "maggio francese", e in Italia con l'"autunno caldo" spirava il vento caldo della contestazione e della rivoluzione, a Villa le acque del fiume Amaseno continuavano a fluire calme e placide, come se nulla fosse avvenuto, come se il mondo di Villa fosse un mondo diverso, chiuso, fermo, costante, indifferente, apatico.

Ma la vittoria di sor Luigi fu una vittoria della continuità e del merito, perché va riconosciuto, a distanza di anni, ma con assoluto convincimento, che sor Luigi è stato di gran lunga il miglior sindaco che Villa abbia mai avuto. Questo va detto con chiarezza perché la verità non deve mai offuscare l'onestà intellettuale.

Vinse, dunque, sor Luigi, e vissero tutti felici e contenti.

 

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27.3.2012

www.villasantostefano.com

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