I MISTERI DEL SIMBOLO DI TRIESTE

Lo stemma araldico della Città di Trieste è un Alabarda bianca (o d’argento) in campo rosso. Che garrisce al vento su tutte le bandiere cittadine. Compresa quella grandissima che ogni mattina viene issata, assieme al Tricolore, sui due giganteschi piloni di Piazza Unità d’Italia. I Triestini sono molto fieri e gelosi del proprio stemma. Profondamente legato alla storia ed alle radici della Città e della Triestinità. Guai a scambiare l’alabarda per un giglio. Ma l’Alabarda che non è soltanto un simbolo civico, ma anche cristiano. Bene o male ricorda una croce. La cui vicenda è strettamente intrecciata con l’evangelizzazione della città all’epoca dei Martiri e delle persecuzioni. La tradizione locale ed i racconti agiografici narrano di un Tribuno Romano della XV Legione "Apollinare" di stanza a Tergestum (l’antico nome di Trieste), sul finire del III° secolo d.C., di nome Sergio. Costui, in città si convertì al Cristianesimo, e quando il suo reparto venne trasferito in Oriente, tirando già aria di persecuzioni, nel congedarsi dai proprio correligionari triestini, disse loro che in caso di morte avrebbe mandato un Signum celeste. Effettivamente, nel 301, probabilmente in Mesopotamia (secondo altri in Siria), allora provincia dell’Impero Romano, essendosi rifiutato di sacrificare agli dei, Sergio venne messo a morte tramite decapitazione, ma non prima di essere stato sadicamente torturato. Venne costretto a trainare un carro con dei chiodi ai piedi. Il Signum promesso ai Triestini, piovve dal cielo in mezzo al Foro sull’attuale Colle di San Giusto, nel giorno del suo martirio. Ed era una Alabarda.

Stemma di Trieste concesso dall'imperatore Federico III d'Asburgo

Nel "Tesoro" della elegante Cattedrale trecentesca di San Giusto, formata dall’unione di due chiese romaniche, eretta sulle fondamenta di una Basilica paleocristiana che a sua volta sorgeva su strutture di un edifico sacro romano) si conserva ancora oggi una Alabarda. Detta appunto "di San Sergio", in quanto sarebbe proprio quella caduta dal cielo. In realtà, da un’analisi della forma (slanciata all’asta e fiancheggiata da due bracci o raffi, uno più corto dell’altro) si nota che non si tratta di un arma romana ma "corsesca" di epoca medioevale. Fabbricata in Persia o, comunque, in Medio Oriente. Quasi certamente proveniente dalla Terrasanta come bottino di guerra della Prima Crociata a cui parteciparono anche molti Triestini. Aldilà delle leggende, l’Alabarda della Cattedrale ha una caratteristica che l’avvicina a determinati oggetti, sparsi in tutti i continenti, che per alcune loro peculiarità sono avvolti nel mistero e hanno spesso suscitato le ipotesi più affascinanti, straordinarie o stravaganti. Come quelle di essere il retaggio di una civiltà superiore scomparsa migliaia di anni prima della storia da noi conosciuta oppure di provenire da altri mondi. Infatti, l’Alabarda Triestina è fatta in una lega particolare che non si ossida. E’ immune alla ruggine ed è impossibile rivestirla d’oro. Gli appassionati e gli studiosi di antichi enigmi, andranno certamente con il pensiero alla famosissima "Colonna che non s’arrugginisce", che si innalza in India, presso la città di Mehauli. L’Alabarda è stata forgiata probabilmente con il cosiddetto acciaio indiano (ferro meteorico e platino) celebre nel Medio Evo per la sua capacità di non perdere la lucentezza e per la specifica robustezza. Effettivamente, per quei tempi, si trattava di un arma tecnicamente avanzatissima. E questo senza scomodare extraterrestri o il continente di Atlantide.

Nikeze e Jakeze con lo stemma di Trieste - Castello di S. Giusto

Quanto al racconto della sua provenienza celeste, si riallaccia a molti miti, in genere di fondazioni di stirpi o città o di investitura di condottieri e capi popolo. Ad esempio, si narra che il capo Unno Attila, decise di lanciarsi alla conquista dell’Impero Romano, dopo che un misteriosa "Spada magica", precipitata dal cielo, aveva ucciso una giovenca. Nell’arma, il capo barbaro asserì di aver riconosciuto la Spada che un tempo veniva adorata dagli antenati nelle immense distese dell’Asia. La sua ricomparsa era quindi un segno di buon auspicio. E come non pensare a tutta la serie di altre "spade fatate" o "lance sacre". Che hanno attraversato il Medio Evo. Contemporanee dell’Alabarda Triestina. La quale è attestata con sicurezza, quale Stemma Cittadino, sin dal XIII secolo. Visto che compare su alcune monete coniate dal Vescovo Volrico.

