SCOMPARSA L’ARTE, LA CULTURA E LA STORIA DI UNA CHIESA DI VILLA SANTO STEFANO

VERGOGNOSO SACCHEGGIO DI REPERTI A SAN GIOVANNI IN SILVAMATRICE

Chi non ha cura e rispetto della propria storia e delle testimonianze degli antenati non può sperare nel futuro. Una massima lapidaria che pesa come un macigno sull’atto scellerato, compiuto da autentici, seppur ignoti, criminali, nei confronti dei venerandi ruderi della Chiesa di San Giovanni in Silvamatrice. Dai muri perimetrali sono stati asportati a colpi di piccone alcuni archetti con decorazioni risalenti quasi sicuramente alla chiesa paleocristiana. Lasciando un nero foro che suscita apprensione per la tenuta della già precaria struttura. Inoltre, dall’interno della chiesa sono sparite due mezze colonne in marmo (certamente romane) che si trovavano là dove un tempo c’era l’altare. Anch’esso scomparso, rubato da sconosciuti alcuni decenni orsono.

Le mezza colonna mancante

 Archetti prima della scomparsa

Mancano anche ampie porzioni di intonaco, una volta affrescato, e si notano numerosi buchi sul pavimento coperto da detriti. Evidentemente si è scavato per cercare altri reperti. Infine è scomparso il blocco tufaceo, quasi cubico, di circa 50x50x40 cm con sopra inciso il consunto simbolo esoterico della Triplice Cinta.

San Giovanni in Silva Matrice: a sx. il portale maggiore e a dx. quello minore

Un vero e proprio ennesimo stupro nei confronti della più antica chiesa della vallata e di un luogo sacro da migliaia di anni. Prima come onphalos, poi come tempio latino e romano, poi sacello dei primi cristiani ed infine chiesa medioevale. Abbandonato da ormai più di un secolo dall’incuria dei suoi ultimi proprietari e diventato cava per materiale di costruzione e preda di tombaroli prezzolati e sciagurati vandali. E pensare che sino agli anni ’50, sebbene la chiesa fosse sconsacrata, l’area continuava ad essere frequentata dai santostefanesi. Gli anziani raccontano ancora di quando da bambini, accompagnati dalle nonne si recavano a Silvamatrice, inghirlandati di vitalba, per il tradizionale "rito" di farsi "compari" e "commari" di San Giovanni. O per ascoltare la "matrice", il formidabile fiume carsico che scorre sotto il sito, e che rimbombava sino in superficie attraverso un antichissimo pozzo, forse una "favissa". Infine, per la Festa del Battista, il 24 giugno. si teneva anche una Fiera del bestiame.

La splendida  "Lapide Boccanappi", la foto del 1950 è di Arthur Iorio, la sua  scomparsa avvenne dopo il 1960 come afferma lo stesso Arthur nel libro "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli". (n.d.r.)

In questa epoca senza ideali e senza valori in cui ci troviamo a vivere, forse non fa notizia la scomparsa di "quattro sassi" e qualche lacerto di affresco. Eppure è proprio alla nostra epoca che è demandato un compito oneroso e da brivido. Salvaguardare tutto ciò che l’uomo ha realizzato in secoli e secoli e che proprio ora sta scomparendo per sempre. Che cosa lasceremo in eredità alle generazioni future? Scheletri di cemento armato, inquietanti fantasmi di cattedrali nel deserto. Grovigli di acciaio, cavi, plastiche ed altre schifezze inquinanti e nocive? Il sito di Silvamatrice non è pubblico. Probabilmente, anche se abbandonato da decenni ha ancora dei proprietari che, evidentemente, non hanno mai ritenuto opportuno occuparsene. Forse, più di tanto non si poteva e non si può fare per tutelarlo. Non lo sappiamo. Ma il gesto dei giorni scorsi. Grida giustizia. Certamente verranno sporte denunce e le autorità preposte si metteranno sulle tracce dei vigliacchi predatori. Ma rimane l’obbrobrio per l’azione, per l’atto commesso. Qui non stiamo parlando di tesori favolosi di faraoni egizi, crateri attici, buccheri etruschi, bronzi ellenistici, ma di povere pietre. Scolpite e decorate, dipinte e assemblate con la forza della fede e della pietas, da gente da cui in un modo o nell’altro discendiamo tutti noi. E’ come rubare a casa dei nonni. Quale coraggiosa impresa. Quale epica operazione di latrocinio. Che ci vuole a predare tra dimenticate ed indifese rovine.

Sinopie di affreschi probabilmente trafugati

Il blocco tufaceo, con incisa la triplice cinta, scomparso

Che razza di civiltà è la nostra che tollera, a volte addirittura giustifica tutto ciò. Un Paese come il nostro, l’Italia, che ha tremila anni di storia e chissà quanti di preistoria, che possiede la maggioranza delle opere d’arte del pianeta, non riesce a tutelare il proprio patrimonio. E non vale l’alibi di dire, "ma c’è troppa roba". Oppure, "ma la gente ha altro a cui pensare". Esistono nazioni, stati, ben più miseri e sottosviluppati del nostro, che amano e proteggono molto di più di noi, magari pochissime testimonianze del loro passato.

La povertà morale, spirituale, intellettuale di coloro i quali hanno ancora una volta brutalizzato Silvamatrice è enormemente più grande di quella materiale. Sempre che ci sia. In quanto, nella stragrande maggioranza dei casi non è mai il bisogno a spingere i tombaroli o come si voglia chiamarli.

Avere degli archetti paleocristiani, frammenti di affresco, conci di tufo o peperino e brandelli marmorei in giardino o nel proprio salotto … quale arricchimento culturale possono dare. Quale snobbismo, quale arroganza e pavoneggiamento, magari nel mostrali ad amici e conoscenti. Oppure guardarli di nascosto, in qualche saletta o stanza interdetta agli ospiti. Come un pervertito o un maniaco sessuale.

Scomparsa negli anni passati anche questa importante pietra; era posta originariamente su un muro interno della chiesa prima di cadere sul terreno. La foto e del 1977.  Forse un'ara sacrificale di origine pagana, da notare la scanalatura longitudinale. (n.d.r.)

Gli archeologi, negli ultimi due secoli, hanno riportato alla luce civiltà e culture di cui si era persino perso il ricordo. Ci sono riusciti in quanto molte delle realizzazioni di queste genti, sebbene sepolte dalla sabbia, dalle rocce, sommerse dalle acque, hanno resistito. Ed il loro messaggio, il loro retaggio, è in qualche modo sopravvissuto. E tutto costoro possono ancora raccontarci le loro storie e farci sapere che sono esistiti. Persino i millenni, i secoli, terremoti maremoti, cataclismi inimmaginabili, semplici intemperie, hanno avuto più rispetto per le vestigia passate della nostra attuale meschinità e pochezza.

Tra qualche secolo, o forse prima ancora, quando una archeologo proveniente da un altro sistema solare, atterrerà su questo povero pianeta, che cosa rinverrà di noi? Probabilmente nulla. Ma visto come ci stiamo comportando, forse, è meglio così.

Giancarlo Pavat per VillaNews

 

La Chiesa di San Giovanni nel territorio di Villa Santo Stefano di Arthur Iorio (1983)

up. 2 maggio 2008

www.villasantostefano.com

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