Alcune di queste "Armi" dai poteri mistici e misteriosi sono famosissime. Come l’Exscalibur di Re Artù, la "Durlindana" del Paladino Orlando e la vera "Spada nella Roccia", ancora visibile nell’Eremo di Montesiepi, presso la diruta e suggestiva Abbazia di San Galgano, in Toscana. Nel Duomo di Cividale del Friuli, ogni anno, durante la Messa dell’Epifania, viene innalzato e mostrato ai fedeli, uno "Spadone", risalente antichi Patriarchi di Aquileia. Ed ancora; Beowulf, l’eroe dell’omonimo poema anglosassone (forse del VII secolo d.C.), per affrontare mostri spaventosi, soprattutto nell’ultima ed esiziale battaglia contro un immenso drago, si impadronisce di una "lama dotata di vittoria, una spada antica di giganti, un segno di prestigio per qualunque guerriero, la perla delle armi". La corrente di un fiume che scorre presso Camelot trasporta una pietra con infissa una spada (da non confondere con quella estratta dallo stesso Artù per diventare Re d’Inghilterra) ed un messaggio che spiega come soltanto il migliore cavaliere del mondo potrà estrarla ed utilizzarla. E questo eroe è il puro Galahad. Colui che ritroverà il Santo Graal. E sempre nel Ciclo Arturiano, compare anche un lancia molto particolare. Viene portata in processione assieme al Graal nel castello del Re Pescatore, alla presenza di Parzifal. Si tratta della Lancia con cui, secondo i "Vangeli apocrifi" e la "Leggenda Aurea" di Jacopo da Varagine, il centurione Longino avrebbe colpito il costato di Cristo sulla Croce. In numerose Chiese e Cattedrali Europee, a Roma, Bari, Cracovia, sono esposte lance o frammenti di queste, ritenute quella di Longino. Persino un Pontefice è stato effigiato con in mano la "lancia Sacra", Innocenzo VIII (Giovan Battista Cybo, 1484-1492). Particolare interesse riveste soprattutto un manufatto in particolare. Che per il singolare alone di misticismo e devozione che lo avvolge, pare avere più titoli degli altri per essere la "Vera Lancia" della Passione. Si tratta della Heilige Lance, in tedesco letteralmente "Sacra Lancia", esposta al pubblico nella Weltliche Schatzkammer dell’Hofburg di Vienna. Secondo la leggenda, la Lancia di Longino sarebbe stata rinvenuta da Maurizio, il soldato romano, poi elevato agli onori degli altari, fattosi massacrare assieme a Sant’Alessandro ed agli altri commilitoni della Legione Tebana per essersi rifiutati di sacrificare agli dei pagani. Proprio come il San Sergio di Trieste. Finita in possesso dell’Imperatore Costantino, la Heilige Lance sarebbe stata impugnata durante la decisiva battaglia di Ponte Milvio, alle porte di Roma, contro l’usurpatore Massenzio. Lo stesso scontro durante il quale i Legionari Romani agli ordini di Costantino, fregiarono i propri scudi con il Monogramma di Cristo. Da quel momento la "Lancia" divenne un attributo della Potestas e Divinitas degli Imperatori Romani Cristiani. Sempre secondo la tradizione, grazie ad essa Teodosio sconfisse i Goti (385) e il generale Ezio, "l’ultimo dei Romani" bloccò Attila, che come abbiamo visto impugnava la sua personale "Spada magica", nella memorabile Battaglia dei Campi Catalaunici in Gallia nel 451 d.C.. Con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, la Reliquia sarebbe passò alla stirpe Carolingia. Ovviamente venne brandita sia da Carlo Martello, durante la battaglia di Poitiers nel 732, con cui venne fermata definitivamente l’invasione Araba dell’Europa occidentale, e da suo nipote. Quel Carlo, poi chiamato "Magno". Primo Sacro Romano Imperatore, le cui spoglie riposano in un sarcofago nella Cattedrale di Aaken, l’antica Aquisgrana, in Germania. Dai Carolingi, la "Lancia Sacra", ormai simbolo dell’Imperium Cristiano, e fatta oggetto di devozione sia popolare che politica, passò agli Imperatori Sassoni, poi agli Svevi, non è certo ma potrebbe averla impugnata anche il grande Federico II, lo Stupor Mundi, ed infine agli Asburgo. Che decisero di conservarla, appunto, nella Reggia dell’Hofburg. Proprio la "Casa d’Austria" che, dal 1382 sino al termine della Prima Guerra Mondiale, fu Signora della Città di Trieste. Urbs Fidelissima. E proprio un Asburgo, il Sacro Romano Imperatore Federico III, in premio per la fedeltà mostrata dai Triestini durante la Guerra contro Venezia, con un "Diploma Imperiale", datato 22 febbraio 1464, confermò la mistica Alabarda, quale Stemma cittadino. Aggiungendovi l’Aquila Bicipite ed i colori di Leopoldo Babenberg, Primo Duca d’Austria (1177-1194), poi diventati la Bandiera della Repubblica Austriaca. (Secondo la tradizione, Leopoldo Babenberg, avrebbe adottato i colori rosso-bianco-rosso, dopo che, durante una battaglia nel 1191, si sarebbe ritrovato con la sopravveste bianca completamente macchiata di sangue con l'esclusione della parte centrale coperta dalla cintura). Dopo la Prima Guerra Mondiale, ed il ritorno dell’Italia a Trieste, lo Stemma tornò ad essere quello originario. "Di rosso all’alabarda di San Sergio , d’argento" Recita il Regio decreto del 3 luglio 1930, poi riportato nel Libro araldico degli Enti morali. Rimasto inalterato sino ad oggi.

L’Alabarda Triestina va vista nell’ottica di questi oggetti e reliquie straordinarie, sopra elencate. Le cui vicende, i miti, i racconti sorti attorno ad esse, veri o falsi che siano, fanno comunque parte del Patrimonio Culturale del nostro Continente e della Civiltà Occidentale.

Giancarlo Pavat

 

<<<     "VALCENTO" AL CONVEGNO TRIESTINO "LA TENEBRA E LE CROCI"

up. marzo 2008

www.villasantostefano.com

PrimaPagina  |  ArchivioFoto | DizionarioDialettale | VillaNews